Il monito della cripta dei Cappuccini in via Veneto a Roma (da Il Timone)
Riprendiamo sul nostro sito un articolo redazionale da Il Timone dell’11/11/2019. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Roma e le sue basiliche.
Il Centro culturale Gli scritti (4/4/2022)
La particolarità principale della chiesa di S. Maria della Concezione a Roma è sicuramente la cripta con le ossa di almeno 4000 frati cappuccini morti tra il 1528 e il 1870 e recuperati dalle fosse comuni del vecchio cimitero dell’Ordine dei Cappuccini che si trovava nella Chiesa di Santa Croce e Bonaventura dei Lucchesi, ai piedi del Quirinale. La cripta, divisa in 5 piccole cappelle, mostra anche alcuni corpi interi di frati mummificati con indosso il saio, tipico vestito del loro ordine; di alcuni di essi si conosce addirittura il nome.
«Per quanto inquietanti», commenta padre Jeffrey F. Kirby su Crux (Capuchin ‘bone church’ forces us to stare mortality in the face, by Father Jeffrey F. Kirby), «le ossa della cappella sono un duro promemoria che le nostre vite sono brevi e che moriremo tutti». Il senso di questa cripta inoltre è riportato in una frase precisa: «Una volta eravamo quello che sei ora. Un giorno sarai ciò che siamo ora».
Di fronte a questo “spettacolo” non si sfugge, prosegue padre Kirby, «la nostra mortalità ci sta guardando in faccia. Cosa faremo al riguardo?».
Sono tre le risposte che vengono offerte nel commento di padre Kirby:
-Mantenere viva la memoria dei nostri cari defunti: non facciamoli scomparire, non li trattiamo con senso di vergogna. Conversiamo spiritualmente con loro, ridiamo e piangiamo mentre li ricordiamo e continuiamo ad amare e fare le cose buone che abbiamo imparato da loro o insieme a loro. Questo è ciò che rappresenta il mese di novembre per i credenti. È vivendo in comunione con i morti che la morte perde il suo pungiglione e diventa parte della nostra vita. E il nostro passaggio dalla vita alla morte diventa meno schiacciante e più facile da pensare mentre condividiamo attivamente le nostre vite in solidarietà spirituale con coloro che sono già morti;
-Nella nostra vita possiamo dare generosamente misericordia e cercare di avere un cuore compassionevole con gli altri. Il rifiuto di dare misericordia agli altri (o a noi stessi) è scegliere di lasciare una ferita aperta sulle nostre anime. Un’anima ferita è un’anima pesante. E un’anima simile trova la trascendenza e l’eternità come cose lontane dalla sua esperienza e contesto. In un tale stato, una morte inaspettata di una persona cara o una diagnosi nefasta sarebbe troppo pesante e causerebbe il crollo di tutto, perché la morte – che è una parte naturale della vita – non era affatto nel nostro “progetto”. Dando misericordia, lasciamo respirare le nostre anime. Tali anime sono sane. E le anime sane ci spingono e ci ispirano a cercare cose trascendenti ed eterne. Ci aiutano a capire e a prepararci alla morte.
-In tutti i nostri doveri e responsabilità dobbiamo cogliere e custodire il momento presente. Molti di noi lottano per soffermarsi sul passato o si ossessionano per il futuro, ma la grazia divina, le altre persone e opportunità si trovano solo nel momento presente, proprio qui e proprio ora. Se vogliamo una morte felice, dobbiamo vivere una vita felice. La felicità si trova rivendicando la grazia, l’amore e le opportunità del momento presente.
«In questi tre semplici modi», conclude padre Kirby, «possiamo ascoltare il saggio consiglio dei nostri frati cappuccini nell’ossario della chiesa romana. Come le loro ossa ci condannano, così la loro saggezza ci istruisce. Saremo quello che sono adesso. È ora di prepararsi».
N.B. de Gli scritti Non si deve dimenticare che la penultima cappella della Cripta dei Cappuccini è dedicata alla Messa, cioè all’offerta dell’eucarestia per i morti, mentre l’ultima è dedicata alla Resurrezione.