1/ Tommaso Moro festeggiava l’onomastico il 29 dicembre, il giorno della festa di san Tommaso Becket. Il rapporto fra Thomas More e Thomas Becket. Breve nota di Andrea Lonardo 2/ British Museum. Londra riscopre Becket, l’arcivescovo santo e osteggiato. Una grande mostra al British Museum ripercorre la vicenda che portò all’uccisione del prelato. La sua figura fu segno di contraddizione per i regnanti inglesi, di Francesco Marzella 3/ «Tutti, gli anglicani come i cattolici, hanno visto in lui non solo un santo ma un eroe della coscienza e un martire della fede. E gli uomini politici, qualunque fosse la loro credenza o miscredenza, lo hanno considerato come uno dei più grandi rappresentanti delle tradizioni giuridiche di cui l’Inghilterra è, a buon diritto, molto fiera». Intervento del card. Roger Etchegaray nella conferenza stampa di presentazione della proclamazione da parte di papa Giovani Paolo II di san Thomas More a patrono dei governanti e dei politici
1/ Tommaso Moro festeggiava l’onomastico il 29 dicembre, il giorno della festa di san Tommaso Becket. Il rapporto fra Thomas More e Thomas Becket. Breve nota di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, vedi la sezione La Riforma.
Il Centro culturale Gli scritti (28/12/2021)
Secondo la biografia di san Tommaso Moro scritta da Peter Ackroyd (P. Ackroyd, The Life of Thomas More[1]), il neonato venne chiamato con il nome di Thomas, sia perché questo era il nome del nonno materno, sia perché Thomas Becket era il santo amatissimo dai londinesi – fra l’altro la casa dei More era a Milk street a 20 metri dalla casa nella quale era nato Becket all’angolo di Ironmonger Lane and Cheapside.
Moro venne decapitato alla sera del 6 luglio 1535, cioè alla vigilia della festa della traslazione delle reliquie di San Tommaso Becket che vennero risistemate nel cinquantesimo della sua morte il 7 luglio 1220 nella Cappella della Trinità nella zona absidale della cattedrale di Canterbury.
L’anno successivo, il 1536, il re Enrico VIII abolì la festa di san Tommaso Becket, in odio a chi aveva resistito al suo potere e al potere dei re nel passato. Alcune reliquie dei due santi sono ora, le une vicino alle altre, nella chiesa detta The Shrine of Our Lady of Walsingham (la chiesa era stata distrutta da Enrico VIII e l’immagine della Madonna era stata bruciata, così come per suo ordine venne disseppellito il corpo di san Tommaso Becket nella cattedrale di Canterbury e le sue reliquie disperse, al tempo della distruzione dei monasteri operata dal re (cfr. su questo 1/ I luoghi di Tommaso Moro (Thomas More) a Londra, di Andrea Lonardo 3/ I primi anni della riforma anglicana ed i cattolici inglesi da Enrico VIII ad Elisabetta I, di Andrea Lonardo).
Ackroyd ricorda come, man mano che il distacco dal re si accentuò e Moro Gran Cancelliere cominciò ad intuire che la sua fine sarebbe stata la condanna a morte, egli iniziò a sentire una vicinanza spirituale sempre più grande con la figura di Becket.
In una lettera alla figlia Margaret, scritta poco prima di morire, Moro le diceva di desiderare di “morire il giorno seguente, martedì, a causa della coincidenza con la vigilia della traslazione delle reliquie di san Tommaso Becket” ed, in effetti, così avvenne – quell’anno la festa cadeva di mercoledì 7 e Moro venne ucciso alla sera del 6.
2/ British Museum. Londra riscopre Becket, l’arcivescovo santo e osteggiato. Una grande mostra al British Museum ripercorre la vicenda che portò all’uccisione del prelato. La sua figura fu segno di contraddizione per i regnanti inglesi, di Francesco Marzella
Riprendiamo da Avvenire del 17/7/2021 un articolo di Francesco Marzella. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione La Riforma.
Il Centro culturale Gli scritti (29/12/2021)
La miniatura che rappresenta il martirio del santo nel manoscritto
“Cotton Claudius B II” (fine XII secolo) - British Library
Quattro cavalieri avanzano minacciosamente verso una chiesa. Sullo scudo di uno di loro è raffigurato un animale, un orso. È un riferimento al suo nome, Reginald Fitzurse. La spada del cavaliere si abbatte sul capo dell’alto prelato in ginocchio davanti a lui, proprio davanti all’altare: l’arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket.
Al suo fianco Edward Grim, il monaco che venne ferito mentre cercava invano di opporsi all’attacco.
La miniatura racconta, senza che sia tralasciato alcun dettaglio degno di rilievo, un «evento inaspettato che ha cambiato la storia»: l’assassinio nella cattedrale.
Figlio di un mercante londinese, poi protetto di Teobaldo, l’arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket si guadagnò presto la fiducia del re d’Inghilterra Enrico II, al punto che il sovrano lo scelse come cancelliere.
Alla morte di Teobaldo, Tommaso divenne arcivescovo (1162). La sua consacrazione era stata favorita proprio da Enrico, che evidentemente sperava così di poter esercitare un controllo sulla Chiesa inglese.
Ben presto, però, Tommaso divenne uno strenuo difensore delle prerogative ecclesiastiche e non esitò a opporsi al re e ai vescovi a lui vicini. I quattro cavalieri che lo uccisero il 29 dicembre 1170 nella cattedrale di Canterbury agirono confidando di compiacere il loro sovrano.
Dopo l’assassinio, la fama della santità di Tommaso si diffuse rapidamente, i miracoli si moltiplicarono, la tomba del martire divenne meta di frequenti pellegrinaggi e papa Alessandro III lo canonizzò a poco più di due anni dalla sua morte, mentre Enrico II fece pubblica penitenza.
La miniatura, che rappresenta il martirio del santo secondo un modulo poi divenuto tradizionale, proviene dal manoscritto Cotton Claudius B II (fine XII sec.) della British Library. Si tratta di uno dei pezzi pregiati di una nuova mostra, “Thomas Becket. Murder and the making of a saint” (fino al 22 agosto), con cui il British Museum vuole raccontare la storia di uno dei santi più popolari di tutto il Medioevo.
Originariamente prevista per novembre 2020 – per omaggiare l’850º anniversario del martirio di Becket e l’800º anniversario della sua traslazione – l’esposizione permetterà di ammirare, oltre ai manoscritti miniati, anche gioielli, reliquiari, sculture e persino una vetrata proveniente dalla cattedrale di Canterbury e la versione del 1225 della Magna Carta.
«La mostra – ci racconta Lloyd de Beer, uno dei curatori insieme a Naomi Speakman – considera, lungo un periodo di 500 anni, tre temi correlati: il problema dell’autorità e di chi debba esercitarla, le conseguenze dell’opposizione al dispotismo, il potere di cambiare il corso della storia che hanno alcuni eventi imprevisti. Eravamo inoltre particolarmente desiderosi di dimostrare come Becket sia stato una figura europea sia in vita che dopo la sua morte, con il suo culto che divenne immensamente popolare anche nell’Europa continentale».
La venerazione del santo martire ebbe in effetti un’immediata e capillare diffusione in Europa, cosa che fa di Becket un santo europeo. Un aspetto, questo, che stimola più di una riflessione se si considera il particolare momento storico che il Regno Unito sta vivendo e che conferisce alla mostra un’ulteriore connotazione: «La questione al cuore dello scontro fra Becket ed Enrico II – che, come ha sottolineato il prof. Nicholas Vincent (University of East Anglia), può essere considerato una disputa sulla sovranità – arriva fino ai giorni nostri e alla Brexit: l’Inghilterra (e oggi il Regno Unito) è un paese che si governa in autonomia o che accetta leggi e controlli dall’esterno? È un tema, da sempre fortemente politicizzato, su cui torniamo nell’ultima sezione della mostra, dedicata a Becket e i Tudor. Per Enrico VIII questo problema è stato altrettanto importante, al punto da cambiare il corso della storia».
Più di 350 anni dopo l’assassinio in cattedrale, Enrico VIII considerava Becket un traditore. Del resto, le letture politiche di questa vicenda sono inevitabili e a giudizio di Lloyd de Beer i paragoni con figure contemporanee di oppositori, come quelle di Alexei Navalny o Jamal Khashoggi, non sarebbero azzardati: «La loro stessa esistenza minaccia – o ha minacciato, nel caso di Khashoggi – le strutture di potere dei regimi autocratici. La valenza leggendaria di Becket come difensore dei diritti delle Chiesa e del popolo è evidente oggi come allora. E non intendo affermare che la mostra sia a favore o contro Becket, ma semplicemente che nel raccontarne la vicenda mostriamo dei parallelismi interessanti per il mondo di oggi». Al centro della mostra, pertanto, non solo il drammatico evento dell’assassinio, ma anche le prospettive da cui questa storia è stata e continua a essere raccontata.
3/ «Tutti, gli anglicani come i cattolici, hanno visto in lui non solo un santo ma un eroe della coscienza e un martire della fede. E gli uomini politici, qualunque fosse la loro credenza o miscredenza, lo hanno considerato come uno dei più grandi rappresentanti delle tradizioni giuridiche di cui l’Inghilterra è, a buon diritto, molto fiera». Intervento del card. Roger Etchegaray nella conferenza stampa di presentazione della proclamazione da parte di papa Giovani Paolo II di san Thomas More a patrono dei governanti e dei politici
Riprendiamo sul nostro sito Intervento del card. Roger Etchegaray nella conferenza stampa di presentazione della proclamazione da parte di papa Giovani Paolo II di san Thomas More a patrono dei governanti e dei politici il 26/10/2000. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione La Riforma.
Il Centro culturale Gli scritti (29/12/2021)
San Tommaso Moro o l’elogio della coscienza
All’approssimarsi del Giubileo di quanti hanno responsabilità politiche, è un grande dono che Giovanni Paolo II offre loro, assegnando come patrono celeste san Tommaso Moro: un patrono di così alta levatura, alla misura di tutti quelli che debbono gestire la "cosa pubblica". Questo gesto spirituale è stato suggerito al Papa da uomini e donne di ogni orizzonte politico dei vari continenti. Tra i motivi che lo hanno fatto aderire alle loro richieste, Giovanni Paolo II evidenzia: "E fu proprio nella difesa dei diritti della coscienza che l’esempio di Tommaso Moro brillò di luce intensa". Ed aggiunge che la sua iniziativa è "in piena sintonia con lo spirito del Grande Giubileo, che ci immette nel terzo millennio cristiano".
Quando il Papa Pio XI canonizzò Tommaso Moro nel 1935 (due anni prima delle encicliche contro il nazional-socialismo e il comunismo), pronunciò queste semplici parole: "Che uomo completo!", riprendendo d’altronde la definizione che Erasmo dava del suo amico: "omnium horarum hominem": "un uomo per tutte le ore".
Di fatto, brillante avvocato alla City di Londra, membro a 27 anni del Parlamento di cui divenne lo speaker, poi Lord Cancelliere del Regno, primo laico ad assumere questa alta carica, Tommaso Moro ha affascinato i suoi contemporanei di tutta l’Europa. Carlo V diceva che avrebbe preferito perdere le migliori città del suo impero che essere privato di uno solo dei suoi consigli. Figura centrale dell’umanesimo, riceve nella sua celebre casa di Chelsea i grandi nomi del Rinascimento da Erasmo a Holbein il Giovane che fece il suo ritratto. Autore della straordinaria "Utopia" coltiva le arti, ma porta il cilicio. Uomo immerso negli affari pubblici, ma padre premuroso per i suoi quattro figli e parrocchiano assiduo alla messa quotidiana. Vive con pienezza il programma evangelico: essere nel mondo senza essere del mondo. Egli assume il duplice ruolo di Marta e Maria. A 55 anni, al culmine della gloria e del potere, dà le dimissioni. Per motivi di coscienza, per non chiudere gli occhi su delle ingiustizie flagranti. Tre anni dopo, è in prigione per quindici mesi durante i quali scrive il suo ultimo libro sulla Passione di Cristo, poi è la decapitazione, per avere rifiutato con cortesia ma fermezza di cedere all’arbitrio del suo Re che cercava di asservire la Chiesa allo Stato. Era il 6 luglio 1585. La vigilia, nella sua ultima lettera (scritta con il carbone di legna ) a sua figlia Margaret, spiega perché è felice di dare la vita quel 6 luglio: è l’ottava della festa di san Pietro, "roccia" dell’unità romana che Enrico VIII aveva osato attaccare e, poi, è la vigilia della festa di san Thomas Becket, l’arcivescovo di Canterbury martirizzato nella sua cattedrale nel XII secolo per la difesa della libertà religiosa.
Salì i gradini del patibolo appoggiato al braccio del luogotenente della Torre, dicendogli: "La prego, mi aiuti a salire; per scendere, me la caverò da solo!" Quindici giorni prima della decapitazione dell’uomo di Stato, un uomo di Chiesa aveva subito la stessa sorte, John Fisher, vescovo di Rochester: oggi sono onorati insieme nel calendario dei santi.
Tutti, gli anglicani come i cattolici, hanno visto in lui in primo luogo non solo un santo ma un eroe della coscienza e un martire della fede. E gli uomini politici, qualunque fosse la loro credenza o miscredenza, lo hanno considerato come uno dei più grandi rappresentanti delle tradizioni giuridiche di cui l’Inghilterra è, a buon diritto, molto fiera.
Giovanni Paolo II, proclamando ora Tommaso Moro patrono dei governanti e dei politici, vuole ricordare loro la priorità assoluta di Dio fino in seno agli affari pubblici. In un tempo di eclissi della coscienza, il Papa mostra a noi tutti un uomo che ha preferito la morte alla vita per fedeltà alla sua coscienza, a una coscienza che non ha cessato di illuminare alla luce di Dio e dei consigli dei saggi, lontano da ogni fanatismo e soggettivismo. Non è facile fare l’elogio della coscienza e testimoniare il suo valore supremo; poiché essa esige cure costanti di formazione, di maturazione affinché l’uomo vi scopra "la presenza di una legge che non si è dato da se stesso e alla quale è tenuto ad ubbidire" (Gaudium et Spes, n. 16).
A leggere le lettere commoventi scritte in prigione da Tommaso Moro, capiamo meglio fino a che punto l’obbligo di coscienza, che egli aveva posto nei confronti di tutte le autorità prestabilite, emergesse dalla sua santità.
A scoprirlo e ad imitarlo, ciascuno di noi si sentirà più uomo perché più chiamato alla santità, più libero perché più distaccato da tutto, più gioioso, perché più amoroso verso tutti.
Note al testo
[1] Il testo è disponibile on-line sul web; l’edizione a stampa è per i tipi Anchor Books, 1999.