Capire il Risorgimento passeggiando per il quartiere Prati. L’evidenza di un quartiere urbanisticamente progettato per “ignorare” San Pietro, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /12 /2021 - 22:44 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Roma e le sue basiliche e Settecento e ottocento a Roma.

Il Centro culturale Gli scritti (20/12/2021)

1/ L’esclusione di qualsiasi prospettiva su San Pietro

Le architetture e i manufatti aiutano a capire la storia più di tante altre cose. Da via Ottaviano, nel quartiere Prati, non si vede la cupola di San Pietro se non quando si giunge a piazza Risorgimento. È evidente che la sistemazione urbanistica del quartiere Prati è stata pianificata perché nessuna via abbia come sfondo la cupola di San Pietro: da nessun luogo essa è visibile, se non quando vi si arriva proprio sotto.

Se taluni critici affermano che tale pianificazione sia una diceria[1], perché non si trovano indicazioni urbanistiche descritte nei piani urbanistici dell’epoca, ci si accorge che tale cosa è comunque un dato di fatto ed hanno ragione gli autori, come il sito del Touring club che lo affermano senza mezzi termini[2]:

«La Giunta Comunale di Roma dettò una indicazione precisa per il nuovo quartiere: evitare la visuale prospettica della cupola di San Pietro. Siamo nell’Italia post-unitaria, con governi laici ed anticlericali, un Papa che si sentiva ingiustamente ed arbitrariamente espropriato del suo Stato e un re scomunicato; rapporti non certo facili tra Chiesa e Stato. Questo spiega perché le lunghe vie del quartiere furono tracciate in modo da evitare la prospettiva della cupola vaticana».

Il Risorgimento voleva una Roma che cancellasse San Pietro e il papa dal suo sguardo e sono proprio le pietre a dimostrarlo. Gli edifici dicono che la prospettiva di una “libera chiesa in libero stato” era tutt’altro che chiara e taluni pensavano piuttosto ad una cancellazione della chiesa – anche se, come si vedrà più avanti, tutta un’altra corrente del Risorgimento era assolutamente cattolica e consapevole del ruolo decisivo giocato dalla Chiesa nei secoli per l’Unità d’Italia.

Questo non implica, comunque, addossare ombre solo sul laicismo risorgimentale, perché anche la Chiesa ha avuto le sue precise responsabilità. Osservare, però il quartiere Parti fa comprendere come anche la Chiesa avesse ragioni fondate per diffidare del Risorgimento.

Quello che si vuole qui sottolineare è come gli edifici, che sono solidi e non volatili come le interpretazioni, mostrino la durezza dell’atteggiamento presente in una vasta ala del Risorgimento. Si trattava di una vera e propria damnatio memoriae: si pretendeva nascondere la Chiesa e il suo ruolo e cancellare anche il fatto evidente che erano stati proprio la fede cristiana ed i suoi uomini a giocare un ruolo determinante nella maturazione dell’idea dell’Italia nei secoli e nei millenni.

Nessuna via del nuovo quartiere doveva guardare a San Pietro – e di fatto nessuna vi guarda - mentre qualsiasi urbanista di buon gusto avrebbe fatto sì che almeno qualche via, e delle più importante come via Ottaviano, avesse per sfondo la meraviglia della Cupola.

Le costruzioni attestano, invece, che solo quando si svolta l’ultimo angolo che dà accesso da via Ottaviano a piazza Risorgimento, solo allora si vede la cupola - e si noti bene che a quel tempo non c’erano innanzi i palazzi dell’odierna Città del Vaticano più bassi, ma si sarebbero visti subito il Palazzo Apostolico e la Cupola in maniera più evidente.

Ecco: questa è la Roma risorgimentale, questa è anche la Roma del sindaco Ernesto Nathan, una Roma tutt’altro che libera e liberale, bensì escludente.

2/ L’ubicazione su vie secondarie delle nuove chiese

Non solo l’urbanistica è costruita volutamente evitando che qualsiasi via affacci sulla cupola di San Pietro, non solo i nomi di piazze e vie sono chiaramente risorgimentali come quelli di piazza Risorgimento, di piazza Cavour e così via, ma anche le nuove chiese necessarie ai nuovi quartieri sono per la prima volta ubicate in maniera da non essere immediatamente visibili.

È chiaro che il nuovo Stato continuò a costruire nuove parrocchie cattoliche, perché la popolazione era credente e ne aveva bisogno, ma, volutamente, non le pose sulle vie principali, ad esempio su via Ottaviano, ma sulle vie laterali come in via degli Scipioni.

Qui è la nuova chiesa parrocchiale di età risorgimentale, la più vicina a San Pietro in Prati, dedicata a Santa Maria del Rosario, affidata ai Padri Domenicani, che troviamo in via degli Scipioni, una via laterale, senza che sia evidente in alcun modo la facciata, mentre prima di allora sempre le chiese erano state costruite in luoghi di passaggio e affacciantesi sulle piazze.

3/ Il sequestro dei complessi ecclesiastici, pur nell’apprezzamento della religione

È interessante questo duplice rapporto, questa relazione articolata, per la quale non si può eliminare la Chiesa - e anzi si costruiscono nuove chiese -, ma al contempo la si combatte.

Da un lato l’Unità d’Italia vuole che Roma resti la città dei papi: è ben per questo che essa e non altri poteva e doveva essere la capitale d’Italia. Certo Roma era destinata ad essere capitale non solo a motivo del mondo classico (l’Impero romano era finito da un pezzo), ma proprio perché Roma è Roma, perché Roma è grande perché vi risiede il pontefice che ha come intessuto le radici dell’unità italiana e la sua trama millenaria.

Ed è per questo che Cavour volle il Crocifisso nelle scuole – non fu Mussolini, come spesso si sente ripetere da persone che non conoscono il Risorgimento, ma Cavour che vuole il Crocifisso in tutte le aule del Regno d’Italia, volendo altresì che si insegnasse religione nelle scuole dello Stato – perché per lui è la fede cristiana che ha dato identità all’Italia, è essa che ha generato quello sguardo nuovo sull’uomo che è all’origine del paese. Ed è Mazzini a volere che si insegni Dante in tutte le scuole e che nascano in ogni città d’Italia Case di Dante, perché ritiene la Commedia e gli altri scritti dell’Alighieri all’origine dell’unità d’Italia (cfr. su questo Fu Giuseppe Mazzini a riscoprire Dante come padre della lingua italiana e a darne l’interpretazione di primo patriota italiano, quasi precursore del Risorgimento, di Andrea Lonardo e «Dante ha fatto più per l’Italia, per la gloria e per l'avvenire del nostro Popolo, che non dieci generazioni d'altri scrittori o d'uomini di stato». “Dante”: testo integrale dell’articolo che Giuseppe Mazzini scrisse per gli Operai Italiani in Londra sulla rivista da lui fondata, l'Apostolato Popolare).

Fa parte del Risorgimento un amore profondo per le radici d’Italia e, quindi, per il cristianesimo.

Se si guarda a quello che potrebbe apparire come il monumento più laicista di Roma, che è il Vittoriano oggi noto come Altare della Patria, con i suoi gruppi scultori freddi e astratti che esaltano le virtù dell’Italia, prescindendo dalla sua storia anche cristiana, ecco che alla base della statua equestre del re ci sono i simboli dei Comuni d’Italia, i simboli di Milano, Torino, Venezia, Palermo, Napoli e così via ed ecco che lì sono tutti i simboli cristiani perché è evidente che quelle città hanno la loro storia comunale radicata nel cristianesimo: il leone dell’evangelista San Marco per Venezia, lo scudo con la croce per Milano e così via (cfr. su questo Il Vittoriano: breve guida alla comprensione dei simboli del monumento al primo re d’Italia ed all’Unità della Patria. Un monumento risorgimentale che cela però la storia d’Italia, di Andrea Lonardo).

D’altro canto, all’opposto, quello che si desidera è relativizzare la presenza e la memoria cristiane: è un paradosso, un’esaltazione e al contempo una demonizzazione. Mentre si pone il Crocifisso nelle aule scolastiche di tutto il Regno d’Italia, al contempo si nasconde la visuale di San Pietro in Roma, al contempo si pongono le nuove chiese in vie laterali, nel desiderio di defilarle e di renderle irrilevanti.

Con diversi dispositivi legislativi, inoltre – si vedano le Leggi Siccardi – vengono sequestrati quasi tutti i complessi di proprietà della Chiesa o dei diversi ordini religiosi, espropriandoli e mettendoli all’asta, smembrando così edifici sorti da secoli in dialogo fra di loro.

Ad esempio, viene salvata la chiesa dell’Ara Coeli al Campidoglio, ma viene sequestrato e distrutto il convento annesso dei francescani. Oggi ci si domanderebbe: ma com’è stato possibile mandare in rovina complessi millenari, scrigni d’arte e di storia? Allora, invece, era normale, non solo perché mancava ancora il senso della conservazione dell’antico, ma anche perché si doveva sovrapporre alla precedente una nuova immagine di Roma ed era quindi ritenuto legittimo distruggere quel convento per erigere il Vittoriano

Allo stesso modo alla Chiesa Nuova viene sottratto all’oratorio del Borromini che era stato costruito per l’attività dei Padri dell’Oratorio: incurante di tale storia, il nuovo Stato lo sequestrò e tuttora esso è proprietà dello stato e i padri della Chiesa Nuova della Vallicella non possono più usufruirne.

Lo stesso dicasi del convento e del cortile di San Pietro in Vincoli, che venne sequestrato, divenendo poi la Facoltà di Ingegneria. I varchi fra il cortile e la chiesa vennero chiusi e ai padri restò solo l’edificio chiesa, ma non tutti i restanti edifici di abitazione, di studio e di vita comune.

Lo stesso avvenne con la basilica di Sant’Agostino, dove agli agostiniani restò la chiesa, mentre vennero sequestrati la Biblioteca Angelica e il convento che oggi è l’Avvocatura di Stato.

Sono solo degli esempi che rendono visibile il dramma che si realizzò: ma tali sequestri riguardarono ogni edificio ecclesiastico. Le chiese – e non sempre - restarono ai chierici, mentre tutto il resto venne depredato dallo Stato con rovina di patrimoni culturali e artistici inenarrabili[3].

Lo stesso monarca elesse a propria residenza il Palazzo papale del Quirinale, cancellando la proprietà pontificia. Il paradosso che ne consegue è che, se si guarda al Quirinale con attenzione, ci si accorge che qualunque personalità che attraversi il portone per entrarvi, transita sotto ad un arco dove sono scolpiti la Madonna con il Bambino e i santi Pietro e Paolo e che la torretta del Quirinale, sulla quale sventolano la le bandiere della Repubblica Italina, dell’Europa Unita e del Presidenza della Repubblica, risplende anche dei segni della croce in alto, dell’immagine della Madonna con il Bambino e di una targa che ricorda la beneficenza dei pontefici.

Ecco: questa è la storia d’Italia e la sua bellezza. In Italia Chiesa e laicità, sono sempre correlative, sono insieme, sono sorelle, stanno lì, discutono, si vogliono bene, dibattono e litigano insieme e si fondono vicendevolmente. D’altro canto la laicità esiste solo dove c’è stato al contempo il cristianesimo e se non c’è stata la Chiesa non esiste oggi una chiara laicità, in nessuno Stato del mondo - si pensi solo al mondo islamico o a quello di traduzione induista.

4/ Il ponte Vittorio Emanuele II

L’astio contro il pontefice e la Chiesa è evidente anche nell’apparato iconografico di ponte Vittorio Emanuele II.

Se lo si guarda dal lato della città, da corso Vittorio Emanuele, la statua di sinistra rappresenta una figura alata – che fa il verso agli angeli del Ponte di Castel Sant’Angelo che recano i diversi strumenti della Passione di Cristo.

L’angelo del ponte risorgimentale ha delle catene spezzate in mano: attesta la convinzione, ovviamente falsa, che prima si fosse schiavi sotto il papato, mentre solo con il Risorgimento sarebbe giunta a Roma la libertà.

Questa è l’idea palingenetica che non poteva essere accettata dai romani di allora – e, difatti, le fonti non registrano entusiasmi da parte della popolazione romana all’avvento del nuovo governo: semplicemente i romani accettarono il nuovo stato di cose.

Essi sapevano che era ormai giunto il momento che Roma divenisse la capitale d’Italia e con il plebiscito lo accettarono. Ma i cittadini del tempo non guardarono al nuovo governo come se si fosse passati dalla schiavitù alla libertà, dalle barbarie alla civiltà.

Il Risorgimento, attraverso quella figura che ha le catene spezzate, voleva comunicare l’idea di un rinnovamento ideale e assoluto, dal male assoluto alla libertà e al bene. Nelle intenzioni risorgimentali la popolazione che nelle loro intenzioni avrebbe dovuto accogliere le truppe della breccia di Porta Pia come i liberatori, ma così non fu.

Sul lato destro del ponte, visto da corso Vittorio, sta invece una seconda figura alata che giunge ad incoronare le truppe giunte a “liberare” Roma. Ora quel gesto dice, nuovamente una palingenesi: è un’idealizzazione dell’età risorgimentale, anche se la storia della città non era poi così disastrosa, tanto è vero che proprio quella città l’Italia scelse come propria capitale.

Sotto il ponte Vittorio Emanuele, si vedono, invece, resti del vecchio ponte romano, quello che probabilmente attraversarono Pietro e i protomartiri romani per essere condotti al martirio dove era il circo di Gaio e Nerone e dove è ora la basilica di San Pietro.

Sul ponte stanno poi dei gruppi fortemente celebrativi e su uno di essi si vede la data del 1870 – chi scrive riconosce che quella data fu una benedizione sia per l’Italia che per la Chiesa.

Dall’atra parte del ponte si vede un gruppo analogo con una fiaccola che giunge ad illuminare Roma, una fiaccola che avanza verso San Pietro, quasi che il luogo del martirio di Pietro e della residenza dei pontefici fosse il luogo delle barbarie e del buio tenebroso.

Siamo nel 1911, siamo negli anni del sindaco Nathan, e l’idea che si vuole trasmettere con quel gruppo scultoreo è che finalmente le famiglie romane, i papà, le mamme e i bambini sono salvi: si vede, infatti, dall’altro lato del ponte un enorme soldato e dietro di lui una coppia con un bambino - la famiglia era importante in quel tempo, per il nuovo Stato italiano – e il soldato protegge quella famiglia che rappresenta tutte le famiglie romane e italiane con uno scudo. Più avanti si vede di nuovo gente ancora incatenata che viene liberata dai vincoli.

Quando si giunge all’altro capo del ponte, quello verso la basilica di San Pietro, ecco le posture degli “angeli” cambiano. Si vede una figura alata che sguaina la spada in direzione di San Pietro e del palazzo del papa. Tutta l’architettura risorgimentale vuole dare questa idea: “Voi siete stati i nostri nemici e noi abbiamo sconfitto voi, il papa e tutta la Chiesa con lui, e la nostra spada resta sguainata”.

5/Alcuni fatti poco noti accaduti il 21 settembre 1870 e nei giorni immediatamente successivi aiutano a precisare i termini della questione: il papa chiese che le truppe avanzassero fino al colonnato, mentre esse dovevano arrestarsi, secondo i disegni del re, a Castel Sant’Angelo

Vale la pena rivolgersi agli ultimi studi sui fatti del 20 settembre 1870, relativamente alla presa di Porta Pia, per comprendere quanta ideologia c’è nell’angelo scolpito su Ponte Vittorio Emanuele II che sguaina la spada verso San Pietro!

Gli studi moderni, non ancora recepiti nei manuali di storia, attestano che le truppe italo-piemontesi avevano l’ordine del re di attestarsi fuori Castel Sant’Angelo e così esse fecero, arrestandosi più o meno dove ora è il Palazzo di giustizia. Non era del tutto chiaro quale sarebbe stato lo status giuridico del pontefice, ma certamente egli doveva restare libero di muoversi dalla basilica fino a Castel Sant’Angelo, cioè entro le mura della cosiddetta città leonina – entro quelle mura che erano state erette nell’alto medioevo in funzione anti-araba, dopo l’attacco musulmano a Roma dell’anno 846[4].

Ma cosa successe? Sono stati analizzati in dettaglio i telegrammi che il papa e il re si inviarono tramite i loro rappresentanti e questo “carteggio” ci fa capire quanto essi fossero “amici” pur essendo “nemici”. In quella prima notte della nuova Italia, la notte del 20 settembre, le truppe italiane erano attestate prima delle mura di Castel Sant’Angelo e il Papa aveva dismesso immediatamente tutte le poche truppe a difesa – pochissimi ricordano che le truppe pontificie erano, anche prima di quel momento, pochissime e che non ci fu nessuna battaglia a Porta Pia[5], ma solo una scaramuccia, perché il papa aveva dato ordine di sparare sollo qualche colpo a scopo dimostrativo perché fosse evidente che l’ingresso dei militari italiani era una vera e propria invasione contro il diritto internazionale e solo una iniziativa personale di volontari giunti a Roma a difesa del papa aveva fatto sì che ci fossero morti che il pontefice non voleva, anche se in un numero irrisorio se paragonati a qualsiasi guerra che si sia combattuta nella storia.

Ebbene in quella notte ci si rese subito conto che il Palazzo del pontefice, non più all’interno di uno stato di cui il papa era stato la guida, ora era esposto a pericoli e, difatti, in quella notte alcuni manifestanti, probabilmente anarchici ed anticlericali dell’epoca cercarono di entrare nella dimora del papa. Non si deve dimenticare che le mura vicino a Porta Sant’Anna allora non c’erano e vennero costruire successivamente, per cui chi fosse entrato dentro le mura Leonine, fino al gionro prima sorvegliate della gendarmeria del papa, da lì poteva entrare nel Palazzo papale senza trovare ostacolo alcuno.

Allora il papa Pio IX fece inviare al suo segretario di Stato (cfr. su questo 1/ La breccia di Porta Pia e l’amicizia non solo “inimica”. Non ci fu solo il 20 settembre 1870, ma anche il 21 settembre che rivela un incredibile dialogo fra la nuova Italia e Pio IX. Appunti di Andrea Lonardo sulla documentazione immediatamente successiva alla Presa di Porta Pia 2/ De Amicis, l’autore del libro Cuore, inviato a Roma per la presa di Porta Pia, il 20 settembre 1870: «I ragazzi sono soldati d'artiglieria grandi e robusti come ciclopi: baciano il piede alla statua di San Pietro. Un pretino par che dica: - Sono cristiani queste bestie feroci! Meno male! Una lunga fila di soldati è inginocchiata intorno all'altar maggiore». Appunti di Andrea Lonardo) un telegramma al generale Cadorna, che guidava le truppe italiane, perché si rivolgesse al Re d’Italia e questi ordinasse alle truppe di avanzare fino al colonnato per proteggere il papa.

Incredibile! È il papa che chiede al re di avvicinare le truppe da Castel Sant’Angelo fino al colonnato e di interporsi, perché nessuno si infiltri in Vaticano.

Si noti bene che, attraverso questa richiesta, si preparò quello che è l’attuale confine dello Stato Pontificio che confina con la Repubblica Italiana al colonnato del Bernini e non a Castel Sant’Angelo.

Il re, dal canto suo, capì la situazione che egli stesso aveva creato, facendo dismettere la “polizia” dello Stato Pontificio che a quel punto non esisteva più.

Il re, allora, decise di far avanzare le truppe a difesa del Papa. Ma non era ancora chiaro quale doveva essere il rapporto fra il Regno d’Italia e quel fazzoletto di terra che si restringeva ulteriormente con l’avanzare delle truppe fino al colonnato.

Cadorna, nello scrivere al re, fece un’ulteriore interessantissima richiesta cui il papa non aveva minimamente pensato. Chiese infatti al re chiarimenti tali che si potrebbero così sintetizzare: “Ma se poi il papa, dopo averci chiesto di avanzare fino al colonnato, ci chiedesse fra qualche giorno di tornare indietro fino a Castel Sant’Angelo, cosa dobbiamo fare?”

Il re rispose al generale che in quel caso sarebbe stato bene ritirarsi di nuovo perché si doveva avere rispetto per il Papa.

Ecco queste incredibili attenzioni delle due parti, questa “amicizia” si potrebbe dire, pur nella tensione gravissima fra il regno e il papa.

Fra l’altro, questa “amicizia” c’era stata in realtà anche in precedenza, anche durante il periodo delle guerre di Indipendenza, perché il re che era, in teoria, scomunicato per le sue leggi anti-clericali, ogni volta che andava a fare la guerra contro gli austriaci per realizzare l’Unità d’Italia, chiedeva la remissione della scomunica che gli veniva accordata dal papa perché non gli accadesse di combattere e morire lontano dalla fede, ma in comunione con essa[6].

Un ulteriore scambio di messaggi avvenuto in quei giorni è stato studiato e riguarda la richiesta che il re fece a Pio IX a motivo di alcuni soldati feriti e ammalati: il pontefice concesse di ricoverarli presso l’Ospedale di Santo Spirito in Sassia che si trova dentro la città leonina. Il fatto che tali soldati avessero violato il diritto internazionale con la “presa” di Roma non gli impediva di volerli veder curare dentro strutture ancora amministrate  dalla chiesa[7].

Perciò Pio IX mise a disposizione l’Ospedale detto dei Sassoni – Santo Spirito in Sassia -, antichissima fondazione dei sassoni nell’alto medioevo per la cura dei pellegrini che venivano dalle isole britanniche, che ormai era diventato un ospedale della città di Roma. Anche questo episodio mostra come i due contendenti si guardassero in cagnesco ma fossero poi pronti in ogni momento ad aiutarsi.

Le fonti raccontano anche – è De Amicis a farlo, in particolare, lui che era corrispondente a Roma per i fatti del 1870[8] - che i soldati cominciarono a visitare in numero crescente la basilica di San Pietro, con uno spirito di pellegrinaggio, baciando, come si usa fare, il piede della statua di San Pietro, così come i Musei Vaticani. A questo punto il pontefice inviò un richiamo al re perché almeno i soldati si astenessero per un certo tempo dal visitare i Musei.

Questa è l’Unità d’Italia, qui si evidenzia il dialogo ancora irrisolto al 1870 tra questi “amici” che però sono “nemici”.

Qual era il grande problema che non si era ancora maturi per sciogliere? Qual era la grande questione che solo 59 anni dopo avrebbe trovato una soluzione per al quale i tempi non erano ancora maturi nel 1870?
Ebbene, il papa non era pronto a rinunciare ad un potere temporale che coincidesse con il territorio cui si era abituato – e solo nel 1929 divenne pronto ad accettarne uno piccolissimo.

Lo Stato non era pronto a riconoscere che il papa doveva avere un’autorità indipendente – anche perché più alta e di rango internazionale - di quella del proprio potere civile: infatti, lo Stato italiano pensava nel 1870 di ridurre il pontefice al rango di un cittadino qualsiasi, suddito del re.

Indicative sono a tal proposito le espressioni “poetiche” con le quali Carducci si rivolse al papa in versi famosi, affermando nel 1877:

«Che m’importa di preti e di tiranni?
Ei son piú vecchi de’ lor vecchi dèi.
Io maledissi al papa or son dieci anni,
Oggi co ’l papa mi concilierei.

Povero vecchio, chi sa non l’assaglia
Una deserta volontà d’amare!
Forse, ei ripensa la sua Sinigaglia
Sí bella a specchio de l’adriaco mare.

Aprite il Vaticano. Io piglio a braccio
Quel di sé stesso antico prigionier.
Vieni: a la libertà brindisi io faccio:
Cittadino Mastai, bevi un bicchier!».

Famose sono proprio le espressioni “Cittadino Mastai”, con le quali si indicava lo status che Carducci e molti risorgimentali volevano assegnare a Pio IX, papa Mastai, semplicemente quello di un qualsiasi cittadino, sottoposto al re.

Lo status che invece il pontefice ricevette finalmente nel 1929 fu quello di persona non sottoposta al potere italiano, in quanto capo del più piccolo stato della terra, la Città del Vaticano, sorto appunto nel 1929. Se ne vide l’importanza quando i nazisti, nel 1944, occuparono Roma, ma furono impediti dal diritto internazionale a varcare i cancelli del Vaticano e del Laterano (in Laterano vennero salvati circa 1000 fra partigiani, futuri padri della Repubblica, anti-fascisti e filo-fascisti, ebrei e giovani)[9]. Se il papa fosse stato semplicemente un cittadino italiano e non ci fosse stato uno Stato indipendente, ecco che i nazisti sarebbero entrato anche in quei cancelli che non avevano un esercito a difenderli.

Nel 1944 il pontefice fu il defensor civitatis, dal momento che sia il duce, sia il re, sia tutte le autorità fuggirono dalla città ed egli si trovò, unica autorità in Roma, a difendere la popolazione civile, pur non essendo di per sé un cittadino italiano. Con ragione, Chabod ha paragonato il ruolo svolto dal pontefice nella Roma città aperta di quegli anni a quello che ebbero i papi ai tempi delle invasioni barbariche, un ruolo che permise a Roma di sopravvivere, un ruolo che guidò all’indipendenza dell’Italia e alla liberazione, un ruolo che ebbe effetti ben maggiori di quello giocato dalla stessa Resistenza e dai partigiani[10].

È una storia millennaria, dall’età patristica a quella medioevale, agli eventi bellici del ‘900, che ha insomma portato alla consapevolezza che è bene che il papa abbia una sua indipendenza, garantita oggi da quel minuscolo stato.

Ma, al 1870, né lo Stato italiano era pronto a riconoscere questa indipendenza, né il pontefice era in grado di capire che il territorio che doveva garantire la sua libera iniziativa non sottoposta a tiranni ed autorità poteva essere molto più piccolo di quello acquisito nel corso della storia.

Insomma le due parti non erano pronte e nessuna delle due aveva pienamente ragione e nessuna delle due aveva pienamente torto. Non erano maturi i tempi e la rottura del 1870 servì a preparare provvidenzialmente la nuova situazione che è quella odierna, dove il papa conserva un suo potere temporale, su di un fazzoletto piccolissimo di terra, che gli garantisce di poter parlare e muoversi in maniera indisturbata, con la sua autorità spirituale che abbraccia tutta la terra, mentre la Repubblica Italiana non solo non solo non si sente oggi più in pericolo per tale presenza, ma anzi ne riceve lustro e prestigio. Il mondo intero guarda al Vaticano, ma, poiché il Vaticano è all’“interno” di Roma, ecco che tutto il mondo guarda anche a Roma e all’Italia, che sarebbero altrimenti molto meno importanti e significative.

Molti legano il Concordato a Mussolini, ma tale rapporto fu solo una congiuntura che apriva in realtà ad una situazione di ben più lunga prospettiva. Era la soluzione più opportuna e proprio il dramma degli ultimi anni della II guerra mondiale, quando il duce scappò vigliaccamente insieme al re, ne mostrò l’opportunità provvidenziale per Roma.

Questo non vuol dire che l’esistenza di uno Stato della Chiesa sia una necessità teologica e, difatti, non è presente nei Vangeli, ma certo l’indipendenza della figura del papa da qualsiasi Stato, si è dimostrata positiva e, ancora adesso, permette al papa di avere i suoi ambasciatori, i nunzi, che tanto bene fanno in tutte le nazioni del pianeta.

Al momento della firma dei Patti Lateranensi Pio XI così definì il potere temporale, che nuovamente veniva assegnato al vescovo di Roma dopo il 1870: «Ci pare di vedere le cose al punto in cui erano in San Francesco benedetto: quel tanto di corpo che bastava per tenersi unita l’anima»[11].

6/ Il quartiere Prati e la nuova urbanizzazione

Il quartiere Prati prende il nome dall’onomastica precedente all’Unità d’Italia quando la zona era fatta di prati che si allagavano sempre quando il Tevere usciva dagli argini. Con un progetto che prende inizio già nel 1870 e che poi viene terminato al tempo del sindaco Ernesto Nathan, quando tutto venne urbanizzato, con la scomparsa dei prati e la costruzione di palazzi che rappresentano la bruttura architettonica di quell’epoca. Quei palazzi non hanno un’anima, pensati uno uguale all’altro, quasi come caserme, anche se per fortuna si era fatta l’Unità d’Italia. È ciò che avviene quasi ogni volta che si costruiscono interi quartieri in maniera razionalistica, senza che pian piano sia la popolazione a costruire e dare anima ed identità ad un quartiere.

Piazza Cavour – ecco ancora i nomi del Risorgimento – ha al suo centro un monumento eretto per celebrare i 25 anni dell’unità. Il monumento è infatti del 1895, 25 anni dopo il 20 settembre 1870, e rappresenta Camillo Benso, conte di Cavour. Dinanzi, ai piedi della statua dello statista, si vede Roma seduta e gloriosa – la si riconosce dalla lupa – ed essa ha al suo fianco l’Italia, la quale non poteva avere altra capitale che Roma, che a motivo del suo ruolo e della sua chiesa è stata determinante nella formazione dell’ideale dell’Italia.

Due statue sono a fianco, quella di sinistra rappresenta il pensiero – vi è ritratto un uomo pensieroso – che ha vicino immagini delle arti (l’Italia antica, medioevale, rinascimentale con tutte le sue arti), mentre dall’altro lato è rappresentata invece l’azione, la guerra: è l’Italia vincitrice con le armi. Si riconoscono chiaramente un uomo con una spada e diverse immagini di armi. Vicino è la firma dell’autore e la data del 25esimo: “Galletti ideò e fece, 1895”.

Punto di riferimento del quartiere Prati è il non bello - usiamo un eufemismo - Palazzo di Giustizia che, ancora una volta, ci dà un’idea dell’ideologia e del pensiero di allora.

Benedetto sia il Risorgimento, benedetta l’Unità d’Italia, benedetta sia Roma capitale, meno male che non dovrà più essere il Papa a doversi occupare della gestione amministrativa e politica di Roma: questa liberazione dal potere temporale fu veramente opera della provvidenza.

Ma bisogna vedere anche i problemi: il Palazzo di Giustizia dà l’idea dell’architettura alla fine dell’Ottocento ed ai primi del novecento, dell’architettura e della sua magniloquenza insignificante del tempo del sindaco Nathan. Anche se si occhieggia ad essa, manca la bellezza antica, l’ispirazione, manca un senso di equilibrio e di armonia. C’è pompa, non bellezza. Qualcuno ha fatto notare come negli anni dell’Unità d’Italia non sia sorto nessun grande letterato, non ci sia nessuno come Dante, Ariosto, Manzoni, Leopardi. Gli anni precedenti vivevano di problemi politici irrisolti e l’Unità era lontana, ma la cultura italiana fioriva, eccome: ora c’era l’Italia, ma languivano il pensiero e le arti.

Anche in piazza Cavour, come in tutte le piazze risorgimentali non c’è una chiesa cattolica, tutto viene pensato volutamente, a differenza del passato, evitando che una chiesa cattolica affacci sulla piazza.

All’opposto, venne lasciata ai valdesi la possibilità di acquistare il terreno per costruire una chiesa: nella guida al Tempio valdese che è in vendita alla contigua libreria valdese si afferma che tale Tempio venne costruito per contrapporsi volutamente a San Pietro. E, in effetti, se si togliessero i palazzi che sono frapposti avremmo le due facciate una di fronte all’altra, anche se esse non sono esattamente in parallelo.

È una scelta voluta; scelta interessante perché non ci si limita a dare giusta libertà al protestantesimo ma il Risorgimento, da un punto di vista architettonico,  è nettamente orientato a mettere da parte le chiese cattoliche, mentre, al contempo, sceglie proprio Roma come capitale e, conseguentemente, sceglie di inserire la Chiesa all’interno dello Stato: se si fosse scelta un’altra Capitale, non sarebbe stato necessario porre fianco a fianco il pontefice e le strutture della capitale unitaria (solo per operare un parallelo che mostra quanto le storie di altre nazioni siano state molto più oppositive al cattolicesimo e, in genere, alla libertà religiosa, si pensi che fu solo nel 1951 che per la prima volta si poté celebrare la messa cattolica in Svezia! (cfr. su questo La Norvegia non ha più, dal gennaio 2017, il luteranesimo come religione di Stato e diviene così finalmente laica come l'Italia (la Svezia aveva cessato di essere uno Stato confessionale luterano solo nell’anno 2000). Breve nota di Giovanni Amico).

Comunque, la parrocchia cattolica di questa zona di Prati non affaccia su piazza Cavour, ma sul retro, verso il Tevere. Essa è opera dello stesso architetto, Giuseppe Gualandi, che ha costruito San Tommaso Moro, quella in semplice stile neogotico, mentre la chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Prati la progettò in stile neo-gotico fiorito (cfr. su questo La storia della chiesa di San Tommaso Moro, delle sue “consorelle” e del loro padre Giuseppe Gualandi, a cura di Giorgio Pitzalis). Essa è a fianco del Palazzo di Giustizia, in una posizione defilata.

Alcuni padri del Risorgimento volevano e promossero una consistente crescita delle chiese protestanti, quasi nel desiderio di soppiantare la chiesa cattolica e, allo stesso modo, favorirono ove possibile la massoneria, con lo stesso fine.

Per altri, invece, si pensi al re e a Cavour, era evidente che l’Italia era nata nei secoli a partire dal cattolicesimo e tale doveva rimanere. Sia il re che Cavour ci tennero a morire con i sacramenti cattolici facendo anche carte false per riceverli in punto di morte[12].

La chiesa valdese di piazza Cavour venne volutamente pensata in una foggia diversa dalle chiese cattoliche. Sebbene molte chiese protestanti siano di solito uguali a quelle cattoliche e dall’esterno non si distinguano - anche perché molte di esse, nel nord Europa, sono chiese cattoliche divenute protestanti dopo la Riforma - si volle che l’edificio valdese fosse architettonicamente riconoscibile come diverso da una parrocchia cattolica.

L’attuale Palazzo di Giustizia venne ultimato nel 1910 (prima della I guerra mondiale) e venne pensato come Ministero di Grazia e Giustizia. La precedenza del termine “grazia” alla parola “giustizia” indica la continuità con la visione dell’antico Stato pontificio nel quale la giustizia era temperata dalla grazia ed anzi preceduta da essa.

Nell’iconografia del Palazzo di giustizia, in facciata, sta, invece, sì la “giustizia”, rappresentata con il simbolo tradizionale della spada per dividere esattamente tra il bene e il male: ma a sinistra sta la “Legge” e a destra la “Forza”. Infatti, si vede un leone sotto l’uomo nudo che rappresenta la “Giustizia”. L’immagine è chiara, si deve esercitare la forza per governare. In alto si vede una quadriga, chiaro richiamo al Vittoriano che è dall’altra parte del Tevere, nel centro di Roma.

Ma il legame con la storia è sempre lì. Se si guardano, infatti, le statue dei giuristi che circondano il Palazzo e che intendono dire come il diritto del nuovo Stato nazionale si basa sui grandi del passato, ecco che si vedono Cicerone e tanti altri autori latini, a dire l’eredità del mondo classico.

Non c’è Italia senza la sua storia passata. Tanto è vero che, come si è già visto, fu Mazzini il grande difensore di Dante, padre della lingua e della nazione italiana.

È quella storia del diritto ad aver generato la storia d’Italia e d’Europa. Il Palazzo di Giustizia lo ricorda anche architettonicamente: Al suo interno, infatti, venne eretto il cortile della Storia del Diritto romano che venne codificato in maniera definitiva in età cristiana. Il cristianesimo, infatti, non volle cancellare il Diritto romano, ma anzi conservò le sue leggi e le sue consuetudini e tenne ben distinto il diritto canonico dal diritto civile. Le scuole medievali e i grandi maestri medioevali del diritto a Bologna e nel resto d’Italia fondarono quella distinzione fra legge civile e canonica che è alla base della laicità e che era già presentissima prima dell’Unità. Una cosa è la legge che vale per un chierico, per un ministro della Chiesa all’interno della comunità cristiana dove esiste una legislazione dei sacramenti, diversa è la legge che vale per tutti, quella che riguarda tutti indipendentemente dalla fede: ad esempio una cosa è il matrimonio canonico, un’altra un matrimonio civile.

Il Palazzo di Giustizia, freddo e magniloquente, ha però il merito di ricordare iconograficamente questa storia. Anch’esso, a suo modo, ricorda come il Risorgimento riprenda tutta la storia antecedente e la faccia propria, a partire dal ruolo di Roma, sempre laica e religiosa insieme.

 

 

Note al testo

[1] Così ad esempio S. Fabrizi (a cura di), La storia di Prati. Dalla preistoria ai giorni nostri, Roma, Typimedia, 2021, p. 119: «Prati comincia ad assumere la fisionomia che gli vale la nomea di quartiere anticlericale per eccellenza. Con il Vaticano [Sic!], poco distante in linea d’aria, che per secoli ha rappresentato il perno su cui ha ruotato la storia di questa zona bisogna fare i conti. La decisione del nuovo governo, che ha sottratto il potere ai Papi, sembra quello di oscurare il proprio nemico storico: leggenda vuole che tutte le strade del nuovo quartiere siano costruite per non offrire mai la vista scenografica sul Cupolone di San Pietro. Si tratta, con buona probabilità, soltanto di una diceria, o almeno la interpreta in questo modo Silvio Maurano ne I rioni di Roma: orientare diversamente le vie avrebbe significato sventrare Borgo».

[2] Da R. Focarelli, A Roma, alla scoperta dei segreti del Rione Prati, articolo pubblicato il 12/5/2020 (https://www.touringclub.it/itinerari-e-weekend/a-roma-alla-scoperta-dei-segreti-del-rione-prati).

[3] Tale depredazione peggiorò ulteriormente la situazione che già aveva avuto inizio con l’arrivo delle truppe francesi del Direttorio rivoluzionario alla fine del settecento. Cfr. su questo
-Le Gallerie dell’Accademia di Venezia. Guida per la visita, prima parte, di Andrea Lonardo 1/ La vera storia delle Gallerie dell’Accademia di Venezia: per capire la storia d’Italia all’arrivo dei rivoluzionari francesi 2/ I dipinti superstiti della chiesa di Santa Maria della Carità e i teleri depredati alla Sala dell’albergo della Scuola grande di San Marco, presenti nella sala 23 3/ I teleri di Vittore Carpaccio con le storie di Sant’Orsola e delle undicimila vergini depredati alla Scuola di Sant’Orsola 4/ Storia della chiesa di Santa Maria della carità (oggi sala delle Gallerie dell’Accademia di Venezia)
-La vera storia delle Gallerie dell'Accademia di Venezia per capire la vera storia d'Italia all'arrivo dei rivoluzionari francesi (II parte), di Andrea Lonardo 5/ I teleri con le Storie delle reliquie della Croce depredati alla Scuola di San Giovanni Evangelista 6/ I teleri di Jacopo Robusti detto Jacopo Tintoretto depredati alla Scuola Grande di San Marco 7/ L’istituzione laica delle Scuole di Venezia 8/ Un elenco delle opere depredate alle chiese di Venezia all’arrivo dei rivoluzionari francesi
-Introduzione alla Pinacoteca di Brera di Milano. «La Pinacoteca di Brera si distingue dalle raccolte di Firenze, di Roma, di Napoli, di Torino, di Modena, di Parma, per le vicende della sua formazione che non ha radici nel collezionismo aristocratico, principesco o di corte, ma nel collezionismo politico, di Stato, che è invenzione napoleonica. Ai dipinti tolti da chiese e conventi della Lombardia, se ne aggiunsero altre centinaia confiscati dai vari dipartimenti, numerosissimi quelli dal Veneto», di Luisa Arrigoni
-La Pinacoteca di Bologna ha sede nell’antico noviziato dei Gesuiti che fu depredato all’arrivo delle truppe rivoluzionarie francesi inviate dal Direttorio ed è composta in massima parte dalle opere sottratte con la violenza (circa 1000 tele ed opere diverse) alle chiese e ai conventi fra il 1797 e il 1810.

[4] Sulle azioni di attacco degli arabo-musulmani contro Roma e le città costiere e dell’interno laziali nel IX secolo, a breve uno studio su questo sito.

[5] Cfr. su questo La presa di Roma e la breccia di Porta Pia: gli eventi del 1870 nelle carte dell'Archivio Segreto Vaticano.

[6] Cfr. su questa tensione che è stata la più dolce fra tutti gli stati europei nel passaggio fra antichi regimi e le nuove nazioni C. Cardia, Risorgimento, Unità d’Italia, Chiesa cattolica e il suo volume più completo C. Cardia, Risorgimento e religione, Torino, Giappichelli, 2011.

[7] Anche su questo, cfr. 1/ La breccia di Porta Pia e l’amicizia non solo “inimica”. Non ci fu solo il 20 settembre 1870, ma anche il 21 settembre che rivela un incredibile dialogo fra la nuova Italia e Pio IX. Appunti di Andrea Lonardo sulla documentazione immediatamente successiva alla Presa di Porta Pia 2/ De Amicis, l’autore del libro Cuore, inviato a Roma per la presa di Porta Pia, il 20 settembre 1870: «I ragazzi sono soldati d'artiglieria grandi e robusti come ciclopi: baciano il piede alla statua di San Pietro. Un pretino par che dica: - Sono cristiani queste bestie feroci! Meno male! Una lunga fila di soldati è inginocchiata intorno all'altar maggiore». Appunti di Andrea Lonardo.

[8] Cfr. su questo De Amicis, l’autore del libro Cuore, inviato a Roma per la presa di Porta Pia, il 20 settembre 1870: «I ragazzi sono soldati d'artiglieria grandi e robusti come ciclopi: baciano il piede alla statua di San Pietro. Un pretino par che dica: - Sono cristiani queste bestie feroci! Meno male! Una lunga fila di soldati è inginocchiata intorno all'altar maggiore». Appunti di Andrea Lonardo.

[9] Cfr. su questo La scelta di accogliere. [Nenni, De Gasperi, Bonomi, Saragat, Calamandrei, Giangiacomo Feltrinelli, il generale Bencivenga, rifugiati nel Seminario Maggiore di Roma durante l’occupazione nazista negli anni 1943-1944], di Carlo Badalà.

[10] Cfr. su questo: Il ruolo di Pio XII e della chiesa di Roma durante l’occupazione nazista della città (da Federico Chabod) e 4 giugno 1944, Roma è salva: il senso della neutralità di Pio XII. Sul rapporto fra azione partigiana e ruolo della chiesa, cfr. Sul 25 aprile, ancora più in sintesi. Breve nota di Andrea Lonardo e 25 aprile, la Liberazione e la resistenza al di là delle polemiche abituali. La vera novità storiografica è che fu veramente un movimento di tutto il popolo italiano a partire dai suoi vescovi fino ai 650.000 giovani internati nei lager nazisti, di Andrea Lonardo.

[11] Per il testo integrale, cfr. «Ci pare di vedere le cose al punto in cui erano in San Francesco benedetto: quel tanto di corpo che bastava per tenersi unita l’anima». Allocuzione di Pio XI in occasione dei Patti Lateranensi.

[12] Cfr. su questo: E il confessore di Cavour chiese clemenza a Leone XIII. Scoperta nell'Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede la lettera inedita scritta nel 1882 da fra Giacomo da Poirino, di Francesco Castelli e Vittorio Emanuele II muore da re e da buon cattolico, di Anna Maria Isastia.