1/ «“Il discepolo che Gesù amava, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?”» (Gv, 13, 25). Chi è Giovanni, l'evangelista? Perché egli è “il discepolo che Gesù amava”?, di Achille Tronconi 2/ [La figura di Giovanni nel] Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI: le radici della fede. Un’intervista di Angelo Zema a don Andrea Lonardo 3/ L’evangelista Giovanni nel Gesù di Nazaret di J. Ratzinger – Benedetto XVI, di Andrea Lonardo 4/ Ancora sull’evangelista Giovanni e su Paolo di Tarso accusati di aver “inventato” il Vangelo, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /12 /2021 - 22:29 pm | Permalink | Homepage
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1/ «“Il discepolo che Gesù amava, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?”» (Gv, 13, 25). Chi è Giovanni, l'evangelista? Perché egli è “il discepolo che Gesù amava”?, di Achille Tronconi

Riprendiamo sul nostro sito la trascrizione di una meditazione di don Achille Tronconi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. la sezione Sacra Scrittura e, in particolare, la sotto-sezione Vangeli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Qui i link ad altri testi di Achille Tronconi presenti sul nostro sito:

Il Centro culturale Gli scritti (27/12/2021)

Efeso, tomba di Giovanni apostolo

N.d.R. Meditazione tenuta ad un campo della parrocchia di Noli ad Andalo, il 21/04/1992. Il testo è stato trascritto dalla viva voce dell'autore e non è stato da lui rivisto. Sono stati omessi i riferimenti personali alla parrocchia ed ai giovani per i quali la meditazione era stata preparata.

Il parlarvi di Giovanni questa mattina lo ritengo uno dei regali più belli che possa farvi.

È una riflessione che nella mia vita dura da 20 anni, è un tormento che non ha preso soltanto la testa, ma mi ha attraversato la vita, tante volte, togliendomi il sonno, qualche volta togliendomi anche la ragione; aprendo ferite, consolando attese, sostenendo fatiche; sempre c’è stato con Giovanni un rapporto di conflitto, di desiderio, il volerlo capire.

Tutto ciò che ho letto su Giovanni mi ha sempre lasciato molto insoddisfatto, perché suggeriva, dava qualche nozione in più, qualche criterio esegetico, qualche parola spiegata meglio, qualche struttura, ma non riuscivo a trovare Giovanni.

E allora mi sono accorto che quello che cercavo era la sua esperienza di Dio, forse la più alta, volevo arrivarci vicino, attingere ad essa.

È questo che mi interessava; e mi interessava come chi resta affascinato fin da ragazzo da questa amicizia di Giovanni con Gesù - penso che sia la più bella che abbia mai visto la terra e i dati sono molto profondi. Pochi, ma abissali.

Quante volte certe espressioni, certi incontri, certe parole del Vangelo che fanno riferimento a questa amicizia ci sbalestrano proprio completamente perché sei tu che devi fare lo sforzo di aderire, di riuscire a trovare il sentiero che ti porta a capire.

Non è facile, è sconquassante, ma così - sono convinto - deve essere l’accostamento alla parola di Dio. Deve essere un tormento, un tormento d’amore. Non ci si arriva facilmente. A me fa impressione come certi esegeti o certe persone avvicinano la parola di Dio senza mai essere bruciati, senza mai essere sconvolti.

Ecco io questo l’ho provato soprattutto con il Vangelo di Giovanni. Non posso dire di amarlo pienamente, perché non si può amare il ferro rovente che ti segna il cuore: questo è il Vangelo di Giovanni, è il roveto ardente, è un'esperienza di Dio che continua a bruciare, un’amicizia che non ha mai avuto fine, ma è anche l’impresa grande, splendida che sento dentro alla mia vita, questa esperienza di Giovanni. Quindi è sicuramente uno dei doni più grandi che posso farvi: voi vedrete cosa farne.

Questo dice anche qual è l’approccio, quale sarà la spiegazione. Non sarà certo una lezione, ma un’esperienza.

Partiamo da quello che è stato il tormento nel tormento e per il quale solo un mese fa sono riuscito a trovare una risposta per ora soddisfacente. So già che non basterà, però, per ora, è soddisfacente e ve la voglio comunicare.

Mi sono chiesto più volte, con la libertà di chi ha fatto esperienza di materie profane come la psicologia, la filosofia e altre, mi sono chiesto con questa spigliatezza, che cosa significava questo discepolo che Gesù “amava di più” e non ho scartato nessuna ipotesi: ho voluto proprio essere molto libero, molto critico, molto insoddisfatto, di chiedermi perché c’è questa insistenza, questa definizione che sostituisce addirittura il nome.

Lo hanno motivato come umiltà, nascondimento, oppure hanno ipotizzato che questa immagine del discepolo sia il cristiano, la figura collettiva, la figura individuale… Mi sembrano tutte delle grandi arrampicate sui vetri, tutto per non entrare nel cuore del discorso, per mancanza di libertà, di spigliatezza, forse per mancanza di tanto desiderio: per entrare in Giovanni ci vuole un desiderio incredibile.

Io ho trovato soddisfacente questa risposta: l’errore di fondo, che non mi faceva vedere per tutti questi anni, è che per capire questo amore maggiore per Giovanni da parte di Gesù bisognava non guardare a Gesù ma a Giovanni.

Questo Giovanni che si nasconde continuamente, questo Giovanni che lo trovi soltanto quando guardi l’amicizia di Cristo - cioè in un rapporto - questo Giovanni che esiste solo in rapporto al Padre. Guardando Giovanni ho capito cos’è questo amore maggiore; è una risposta facilissima - lo si dice spesso che la risposta è facilissima quando ci si arriva!

Giovanni è colui che corrisposto all'amore di Cristo: questa è la risposta.

È l’unico che fin dall’inizio ha deciso di amarlo anche quando non lo capiva. Solo a cent’anni forse ha capito, ma quando ne aveva pochi e ha incontrato Gesù, il suo cuore ha deciso di amare quel maestro, di amarlo comunque - questa persona così strana, incomprensibile, pericolosa - lui ha deciso di amarlo.

Ed è per questo, ed è in questo la differenza: che un amore corrisposto è molto di più di una amore semplicemente donato. Giovanni è colui con cui Gesù ha avuto un’amicizia, perché l’amicizia, lo sappiamo, vuole necessariamente corrispondenza, come la figura di Maria di Magdala, l’altra grande amica che ha deciso di amarlo. Giovanni ha potuto vivere l’amicizia con Cristo e Cristo ha trovato in lui l’amicizia umana, un’esperienza profonda, vera, di amicizia.

Nel capitolo 13, a quello splendido e tremendo versetto 25, una di quelle cose che più mi ha segnato la vita, troviamo questo Giovanni che si stende sul cuore di Gesù. Esegeticamente non è certo il cuore del Vangelo - sappiamo che il punto massimo è la gloria di Cristo in croce, "Colui che hanno trafitto" - ma lo è nell’esperienza dell'apostolo Giovanni.

Ed è rimasto nel Vangelo per questo, molto nascosto, messo lì in qualche modo, quasi forzatamente messo lì, nonostante lui. Ma per fortuna è rimasto, come piccolo segnale, nel senso di visibilità, di questo grande sentiero, di questa grande esperienza dell’amicizia di Gesù con Giovanni.

Giovanni ha potuto aderire con tutta la sua vita al cuore di Cristo, un dono riservato a lui, ma certo non solo in quel momento. Penso che lo facesse d’abitudine, quando non capiva questo maestro, quando non capiva il suo comportamento, quando soprattutto lo sentiva distante, perché Gesù continuava ad essere colui che è altro.

Quando lo sentiva impossibile da possedere, da trattenere - lo stesso gesto che fa Maria di Magdala - quando lo sentiva amore, ma un amore che ribaltava, che rimandava ad altro, un amore che faceva esplodere fuori, che non teneva lì, che non diceva questo è il Paradiso e facciamo tre tende, fermiamoci qui.

Ma quando capiva che colui che gli era accanto era il Cielo e che quindi la sua amicizia, il suo tentativo di comunione, era continuamente messo a rischio, messo in forse proprio da questo, dalla stessa persona di Cristo, cosa faceva Giovanni? Quando viveva tutto questo e non capiva e soffriva e gemeva e non sapeva più che cosa inventare per il Suo Maestro, sicuramente, cosa faceva?

Si sdraiava sul cuore, raggiungeva Gesù in questo suo amore. È questo che faceva. Aveva, come ogni amico, scoperto che c’è una via unica dove risolvere tutto e arrivare a Gesù che è questo cuore aperto, diventare la vittima di questo amore, il cuore che non avrebbe mai respinto nessuno.

Ed è per questo che Giovanni non ha lasciato Gesù a differenza degli altri apostoli e discepoli.

Se Giovanni è presente nei momenti più importanti è perché c’era sempre. Non è come Pietro o Giacomo o Andrea, che erano chiamati a vivere i momenti solenni e ufficiali. Lui c’era sempre, era sempre col suo Signore e non pensava di scappare, perché sceglieva sempre questo sentiero d'amore, sempre percorribile, sempre, anche sotto la croce.

Gli altri per rimanere avevano bisogno di capire, a lui bastava amare e lo sceglieva continuamente. Ed è per questo, io credo, che Gesù ha affidato sua madre a lui: perché parlavano lo stesso linguaggio. Anche Maria non capiva Gesù, ma sceglieva di amarlo. Anche Maria non possedeva Gesù, pur vivendo tutta questa dimensione di madre-figlio, questo dramma come l’amico.

Questo dramma dove c’è una comunione di vita, ma la carne vuole riunirsi alla carne, vuole tornare ad essere una, non vuole che vi sia diaframma, separazione, in una comunione di vita. Quindi tutta la fatica, il dramma di percorrere questa comunione anche dentro alla carne con i suoi desideri di possesso, con le sue pazzie di gelosia, di rifiuto e di ricerca, capricci, con le debolezze, con la sua sessualità.

È un altro grande capitolo che Balthasar aveva bene intuito, qual era il rapporto di Giovanni con Maria, ma che è ancora tutto da vedere. Giovanni con Maria, quindi tutta la realtà della Chiesa, che loro giustamente rappresentano, perché hanno fatto la scelta di amare il Cristo e il Cristo sulla croce, il Cristo del Sabato Santo, il più difficile da amare, dove si è proprio vagliati, come dice la Scrittura: “passare al vaglio”.

È lì che sei vagliato perché devi amare senza la presenza dell'altro, amare nell'assenza, amare colui che muore, colui che è morto, amare colui che non è rimasto per amor tuo. Pensatelo lo sforzo di Giovanni nel vedere il maestro andar via, lui che ha sempre creduto di essere amato - e quante volte Gesù glielo ha dimostrato!

Ma come? Muori e mi dici di amare, mi dici di amarmi e muori? Te ne vai e mi dici di amarti, te ne vai e sai che ti amo?! Sabato Santo!

Giovanni è diventato grande proprio in questo suo cammino travagliato di amicizia con il Cristo, in uno sforzo costante di amarlo comunque, continuamente. Ha tentato di essere fedele come è fedele Dio, fedele ad un amore deciso, scelto.

Egli ha capito bene il Padre, perché ha capito questa fedeltà d'amore.

Il momento del vaglio quando ti viene chiesto di amare ciò che ti sembra assente e che solo l'amore ti dà la certezza che c’è, che non è il nulla ciò che ami. È veramente quell’esperienza che ti fa restare solo con l’amore e nient’altro; tutto ti viene tolto.

Lì sul Calvario ci sono tre persone che si amano e nient’altro. Ma è tutto: si stanno perdendo vicendevolmente, ma, ostinatamente, per un dono di grazia infinita, si stanno amando. Gesù compie ancora un gesto d’amore per loro due, e loro due altrettanto tra di loro nei confronti del Maestro e del Figlio.

Certo il Calvario è il culmine, ma proprio per questo, perché ci sono tre persone che si amano, le quali non hanno quasi più nessun motivo umano per farlo, anzi, tutto è contro, tutto è buio. Allora fanno l'esperienza della forza dell’amore, quando questo amore è Dio stesso, è amore divino e un amore che sarà il meccanismo stesso della Risurrezione, un amore che non può essere fermato da niente.

Ma per arrivare a vivere tutto questo, nella propria carne umana, sia per Maria che per Giovanni ci vuole tutta una vita di allenamento, di fatica, di ascesi perché altrimenti non ce l’avrebbero fatta, perché a loro è chiesto di vivere questo amore divino, questo amore vagliato, questo amore da risorto.

È chiesto di viverlo non nonostante la loro carne, ma dentro alla loro carne, la carne che non è capace di questo amore, ma che esplode dentro a questo amore, la carne che non si sa contenere, la carne che va verso la trasfigurazione, una carne che geme, stride. Tutto viene tirato, tutto è inadeguato ad un’esperienza così d'amore.

E allora il massimo livello della Grazia è proprio questo renderti capace di questo amore, senza polverizzare la tua umanità, la tua storia, la tua persona.

È veramente il velo di Mosè, per non morire nell'esperienza di Dio. È lo stesso Dio che ti preserva dall’esplosione, facendo questa esperienza che di per sé non sarebbe sostenibile. Un Dio quindi da amare, ma che ti dà la capacità di farlo, andando contro ad ogni misura, ad ogni regola, perfino contraddicendo se stesso - se questa è una contraddizione.

Maria e Giovanni sono riusciti a fare della proprio vita una preparazione continua di questa esperienza d’amore che sarà per tutti noi in Paradiso. Ecco, Giovanni è riuscito a fare della propria identità, la stessa identità dell’amico di Cristo, di colui che ha continuamente aderito. Lui non è altro che questo continuo tentativo di aderire al suo cuore - questo cuore impossibile - a questo cuore infinito. Non ha mai mollato Giovanni! Questa è fede! Credere continuamente che è possibile essere amici di Cristo, di quel Gesù lì, di quel Maestro.

Possiamo dire anche noi che ci chiamiamo amici, perché ci raccontiamo le cose udite dal Padre. Dov’è allora che si è veramente amici, soprattutto per noi, se non proprio quando ostinatamente stiamo col Padre nella preghiera, nell'ascolto, nella vita crocefissa, nell’obbedienza piena di gioia. È lì che noi siamo amici, è lì che risuona il comandamento: “Amatevi gli un gli altri”. La nostra amicizia parte dall’esperienza del Padre e di questo sapore di Padre sempre deve averne l’evidenza.

Chiediamo che questo sia vero, nonostante la nostra voglia di essere servi, non amici - servi indubbiamente meno bello di cristiani, preti - ma Gesù continua a dirci: “Ma io vi ho chiamati amici”.

Dov’è la nostra risposta, dov’è il nostro cuore, lì impareremo la compassione, la preghiera di intercessione, la preghiera di benedizione per tutti gli uomini, per tutte le creature. Lì impareremo dallo sguardo di Maria.

2/ [La figura di Giovanni nel] Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI: le radici della fede. Un’intervista di Angelo Zema a don Andrea Lonardo

Mettiamo a disposizione on-line la versione integrale dell’intervista di Angelo Zema, direttore di Romasette di Avvenire, apparsa sul numero di domenica 11 novembre 2007. Per approfondimenti, cfr. la sezione Sacra Scrittura e, in particolare, la sotto-sezione Vangeli.

Il Centro culturale Gli scritti (27/12/2021)

Don Andrea, il libro del Papa ha riscosso grande interesse, non solo tra i cattolici. L’esigenza di conoscere la verità su Gesù è molto sentita, nonostante continuino i tentativi di ridurre o banalizzare la sua figura. Qual è l’approccio di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI nel suo lavoro?

Possiamo comprenderlo facendo riferimento al capitolo ottavo dedicato all’evangelista Giovanni, il capitolo più difficile dal punto di vista storico, perché è evidente la diversità del linguaggio giovanneo da quello dei sinottici. Il Papa sottolinea che il quarto vangelo è stato scritto nella cerchia dei fedelissimi del discepolo prediletto. È la via del Concilio che ha affermato l’“origine apostolica” dei vangeli. Questa espressione vuole indicare che chiunque siano gli ultimi redattori dei vangeli essi rispecchiano fedelmente la testimonianza di coloro che sono stati testimoni oculari di Gesù. Il Papa afferma così che se Giovanni esplicita alcune cose che sono meno appariscenti nei sinottici, non ci presenta, però, un Gesù diverso dai sinottici. Quando Giovanni, ad esempio, ci racconta di Gesù che dice di essere il pane della vita, egli esprime con un intuito profondissimo ma reale l’intenzione propria di Gesù, annunciata dai sinottici nella moltiplicazione dei pani ed, ancor più, nell’ultima cena.

Il Papa parla di uno strappo tra il “Gesù storico” e il “Cristo della fede”, che con il tempo si è allargato. Da dove ha origine questo strappo?

Lo strappo moderno ha una profonda diversità da quello antico dello gnosticismo. Quest’ultimo non aveva alcun dubbio che Gesù fosse Dio, ma ne negava l’umanità. Dobbiamo agli gnostici la parola stessa ‘apocrifo’, che significa ‘nascosto’, poiché essi cercarono di accreditare le loro opere, scritte almeno 50 anni dopo i quattro vangeli, dicendo che gli apostoli li avevano nascostamente consegnati a loro e quindi gli altri cristiani non avevano potuto conoscerli. Cercavano così di superare lo stupore di chi si rendeva conto che il Gesù gnostico era una invenzione. Ma, senza il cristianesimo, lo gnosticismo non avrebbe potuto esistere! Esso è post-cristiano non solo cronologicamente, ma soprattutto teologicamente!
Lo strappo moderno che si è operato a partire dal settecento deriva, invece, da riletture della figura di Gesù a partire da schemi elaborati a prescindere da lui. Se una certa idea dell’uomo o di Dio non corrisponde al dettato evangelico, se ne deduce che il vangelo su quel punto non è affidabile. Il Papa cerca, però, di mostrare che quello strappo non è inevitabile, perché la fede accoglie il genuino frutto di una ricerca storico-critica non pregiudiziale. Già Paolo VI volle che il Concilio affermasse esplicitamente “senza alcuna esitazione la storicità dei vangeli”, nello stesso momento nel quale parlava dei tre stadi che hanno portato alla loro formazione.

Qual è il pericolo di una separazione tra il “Gesù storico” e il “Cristo della fede”, che appare anche attraverso la pubblicazione di «scoperte apparentemente nuove» sul mercato mediatico, come disse il cardinale Schönborn alla presentazione del libro sul Papa?

Il fatto stesso che esista un pericolo in questo senso dice quanto la fede cristiana sia ragionevole ed accetti la sfida del dialogo e del confronto. Perché per la fede è essenziale che ciò che si annunzia sia legato alla reale intenzione di Gesù di Nazaret. Altrimenti il cristianesimo diventerebbe una ideologia auto-referente. La fede cristiana afferma che la Parola piena e definitiva di Dio, la Parola che svela il suo mistero, è la persona di Gesù. La Scrittura è Parola di Dio in quanto mezzo per giungere a Lui. Se essa fosse inaffidabile, se Gesù fosse solo un uomo, sia pure uno straordinario rabbino, Dio non ci avrebbe minimamente fatto conoscere il suo vero volto. È straordinario come i diversi capitoli del libro riconducano continuamente il lettore a Gesù stesso. Il capitolo sul regno di Dio, ad esempio, dinanzi all’affermazione del modernista Loisy “Gesù ha annunciato il regno ed è arrivata la chiesa” replica: “Si aspettava il regno ed è arrivato Gesù”! Così analogamente nell’analisi della parabola del padre misericordioso Benedetto XVI mette in evidenza come il Padre mostri il suo volto non solo nel racconto, ma proprio in Gesù che siede al banchetto dei peccatori. Dalle Parole alla Parola, potremmo dire.

Il Papa sottolinea che «il popolo è il vero, più profondo “autore” delle Scritture». In che senso va colta questa indicazione? Quale dovrebbe essere il corretto atteggiamento di fronte alle Scritture?

Per la chiesa, a differenza dei testi sacri di altre religioni, i singoli autori sacri sono veri autori dei loro scritti. Si potrebbe tradurre l’espressione vangelo secondo Marco con al modo di Marco. Ma, al contempo, l’unico Dio è autore di tutti i differenti libri che compongono la Bibbia. Esiste così un sensus plenior, un senso più pieno, che si rivela non necessariamente al momento in cui un testo viene scritto, ma nel prosieguo dell’unica storia della salvezza condotta da Dio. Benedetto XVI sottolinea come questo sensus plenior non sia artificialmente aggiunto dall’esterno alla Scrittura, ma sia proprio la dinamica che lega i libri sacri gli uni agli altri. San Paolo, ad esempio, nella lettera ai Romani rilegge alla luce della salvezza operata dal Cristo il testo di Genesi sul peccato di Adamo. È il popolo di Dio che, attraverso le generazioni, conferisce storicamente unità alla Bibbia, rileggendo continuamente nello Spirito i libri precedenti. È per questo che l’interpretazione di un brano nel suo contesto e quella che guarda all’unità della Bibbia non vanno mai separate. Lo Spirito stesso guida alla verità tutta intera continuando questo processo nella tradizione della chiesa.

Qual è il “messaggio” portato da Gesù, se possiamo utilizzare questa parola, che emerge dal libro del Papa?

È un messaggio che non è esterno a se stesso. Se Gesù annuncia continuamente – dice il libro - il primato di Dio, se parla continuamente del Padre, se manifesta il suo volto, lo fa perché egli ne è il Figlio. Più volte Benedetto XVI ha insistito sul fatto che il desiderio di verità è connaturale all’uomo; già l’Antico Testamento contesta gli idoli non veri delle religioni circostanti, mostrandone i tratti disumani e non divini. Solo la verità permette di liberarsi dall’errore. La pretesa di Gesù di rivelare Dio è, in maniera definitiva, una esigenza di verità. Nell’ultimo capitolo il volume mostra come tutta la teologia giovannea sia già contenuta nella cosiddetta esclamazione di giubilo dei sinottici, nella quale Gesù afferma: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”. Questa verità è amore. Il libro sottolinea che proprio le espressioni “io-sono” del vangelo di Giovanni –“io sono la luce”, “io sono il pane”, ecc.- esprimono l’amore divino che si fa personalmente, in Gesù, dono di vita per gli uomini.

Un’ultima domanda per chi ancora non si è accostato al libro e intende farlo, anche in considerazione della scelta della diocesi di inserirlo nel suo cammino di fede per quest’anno. Quali consigli darebbe a chi apre il libro del Papa?

Di leggerlo scoprendo il valore di un opera che torna a porre la questione dell’essenza del cristianesimo. Siamo troppo abituati a ragionare a partire dalle eccezioni e dagli stimoli effimeri del momento, mentre dobbiamo recuperare ciò che è essenziale. Anche l’annuncio del vangelo ha sempre convinto l’uomo quando ha affrontato le grandi questioni, quelle che stanno veramente a cuore all’uomo di ogni tempo.
Poi di non scoraggiarsi se incontra qualche passaggio che appare difficile. Dobbiamo tornare – ci invita il Papa - al gusto di pensare, di voler capire. E, perché questo sia possibile, dobbiamo coltivare il senso del silenzio e della riflessione. È per una gioia più grande che si affronta la fatica della lettura!
Infine di provare a meravigliarsi nuovamente dell’evento cristiano e della saggezza con la quale la chiesa lo ha trasmesso agli uomini. Come ebbe a scrivere G.K. Chesterton: “Taluni hanno preso la stupida abitudine di parlare dell'ortodossia come di qualche cosa di pesante, di monotono. Non c’è invece niente di così eccitante come l’ortodossia: l’ortodossia è la saggezza e l’essere saggi è più drammatico che l’essere pazzi”.

3/ L’evangelista Giovanni nel Gesù di Nazaret di J. Ratzinger – Benedetto XVI, di Andrea Lonardo

Riprendiamo sul nostro sito la trascrizione di un capitoletto di uno studio di Andrea Lonardo sul Gesù di Nazaret di J. Ratzinger – Benedetto XVI, già pubblicato on-line. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. la sezione Sacra Scrittura e, in particolare, la sotto-sezione Vangeli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (27/12/2021)

L’ottavo capitolo di Gesù di Nazaret è dedicato a Giovanni. Il quarto vangelo è di una bellezza straordinaria, ma il problema che subito l’Autore desidera affrontare è quello della sua attendibilità.

Cosa rispondere a chi afferma che Gesù non abbia mai utilizzato il linguaggio con cui è presentato da Giovanni, poiché esso è chiaramente differente da quello dei sinottici che appaiono, a prima vista, più storici? 

In alcune letture esegetiche si accentua, infatti, talmente la non-storicità di Giovanni per cui non resta poi che presentare questo vangelo come pura creazione letteraria.

Il Gesù di Nazaret di J. Ratzinger-Benedetto XVI accetta tranquillamente il fatto che Gesù non abbia parlato con le precise parole che troviamo nel quarto vangelo. Ci fa, però, al contempo, subito capire che il vangelo di Gv appartiene alla tradizione di quel discepolo amato che ha compreso più profondamente degli altri il vero senso di ciò che Gesù ha detto e operato

Se gli altri evangelisti hanno riportato con maggiore fedeltà le parole espressamente pronunciate da Gesù, Giovanni è colui che ne ha espresso immediatamente il loro significato che, presente anche nei sinottici, è, però, in loro meno esplicitato.

Ci sono così delle differenze nel linguaggio di Giovanni e dei sinottici, ma questo non ci deve far perdere il senso della profonda unità che li accomuna e della concorde testimonianza che rendono.

Per giungere a queste conclusioni l’Autore innanzitutto illumina la questione dell’autore del quarto vangelo. Benedetto XVI scrive:

Dietro il testo vi è, ultimamente, un testimone oculare, e anche la redazione concreta è avvenuta nella vivace cerchia dei suoi discepoli e con l'apporto determinante di un discepolo a lui familiare.

Il punto determinante di questo passaggio non sta nel tentativo di identificazione precisa di chi sia questo personaggio, quanto piuttosto nell’affermazione che chiunque esso sia egli è attendibile, perché radicato nel rapporto con l’apostolo e con i discepoli a lui familiari. È l’affermazione dell’ “origine apostolica” dei quattro vangeli che è la scelta caratteristica della Dei Verbum, quando volle fornire i motivi del perché la chiesa riconosce e proclama la credibilità storica ai vangeli.

Dei Verbum 18, affermando l’“origine apostolica” dei vangeli (Quattuor Evangelia originem apostolicam habere Ecclesia semper et ubique tenuit ac tenet), volle lasciare libero campo alla ricerca su chi fossero i diversi redattori degli scritti neotestamentari, ma, al contempo, indicare che essi non furono liberi battitori, bensì espressione della predicazione apostolica, poiché gli apostoli e gli uomini della loro cerchia esercitarono una precisa influenza sulla formazione di questi testi scritti. Ne furono gli ispiratori ed, insieme, espressero la conferma di quei testi che venivano scritti o di persona o attraverso la tradizione che alla loro testimonianza si richiamava.

Il vangelo di Giovanni, afferma il volume Gesù di Nazaret, ha così un “particolare tipo di storicità”, poiché la “voluta impostazione teologica dell’autore” si serve di quattro elementi che concorrono alla formazione del quarto evangelo:

“Questi due fattori - la realtà storica e il ricordo - conducono tuttavia da sé [agli altri due elementi] menzionati da Hengel: la tradizione ecclesiastica e la guida da parte del Paraclito”.

E questi elementi non si oppongono a vicenda, come se dovessimo separare la storia e l’apporto dello Spirito Santo o la comprensione propria di Giovanni e quella degli altri apostoli.

Facciamo solo un esempio, non potendo dilungarci in questa sede. È vero che i racconti della moltiplicazione dei pani nei sinottici ed in Gv esprimono sottolineature diverse. Solo in Gv e non nei sinottici alla moltiplicazione dei pani fa seguito il discorso nella sinagoga di Cafarnao nel quale Gesù dice: “Io sono il pane della vita”.

Ma – è qui il passaggio importante - Gv non ha inventato una bella storiella infedele alla realtà, ma ha espresso più esplicitamente degli altri la verità profonda di ciò che storicamente Gesù ha detto e fatto.

Due esempi. Ricordo di una giovane che aveva grande amore per un mio amico e, al contempo, grande intuito. Quando questo comune amico annunziò pubblicamente che entrava in seminario, mentre tutti gli altri nostri amici erano stupiti e commossi fino alle lacrime, disse: “Ma io l’avevo già capito quando ti avevo chiesto quale facoltà avresti scelto dopo il Liceo e tu mi avevi risposto che stavi pregando per capire cosa Dio voleva da te”. Quel comune amico non aveva mai detto esplicitamente “Entrerò in Seminario”, ma la sua amica, se qualcuno le avesse chiesto cosa avrebbe fatto quel giovane l’anno dopo, avrebbe detto: “Entrerà in Seminario!”. Chi è più aderente ai fatti, chi è più “storico”? Chi dice che non si sa cosa avrebbe fatto quel ragazzo o chi intuisce le sue intenzioni vere?

Giovanni è l’amico che intuisce le intenzioni di Gesù prima di tutti, Giovanni è colui che vede e crede. La sua comprensione di Gesù è più aderente ancora al maestro e Signore dei sinottici, egli è più fedele dei sinottici, anche se apparentemente lo è meno.

Un secondo esempio. Una parrocchiana mi ha raccontato: “Avevo capito che il mio parroco avrebbe cambiato parrocchia prima che lo dicesse agli altri, perché aveva risposto ad una domanda sul programma dell’anno a venire con un tono così particolare mentre diceva: ‘Non ho ancora deciso come organizzare l’anno prossimo’. Gli altri non avevano dato peso a quella risposta, ma io avevo già capito tutto”.

Giovanni capisce, Giovanni intende. Certo tutti annunciano lo stesso “mistero”, ma Giovanni lo esplicita .

Ad esempio, tutti gli evangelisti comprendono pienamente il senso della moltiplicazione dei pani alla luce dell’ultima cena, che manifesta ciò che Gesù aveva nel cuore.

Marco dice, ad esempio: “Gesù prese i pani, levò gli occhi, pronunziò la benedizione, li spezzò, li diede” – gli stessi vocaboli dell’ultima cena!

Giovanni, invece, sintetizza tutto quando mostra Gesù che dice: “Io sono il pane della vita”. Così tutto è detto di tutto ciò che è contenuto nella moltiplicazione dei pani e nell’eucaristia.

Giovanni ha così compreso ancor più profondamente l’intenzione di Gesù e la esprime con il suo linguaggio.

Quindi possiamo discutere delle diverse sottolineature, ma non dobbiamo dimenticare che, per certi aspetti, Giovanni è più storico degli altri evangelisti. Egli è l’“amico”, è colui che capisce.

4/ Ancora sull’evangelista Giovanni e su Paolo di Tarso accusati di aver “inventato” il Vangelo, di Andrea Lonardo

Riprendiamo sul nostro sito il link alla trascrizione di un capitolo del volume A. Lonardo, Il Dio con noi. Piccola cristologia del buon annunzio, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2015. Per approfondimenti, cfr. la sezione Sacra Scrittura e, in particolare, la sotto-sezione Vangeli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (27/12/2021)

Per un ulteriore approfondimento sull’evangelista Giovanni, vedi, su questo stesso sito l’articolo Chi ha inventato il cristianesimo: Gesù, oppure Paolo e Giovanni?, di Andrea Lonardo