Il Giubileo 2025 e la proiezione universale di Roma, di S.Ecc. mons. Rino Fisichella
Riprendiamo sul nostro sito il testo della lectio magistralis tenuta il 15 marzo da S.E. Mons. Rino Fisichella presso la Link Campus University, nella cornice del corso di Geopolitica Vaticana del Prof. Piero Schiavazzi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Magistero della Chiesa.
Il Centro culturale Gli scritti (19/4/2022)
Per riscoprire una delle prime testimonianze del Giubileo è necessario recarsi nella Basilica di san Giovanni in Laterano. Dal portone principale, che come si sa risale al I secolo avanti Cristo e apparteneva al Palazzo della Curia Iulia, l’antico Senato romano, bisogna spostarsi nella prima navata di destra dove sulla prima colonna si può ammirare l’affresco di Giotto che volle descrivere l’indizione del primo giubileo della storia cristiana nel 1300. Al centro si nota Papa Bonifacio VIII che tiene tra le mani la Bolla di indizione. L’arte, ancora una volta, diventa l’espressione privilegiata per raccontare la storia e la via pulchritudinis permette di cogliere un evento del passato come contemporaneo. La bellezza esprime la creatività dell’uomo che sa imprimere la forza del pensiero oltre la parola, favorendo in questo modo il formarsi di una tradizione viva che opera e trasforma creando vera cultura.
Il giubileo è una istituzione alquanto giovane nella vita della Chiesa. Iniziato nel 1300 è giunto fino ai nostri giorni essenzialmente immutato. Ciò che compone la sua celebrazione riporta a gesti essenziali che, tuttavia, possiedono un grande significato teologico ed esistenziale: il pellegrinaggio, il passaggio per la Porta santa e la preghiera per ricevere l’indulgenza. Difficile riscontrare una costante presenza di popolo come nell’occasione degli anni santi. Tranne rarissime eccezioni, essi sono stati sempre un evento di popolo. È stato il popolo di Dio, infatti, che ha richiesto il giubileo ed è l’intero popolo dei credenti che continua a celebrarlo con fede. Egli intravede in esso il segno tangibile di un momento di grazia particolare che gli viene offerta. Se si vuole, il sensus fidelium di cui parlano volentieri i teologi, può essere colto specialmente in questa occasione perché esprime al meglio la spiritualità popolare. La lettura delle fonti permette di ricostruire con coerenza l’evento giubilare. Secondo il diario di Jacopo Stefaneschi del 1300, il 1° gennaio un tumultuoso afflusso di fedeli romani confluì alla basilica di san Pietro per acquistare l’indulgenza, la cosa continuò per tutto il mese tanto che il Papa, informato della cosa, il 22 febbraio del 1300 emanò la bolla Antiquorum habet, stabilendo con una decisione alquanto rara il valore retroattivo della grande perdonanza: “Concediamo un’indulgenza di tutti i peccati, non solo piena e abbondante, ma pienissima, a tutti coloro che, nell’anno in corso 1300 a partire dalla festa appena trascorsa della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo sino alla prossima, si recheranno alle stesse basiliche con riverenza, veramente pentiti e confessati ed accordiamo la stessa indulgenza dei peccati a tutti coloro che ciò faranno in qualsiasi anno centesimo”. Se si vuole, in questa breve espressione si ritrovano tutti gli elementi che formano la storia del giubileo cristiano. Il perdono e la misericordia di Dio che va incontro al peccatore pentito donando un perdono “pienissimo” che raggiunge l'intimo della persona, questo è alla fine il senso dell’indulgenza. Viene poi ricordato il pellegrinaggio alla tomba degli Apostoli come il segno della fede professata; ma nello stesso tempo icona dell’uomo che è in cammino, homo viator, verso una meta che dà senso alla sua vita. Infine, si fissa la scadenza giubilare. La storia mostra la prima scadenza di 100 anni, passata subito a 50 e per decisione di Papa Paolo II con la Bolla Ineffabilis Providentia, nel 1470 ogni 25 anni come è ormai tradizione.
Uno rapido sguardo alla storia mostra ancora un fatto rilevante: durante il periodo avignonese (1309-1377), con la lontananza del Papa, Roma viveva uno stato di degrado e povertà. Emblematico fu certamente il secondo giubileo nel 1350. Papa Clemente VI non partecipò e la sua assenza fu percepita dai Romani come un insulto, soprattutto se si considera che l'anno precedente Roma aveva subito un forte terremoto che aveva distrutto gran parte della città. Tornano alla mente le parole del Petrarca: “Concedi adunque quel che Roma piangendo e in ginocchio ti chiede. E quando tutti i regni della terra invieranno a Roma schiere di pellegrini e accorreranno le città intere a visitare le soglie dei santuari e a rivedere la madre desiderosa di riabbracciare i suoi figlioli, allora mi parrà di stringere al seno anche il mio Signore sebbene lontano”. In questo senso bisogna cogliere il canto di lode che Clemente VIII per il giubileo del 1600 dedica a Roma: “Voi, intanto, figli obbedienti e cattolici, che siete benedetti da Dio e da Noi, venite, salite al luogo che il Signore ha scelto, ascendete al colle spirituale di Sion e alla celeste Gerusalemme da dove per tutte le genti e le nazioni sono scaturite, sin dalla nascita della Chiesa, la legge del Signore e la luce della verità evangelica. Questa è quella felice città la cui fede, lodata dall’apostolo Paolo, viene annunziata in tutto il mondo; questa è la città in cui hanno insegnato, sino ad incontrare il martirio, Pietro e Paolo; questa è la città che, grazie alla presenza in essa della santa Sede di Pietro, è diventata centro di tutto il mondo, madre di tutti i credenti e maestra di tutte le chiese. Qui è la roccia della fede, qui è la fonte dell’unità sacerdotale, qui è la dottrina dell’incorruttibile verità, qui sono le chiavi del Regno dei Cieli, qui è il sommo potere di sciogliere e legare ed, infine, qui è quel tesoro inesauribile della Chiesa che sono le sante indulgenze e che il Romano Pontefice, che ne è custode e dispensatore, effonde con bontà ed abbondanza soprattutto nell’anno santo del Giubileo, pur avendo la facoltà di distribuirle in qualsiasi momento a seconda dell’utilità per la salvezza delle anime”.
Roma non è una città qualunque. Non lo è mai stata e non potrà mai esserlo. Nel bene e nel male, essa rimarrà una città unica al mondo. Non è il caso di fare paragoni con altre metropoli che sono meta privilegiata di turisti; il tema che coinvolge l’unicità di Roma va ben oltre. Essa è unica per la sua storia e la sua vocazione. Un disegno misterioso, ma reale, pone questa città al cuore del mondo. Essa è crocevia di tutta una serie di rapporti che vanno dall’arte alla diplomazia, dalla cultura al commercio, dalla politica alla religione... Porta in sé la gloria dell’antico impero romano e il degrado della metropoli odierna. La sintesi che i secoli hanno composto riescono a far convivere l’antico e il moderno, il pagano e il cristiano, senza che uno viva all’ombra dell’altro. Non sempre tutto è ben riuscito; alcune giustapposizioni sono ancora visibili in diversi monumenti che portano impresso il segno della violenza subita. Eppure, Roma non lascia intravedere i segni della divisione; preferisce far emergere la grandezza della continuità, permettendo che lo sguardo di chi la visita si soffermi più sulla bellezza di ciò che il passato ha realizzato piuttosto che concentrarsi sul degrado che spesso affiora.
Per capire Roma, il pellegrino dovrà recarsi su via dei Fori imperiali. Proprio a metà strada, procedendo verso il Colosseo, si imbatterà alla sua destra con un’immagine interessante: quattro steli di porfido in cui si racconta l’estendersi di questa città. Nel primo riquadro, Roma è segnata con un puntino bianco che emerge solenne nel nero dello spazio intorno: è il tempo delle origini. Al quarto riquadro, si troverà a spaziare nella grandezza dell’impero sotto Traiano: è l’epoca d’oro; il porfido nero è costretto a lasciare il posto al bianco della massima espansione. Roma è stata questa realtà che le ha permesso di essere definita con ragione caput mundi. E, tuttavia, Roma indica qualcosa che va oltre la storia dell’impero romano. Alcuni testi di s. Ambrogio, proprio verso la fine della Roma imperiale testimonierebbero come la presenza del cristianesimo non sia stato un caso fortuito, ma una vocazione particolare che le ha impresso quella grandezza che la rende unica. Se dinanzi al mondo essa divenne “caput mundi” per essere vero crocevia di incontro, di accoglienza e di convivenza tra i popoli, la presenza del successore di Pietro l’ha fatta riconoscere come “mater gentium”, “communis patria”, “omnium urbium et orbis ecclesiarum mater et caput” come recita l’iscrizione posta sul frontale della Cattedrale di san Giovanni in Laterano.
La storia e il significato di questa città, quindi, non può prescindere dal significato che la figura del Papa possiede per la vita della Chiesa e del mondo. Un solo piccolo esempio, la Sede Apostolica ha relazioni diplomatiche con 192 Paesi e con 26 Organizzazioni Internazionali Governative; a Roma sono presenti 189 Ambasciate con il loro Ambasciatore presso la Sede Apostolica. Il crocevia di relazioni evidenzia anche il servizio che la Chiesa è chiamata a svolgere in alcuni momenti storici particolari in forza della sua autorità morale oltre ogni possibile interesse nazionale. Il Successore di Pietro, d’altronde, è il segno dell'unità e questo comporta anche l’essere al servizio del bene comune. Egli è riconosciuto da ogni parte come colui che detiene il primato dell'amore che “tutto copre, tutto crede, tutto spera e tutto sopporta” (1 Cor 13,7). Ciò implica che sull’esempio di Cristo dovrà essere il primo a inchinarsi per lavare e baciare i piedi dei suoi fratelli. Esiste, infatti, una circolarità continua tra fede e amore, verità e carità che non può essere mai interrotta.
Il giubileo si inserisce pienamente nella vita degli uomini e nella storia delle nazioni. In ogni anno santo il richiamo a quanto i fedeli vivono e a quanto gli uomini sperimentano, diventa un punto di riferimento obbligatorio. Non può essere altrimenti. La fede, infatti, e tutte le espressioni che la accompagnano partecipa pienamente della quotidianità dell'esistenza. Un anno santo avulso dalla storia e dalle sue vicende, tristi o liete che siano, non avrebbe senso. Si porrebbe come una parentesi nella vita delle persone e non potrebbe esprimere il suo significato originario come richiesta di perdono ed esperienza di grazia e misericordia. È bene sottolineare che prima ancora di essere oggetto interesse per le opere che vengono compiute, il Giubileo si proietta come momento peculiare in cui vengono individuate le aspettative, le esigenze, i desideri che sono presenti nel cuore di intere popolazioni. È sufficiente scorrere gli ultimi Giubilei per verificare quanto questa istanza sia di particolare importanza ed efficacia. Nel 1950 il tema scelto da Pio XII fu quello della ricostruzione. Il mondo usciva dalla barbarie di una guerra che aveva coinvolto realmente il mondo intero. È possibile rivedere le immagini di repertorio e le fotografie di quell’Anno Santo per rendersi conto di quanti pellegrini giunti a Roma volessero rimboccarsi le maniche per dare inizio a un “mondo nuovo”. Nel 1975 Paolo VI volle il Giubileo per rispondere all’esigenza di unità che il mondo aveva perduto. Il tema della “Guerra fredda”, le vicende della guerra in Viet-Nam, la contestazione del ’68, questi e altri fattori richiedevano il richiamo all’unità non solo nel mondo, ma anche nella Chiesa dilaniata in quel decennio da forti contestazioni tese tra l’altro a creare una discontinuità pericolosa con la tradizione di sempre. Il Giubileo dell’Anno 2000, che Giovanni Paolo II aveva preannunciato fin dai primi giorni di pontificato nel 1978 con la sua prima enciclica Redemptor hominis, era teso a far sintesi di due millenni di storia del cristianesimo, e l’inizio del terzo millennio della sua storia. La riflessione non poteva essere altro che quella di porre al centro Gesù Cristo il Figlio di Dio. Non un progetto arcaico e neppure di stampo fideista perché riproporre la centralità di Cristo equivaleva a ricomprendere l’uomo. Se si vuole, la cristologia diventa veicolo per interpretare l’antropologia. Non era un progetto ingenuo, ma lungimirante. Ai nostri giorni è possibile verificare l’attualità di quel pensiero se si analizzano le vicende storiche di queste settimane dove, alla base, ciò che viene a essere discusso è di fatto un modello antropologico che fa della libertà il suo punto di riferimento paradigmatico. Certo, la libertà coniugata con la verità perché il binomio vive insieme e insieme perisce se manca uno solo dei termini. Ma è proprio la libertà che fa scaturire forme di democrazia e modelli sociali che costituiscono il futuro di generazioni. È in forza della libertà che si sostiene la solidarietà tra i popoli ed è per la libertà che si può scegliere di offrire la vita. Il Giubileo straordinario della Misericordia, voluto da Papa Francesco, aveva come obiettivo di far compiere esperienza dell’amore che giunge fino al perdono. Una parola questa che sembra sempre più allontanarsi dalla cultura per la preminenza degli interessi individualistici che operano a livello personale e sociale.
Si giunge così al Giubileo del 2025 che avrà come obiettivo: Pellegrini di speranza. Ecco perché nella Lettera che Papa Francesco mi ha indirizzato per offrire alcune linee orientative per la preparazione del prossimo giubileo, sono presenti tematiche che tendono a fare della speranza il cuore pulsante del prossimo giubileo. Il Giubileo sostiene Papa Francesco, possiede da sempre una “rilevanza spirituale, ecclesiale e sociale”. Non sarà inutile soffermarsi su questa triade perché permette di cogliere l’orizzonte su cui porre il prossimo giubileo. Il pellegrinaggio alla tomba degli apostoli Pietro e Paolo, la Porta Santa e l’indulgenza non sono altro che un’esperienza spirituale con il tentativo di aiutare ogni credente a riflettere sul valore profondo della propria vita. La seconda qualifica che viene espressa è quella che richiama a un evento ecclesiale. In effetti, il giubileo ha messo in cammino tutta la Chiesa. È un’immagine plastica che indica comunque la verità della sua presenza nel mondo. In questo momento particolare, ai cristiani è richiesto di condividere “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, soprattutto dei poveri e di tutti coloro che soffrono” (GS 1). Alla Chiesa viene chiesto di incontrare gli uomini e le donne del proprio tempo, di camminare con loro e di essere segno di un amore più grande. È questo che permette di vivere la forte solidarietà come forma di fratellanza che va oltre i confini stabiliti dagli uomini, per raggiungere quanti soffrono e dare loro la certezza di un futuro migliore. È la presenza fattiva che non si attarda nell’esprimere giudizi ma che si fa forte della condivisione con chi soffre. Inutile negare che il prossimo giubileo porterà con sé l’esperienza limitatrice della pandemia che per due anni ha imposto dei ritmi particolari alla vita delle singole persone e dei popoli. E in questi giorni, quell’esperienza si aggrava con la violenza della guerra sotto casa. Tutti abbiamo sperimentato la fragilità, perché il covid ha fatto irruzione in maniera inaspettata. E ora nessuno si sente al sicuro sotto lo spettro di una nuova inaspettata guerra. Nessuno è stato risparmiato dal sentirsi coinvolto in fatti di dolore che hanno segnato la vita di famigliari e amici. L’esperienza del limite alla libertà conquistata negli ultimi decenni si scontra con l’imposizione misure che nessuno si sarebbe aspettato. La vita quotidiana ha subito metamorfosi e, tanto per cambiare, abbiamo dovuto dare spazio a nuove sigle e parole, prima fra tutte la dad, poi booster e quindi green pass… complicando non poco l’esistenza di tutti. Gli uffici, le imprese, le scuole sono rimaste chiude e, purtroppo, anche le chiese hanno subito la stessa sorte. La mancanza di materie prime e l’aumento vertiginoso di alcuni prodotti vengono a creare una morsa da cui sembra impossibile sfuggire. L’elenco potrebbe essere prolungato tanto da fornire una litania di fatti da non fare altro che ricordare quanto l’esistenza personale e sociale possa modificare in alcuni istanti il corso della storia. Spesso, sembriamo persone che stanno sognando a occhi aperti e confondiamo tutto non distinguendo più tra realtà e fantasia, tra il bene e il male. Più lo sguardo si affaccia sul futuro e più sembrano crescere i dubbi, l’incertezza e la confusione. Dovremo pur chiederci perché l'occidente mostra con sempre più accentuazione i segni di una generale follia. C'è in molti una situazione patologica di angoscia che nasce dal dubbio e sfocia nella disperazione. Ciò che viene vissuto non è più dramma, ma tragedia che impedisce di vedere una soluzione positiva perché priva di speranza.
Il prossimo giubileo dovrà necessariamente farsi carico di sostenere le persone messe alla prova da esperienze così drammatiche e universali. Scrive Papa Francesco: “Il prossimo Giubileo potrà favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza… tutto ciò sarà possibile se saremo capaci di ricuperare il senso di fraternità universale, se non chiuderemo gli occhi davanti al dramma della povertà dilagante che impedisce a milioni di uomini, donne, giovani e bambini di vivere in maniera degna di esseri umani. Penso specialmente ai tanti profughi costretti ad abbandonare le loro terre. Le voci dei poveri siano ascoltate in questo anno di preparazione al Giubileo che secondo il comando biblico, restituisce a ciascuno l’accesso ai frutti della terra”. Parole che alla luce dei recenti fatti di guerra in Europa, uniti al grido di quanti altri vivono la medesima situazione di violenza e passano purtroppo inosservati, appaiono non solo lungimiranti e provocatrici, ma soprattutto impegnano all’azione e alla fattiva responsabilità. La dimensione spirituale del giubileo, pertanto, non allontana dall’impegno di costruire un mondo migliore.
Il giubileo biblico proponeva tra le altre cose un’autentica rivoluzione sociale. La terra, il bestiame e gli uomini… tutto doveva trovare il riposo e la quiete perché la natura riprendesse il suo ciclo e a nessuno era consentito porsi al di sopra delle leggi della natura. Una visione che trovava il suo primo riscontro nell’esercizio della giustizia. Tutti dovevano sperimentare che la “terra appartiene a Dio” e nessuno può pretenderne il possesso. Ancora di più, quanti erano stati privati della proprietà avrebbero dovuto riprenderne il possesso, perché a nessuno era consentito di prevaricare sul più debole. Quanta attualità riveste questa visione nella nostra condizione sociale. Se si pensa al grande debito in cui intere nazioni sono sottoposte per permettere a pochi ricchi di decidere la sorte di interi popoli. Uno scandalo il cui grido giunge fino a Dio che non può rimanere insensibile.
Il motto ufficiale del prossimo Giubileo sarà: “Pellegrini di speranza”. In due termini è racchiuso il senso del giubileo e lo scopo con il quale dovrà essere vissuto. È significativo pensare che in due parole si possa raccogliere il messaggio da celebrare nell’anno santo. Essere pellegrini equivale a considerare la condizione umana di ognuno: in cammino ma con una meta da raggiungere. Non siamo erranti senza sapere dove andiamo, ma pellegrini che conoscono il sentiero da percorrere. Certo, a volte si potrà smarrire il sentiero perché nascosto tra i cespugli e gli ostacoli che non mancano mai; eppure, non può mai venire meno la fiducia di voler arrivare al traguardo prefissato. Il pellegrinaggio indica una dinamica che contraddice ogni forma di staticità. Il pellegrino è cosciente di incontrare difficoltà e ben conosce la fatica del suo camminare, ma possiede la consapevolezza che niente e nessuno possono fermarlo perché è sostenuto dalla fede. In questo motto comunque è racchiusa la forza della speranza di cui il mondo oggi sente un particolare bisogno. Camminare in compagnia della speranza non come un oggetto superfluo, ma come una compagna di strada di cui non si può fare a meno. Come ricordava C. Peguy, la speranza è come la sorella minore di cui mai nessuno parla; eppure, senza farsi notare trascina per mano le due sorelle maggiori: la fede e la carità. C’è un cammino di crescita nella speranza e con la speranza perché come ricordava l’apostolo “la speranza non delude” (Rm 5,5). Essa è fondata sull’amore che Cristo ha per ciascuno di noi e, pertanto, è certezza che niente e nessuno potranno mai separarci da un amore così unico e universale. Per questo, dovremo essere capaci di “tenere accesa la fiaccola della speranza che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante”. Le parole di Papa Francesco faranno da eco in questi mesi di preparazione: “Non dobbiamo lasciarci rubare la speranza che ci è stata donata e dobbiamo fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante. Ritengo che il prossimo Giubileo potrà favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza”.
Tutti possono sperare, ma è il contenuto della speranza che qualifica l'atto e lo fa comprendere diverso dal sentimento o dall'utopia. La speranza, insomma, non è frutto dell’effimero né del passeggero; essa, piuttosto, dice stabilità e sicurezza. Chi spera è teso verso un compimento; è tutto dedito allo scopo da raggiungerlo e non permette che niente e nessuno possano distoglierlo da questo compito. Una tensione che non è attesa febbrile o carica di angoscia per l’incertezza di ciò che potrà accadere. È, piuttosto, la capacità di superare le difficoltà del presente e scoprire che si è già in possesso di qualcosa che deve essere portato a compimento. Della speranza abbiamo bisogno adesso, in questa vita perché fin da adesso siamo partecipi dei beni che possederemo nel futuro. Nessuna fuga, pertanto, né evasione alcuna dall’assumere le responsabilità nella storia presente. La speranza è qui e ora che agisce, qui e ora che impone di essere vissuta; nella vita di ogni giorno, infatti, diventa segno e strumento di liberazione.
Mi piace concludere con l’immagine del romanzo postumo di I. Silone, l'uomo che fino alla fine ha voluto esprimere la sua ricerca di Dio senza poter arrivare a professare la fede. Nel suo ultimo romanzo autobiografico, Severina, narra di una suora che in preda ad una crisi di fede lascia il convento. La sua vita è una continua ricerca di Dio; questi, però, poco alla volta diventa solo un'idea e non le dice più nulla. Severina partecipa a diverse attività sociali, si mostra utile e solidale per il lavoro degli altri, ma un giorno intervenendo a una manifestazione, per sbaglio viene colpita a morte. È portata in ospedale. Al suo capezzale accorre immediatamente una consorella di un tempo, presa dalla preoccupazione di farle professare la fede. A Severina ormai morente, la suora chiede con insistenza: “Severina, Severina, credi?” E Severina rivolgendole lo sguardo risponde: “No, però, spero”. Ecco il dramma della nostra epoca e, nello stesso tempo, l'offerta di una mediazione che sarà il contenuto centrale del prossimo Giubileo.