Sanremo diventa lezioso quando vuol far credere di non essere intrattenimento. Breve nota di Giovanni Amico
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. la sezione Musica.
Il Centro culturale Gli scritti (6/2/2022)
Sanremo è “intrattenimento”, è divertimento, è passatempo, è canzone “leggera”. E questo è buono e degno. Il dramma e la parodia nascono quando Sanremo vuol farci credere di non essere tale.
L’intrattenimento che pretende di essere vita o morte, di dettare linee culturali e di ispirare il futuro diviene lezioso: si vergogna di essere intrattenimento e pretende di essere altro.
A Sanremo, come in ogni spettacolo “leggero”, non esistono né la morte, né la nascita nella loro verità piena. Non c’è contraddittorio, non c’è presentazione accurata di qualcosa, ci sono battute, frammenti. Solo se vi apparisse un vero poeta vi entrerebbero appieno la vita e la morte.
Solo un poeta potrebbe affrontare il dramma dovuto al fatto che Achille Lauro, Mahmood e Blanco, Gianluca Gori (e quindi il personaggio da lui interpretato, Drusilla Foer), così come gli altri cantanti, presentatori e attori, sono destinati a morire, come del resto lo saremo anche noi. La vera poesia sorge solo dinanzi alla natura, quando “misura” l’uomo con l’infinità del cosmo e lo relativizza e lo esalta.
Ma della morte non si può parlare quando si fa intrattenimento, la morte non è un buon tema per una canzone: solo i grandi cantautori e i grandi poeti possono parlarne.
Così non si può parlare di quell’evento rivoluzionario che cambia il mondo che è la nascita di un uomo. Non si parla di figli, di padri e di madri quando si fa intrattenimento. Chi canta per intrattenere, canta come se dovesse restare in eterno single o fidanzatino. Non si può cantare l’evento che è il dare alla luce un bambino, se si fa intrattenimento: solo i grandi cantautori e i grandi poeti possono parlarne.
Certo traspare che i cantanti vincitori hanno dietro i loro padri e le loro madri che li hanno generati e, talvolta, mostrano pure il loro ombelico in pubblico – segno che una madre ce l’hanno. Ma la vita non viene cantata, anzi resta in ombra. Si parla solo di storielle, non del partorire e dell'“origine”: solo i veri cantautori e i veri poeti potrebbero parlare dell’origine della vita e del suo destino..
La leziosità di Sanremo non è data da questo o quel performer, ma dal fingere che sia presente nell’intrattenimento ciò che è vitale, il nascere e il morire.
Si può cantare per intrattenimento del brivido che mi dà un’altra persona, ma se si finge che questo brivido nasconda l’assenza di un amore promesso per sempre, tutto diventa lezioso, serioso.
Si può discorrere con il proprio alter ego, dissentendo anche da se stessi e creando un contraddittorio con se stessi: se è intrattenimento è divertente, ma se si nasconde dietro il paradosso la realtà che non si può dare vera unicità quando si è soli con i propri doppi, bensì solo quando si dà alla luce un nuovo essere umano che è unico e ci si interroga sul suo destino, tutto diventa serioso.
L’intrattenimento che pretende di essere serio e dimentica il nascere e il morire diventa serioso - per chi volesse, invece, vedere una performance che esce dal serioso e pone il problema della vita, si veda un passaggio meraviglioso di uno spettacolo di Marco Paolini che abbiamo intitolato: Diventare adulti
Si può discettare di maschile e femminile per intrattenimento, ma se lo si fa senza mettere sul tavolo la domanda se nuove creature verranno al mondo, quell’intrattenimento diverrà pedante.
Si può recitare di un qualche auto-sacramento per intrattenimento, ma se lo si fa attribuendo serietà alla farsa, tutto diventa lezioso, perché senza trasmissione di padre in figlio, di generazione in generazione, non si danno né vita, né fede.
Lezioso è pretendere che l’intrattenimento sia serio, mentre riduce tutto e sempre al singolo e ai suoi pallini. Nell’intrattenimento basta il singolo, ma ciò non basta nella vita, perché in essa c’è l’altro nella sua interezza, quell’altro che mi chiede o di sposarlo o di essergli padre o madre e di accompagnarlo dalla nascita fino all’ultimo giorno di vita.
Lezioso è quando si fa intrattenimento paludandolo seriosamente con presunti diritti al singolare, dimenticando sempre che la vita deve essere generata ed è destinata alla morte: perché la vita, da sempre, invita a generare, perché la vita, da sempre, invita ad ascoltare chi già ha “chiuso” la propria vita e non c’è più, indicando quale sarò il nostro destino.
Sta qui la leziosità. Carino, sì, è carino Sanremo, ma pretende di essere serio. È questo che lo rovina.
Come lo rovinano i giornalisti che forzano la mano a Sanremo perché cessi di essere intrattenimento e divenga mainstream per il paese. Lo rovinano i commentatori che lo esaltano per questo, omaggiando i suoi performers che innalzano i vessilli del politicamente corretto.
Per questo, una lezione non deve essere dimenticata di questo Sanremo, ma, in fondo, di tutto il mondo dello spettacolo.
Ci sono persone e gruppi e teorie che usano il vittimismo per attirare attenzione. Ciò che è evidente, invece, è che esse dominano il mondo dello spettacolo, che esse comandano, che esse hanno il potere.
Non solo perché sono profumatamente pagati, ma ancor più perché sono appunto il mainstream, perché sono Sanremo, perché hanno il potere della comunicazione, perché detengono le leve dell’immaginario che è ancora più importante del potere stesso, perché fonda il potere: e si fanno passare, invece, per emarginati.