Fra Michelangelo da Caravaggio: il pittore “colla croce”, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 04 /04 /2022 - 23:48 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo pubblicato sull’Osservatore Romano dell’1/4/2022. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Caravaggio. Cfr. in particolare

Il Centro culturale Gli scritti (4/4/2022)

Caravaggio ebbe il cuore rivolto a Roma, fino all’estremo istante della sua vita. A Roma si sentiva atteso e desiderato. Ma anche Roma lo attendeva e, a distanza, lo aiutava.

Quando egli decise di giocare la carta di recarsi a Malta e proporsi come Cavaliere, per dipingere per l’Ordine e, probabilmente, per acquisire benemerenze per poter ricevere la grazia di rientrare nell’urbe, il Gran Maestro e il suo Consiglio immediatamente si rivolsero al Papa per la sua ammissione che non sarebbe stata possibile, senza una previa dichiarazione in merito da Roma, poiché egli era reo di omicidio.

Con la lettera del 7 febbraio 1608 il «gran maestro della sacra religione gierosolimitana supplica humilmente la santità vostra [Papa Paolo V], che, con un suo breve, si degni concedergli autorità e facultà, per una volta tanto, di poter decorare et ornare dell'habito di cavaliero magistrale due persone a lui ben viste e da lui nominande. Non ostante ch'uno di essi habbia, altre volte in rissa, commesso un'homicidio. E non ostante che dal capitolo generale di detta religione sia stato prohibito».

Solo una settimana dopo il pontefice rispose: «Al diletto figlio Alof Wignacourt gran maestro degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme. Paolo papa V. O figlio diletto salute. A Te concediamo la facoltà di ricevere tra i fratelli tuoi soldati chiamati magistrali, due persone con sentimento benevolo nei tuoi confronti, anche se una di queste abbia commesso omicidio in una rissa».

Nei testi dell’Archivio Segreto Vaticano non compare il nome del Merisi, ma è evidente che la dispensa viene concessa esattamente e consapevolmente per lui.

Protetto così a distanza, il Merisi dipinse varie tele per l’Ordine a Malta. Sono superstiti il Ritratto in armatura del Gran Maestro  Alof de Wignacourt  e del suo paggio (oggi al Louvre), il Ritratto di un cavaliere di Malta (Fra’ Antonio Martelli, oggi a Palazzo Pitti), un Amorino dormiente (sempre a Palazzo Pitti) e l’Annunciazione (oggi a Nancy).

Ma soprattutto dipinse due tele per la grande Chiesa dell’Ordine dedicata a San Giovanni: un San Girolamo scrivente per la Cappella della Natione Italiana e la grande Decollazione del Battista come pala dell’altare principale.

Nella tetra prigione Giovanni è dipinto già morente, ma il carnefice sta estraendo la “misericordia”, il coltello con cui gli taglierà il capo, mentre lo tiene fermo per i capelli. Il guardiano della prigione indica il bacile dove porre la testa. Una giovane donna - forse Erodiade – tiene il recipiente. Una seconda, anziana, pone le mani sul viso, inorridita. Due altri prigionieri osservano da una grata della prigione. Al loro fianco una corda doppia innaturale indica un altrove.

Il fiotto di sangue che già fuoriesce dal collo va a formare il nome dell’autore: “f. Michel An” cioè Fra’ Michele Angelo. È l’unica opera firmata dal maestro e il Merisi aggiunge al suo nome la “f” di frate, perché pienamente inserito in quel momento nell’Ordine che, come un baluardo contro l’avanzata turca in Europa, aveva già resistito al lungo e terribile assedio ottomano del 1565. Insomma  Caravaggio “colla croce in petto” come lo definì il Susinno, suo biografo.

Di lì a poco Caravaggio sarebbe fuggito da Malta, nell’ottobre 1608, dopo essere arrestato per una nuova rissa commessa in agosto.

Ma non avrebbe dimenticato Roma e la misericordia dell’urbe non lo avrebbe abbandonato. Giunse finalmente in feluca a Palo, dopo ulteriori soggiorni in Sicilia e a Napoli: lì era la dogana che apriva le porte di Roma. Doveva avere avuto rassicurazioni che la grazia era ormai stata accordata: aveva con sé, fra le altre sue opere, un San Girolamo, immagine al tempo del cardinalato e dell’intellettuale cristiano, da regalare al cardinal Scipione Borghese che si era adoperato per la grazia.

Il Merisi dovette provare una gioia grandissima nello sbarcare alle porte di Roma, sicuro di poter rientrare nella città che amava e dove intendeva dipingere un secondo ciclo di opere.

Venne invece fermato per due giorni a Palo e, una volta liberato, decise di dirigersi a nord, verso lo Stato dei Presidi, per recuperare i suoi dipinti. Il destino, misterioso per tutti, lo condusse ad una triste morte per malattia a Port’Ercole, prima che potesse rivedere Roma.