Nazione, sacrificio e resa: riscoperta di tre realtà nella guerra fra Russia e Ucraina, di Giovanni Amico
Riprendiamo sul nostro sito alcune note di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Per la pace contro la guerra.
Il Centro culturale Gli scritti (4/3/2022)
1/ La nazione
Ucraina: una nazione. L’evidenza di tale realtà è indiscussa: ognuno sente che quella nazione è tale, che ha una sua lingua, che ha una sua cultura e che non deve essere confusa con la Russia. Che ha diritto a confini propri e invalicabili, che ha diritto a sussistere con la sua specifica identità.
Contro la politicamente corretta cancellazione dei confini e delle nazioni - Imagine there's no countries – l’umanità riscopre quanto la nazione sia una realtà buona e benedetta.
La nazione è necessaria: un popolo ha diritto ad avere una sua nazione con le sue peculiarità che ogni altro popolo e ogni altra nazione debbono rispettare.
La realtà della “nazione” è ben diversa dal nazionalismo: ma lo stesso la “nazione” è un bene!
Per un approfondimento dell’importanza democratica del concetto di “nazione”, a breve una riflessione sulla dottrina sociale della Chiesa in merito.
2/ Il sacrificio
Non solo: l’esistenza di una nazione richiede il sacrificio. Ognuno avverte la serietà del sacrificio dei giovani ucraini che vanno in guerra – sono obbligato per legge ad andarvi, ma vi vanno sapendo che è giusto, per difendere appunto la nazione e le loro famiglie, vi vanno soprattutto i maschi, mentre le donne solo al 15%.
Ognuno avverte che quel sacrificio è triste, è duro, ma non è cattivo. Non avviene in odio al nemico, ma per difendere la propria nazione. Tale difesa dei deboli della nazione, tale difesa dell’identità della nazione che deve essere preservata per le generazioni a venire, è un sacrificio buono.
Ognuno immagina cosa avverrebbe se anche in Europa i giovani maschi fossero chiamati indistintamente a presentarsi a difendere l’esistenza della loro nazione dinanzi ad un aggressore che vorrebbe distruggere l’esistenza dell’Italia o della Francia o dell’Olanda.
Certo ognuno avverte che avrebbe dovuto essere la diplomazia a riconoscere tale esistenza, senza giungere alla guerra – e che forse se si fosse in anticipo riconosciuto il diritto all’autonomia delle regioni a maggioranza russa diversi avrebbero potuto essere gli esiti e forse la violenza sarebbe stata più limitata.
Ma poi, ovunque, sono i media a ricordare che questo o quell’uomo di spettacolo o quel musicista o quello sortivo o quel papà di famiglia ha avuto il coraggio di rinunciare alle cose più care perché anche la libertà della nazione sono fra le cose care in terra.
3/ La resa
Ma il sacrificio non è un assoluto. Dove il divario di forze è troppo forte e combattere vuol dire solo aumentare il numero delle vittime, senza alcuna possibilità, è saggio arrendersi.
«Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace».
Bisogna avere il senso della realtà. Se le perdite divengono inutili, meglio rinunciare a parti del territorio, meglio fare concessioni, anche se ingiuste e gravi, piuttosto che decretare inutilmente la morte dei propri figli.
Altro che dare ulteriori armi da parte dell’Europa, per aumentare il numero dei morti inutilmente.