1/ Parisi e la lezione di Lemaître. Nello stupore del reale scienza e fede s'incontrano, di Marco Bersanelli 2/ Parisi: le sintesi estreme tradiscono e l'«ipotesi Dio» trascende la scienza. Lettera del prof. Giorgio Parisi ad Avvenire e risposta del direttore Marco Tarquinio

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 18 /10 /2021 - 14:33 pm | Permalink | Homepage
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1/ Parisi e la lezione di Lemaître. Nello stupore del reale scienza e fede s'incontrano, di Marco Bersanelli

Riprendiamo da Avvenire del 15/10/2021 un articolo di Marco Bersanelli, astronomo e astrofisico, dell’Università di Milano. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Fede e scienza e la sotto-sezione Big Bang e astronomia. Sulla lettera che Giorgio Parisi sottoscrisse contro la visita di papa Benedetto XVI alla Sapienza, cfr. Copia e incolla con errore: è Wikipedia la fonte dei docenti che non hanno voluto la visita di Benedetto XVI alla Sapienza.

Il Centro culturale Gli scritti (17/10/2021)

Ho molto apprezzato la lettera che il professor Giorgio Parisi ha inviato al direttore di 'Avvenire', nella quale ha voluto chiarire di non riconoscersi in un’affermazione 'sintetica' a lui erroneamente attribuita – «Dio, per me, non è neanche un’ipotesi» – e ha precisato il suo pensiero al riguardo: «L’esistenza di Dio non può essere usata alla stregua di un’ipotesi scientifica». Grazie per questo chiarimento, su un tema tanto importante quanto raramente espresso. Dopo aver onorato l’Italia con il meritatissimo premio Nobel per la Fisica, questo suo breve intervento rivela sensibilità e attenzione anche su un piano più ampio di quello strettamente scientifico.

Credo si tratti di un’osservazione metodologica di capitale importanza che andrebbe tenuta presente da tutti, credenti e non credenti, scienziati e teologi. Personalmente, come fisico entusiasta della scienza e come uomo grato per la fede ricevuta, condivido pienamente l’affermazione di Parisi. Pensare di 'provare Dio' con un esperimento di fisica è inadeguato almeno quanto pretendere di capire se una persona mi vuol bene facendomi una radiografia. Ogni metodo di conoscenza è adatto a rispondere a certe domande, e non ad altre. Tornano alla mente le parole di Georges Lemaître: «Ho troppo rispetto per Dio per poterne fare un’ipotesi scientifica».

Naturalmente vale anche il viceversa: come è assurdo mettere Dio sullo stesso piano di un campo magnetico o di un ammasso di galassie, così nessuna scoperta scientifica può essere un valido argomento contro l’esistenza di Dio. Perciò anche quelle posizioni che pretendono di usare la scienza per mettere in un angolo la fede risultano del tutto fuori luogo.

La figura di Lemaître, sopra citato, è illuminante in questo contesto. Egli è stato uno dei più grandi fisici del Novecento, tanto da aver compreso la portata cosmologica della relatività generale meglio dello stesso Einstein. Lemaître era anche un abate cattolico ed è stato presidente della Pontificia Accademia delle Scienze. Non perdeva occasione di sottolineare l’importanza di una sana distinzione fra i diversi metodi di conoscenza e sosteneva che l’indagine scientifica non può 'dimostrare' né 'confutare' Dio; amava meditare le parole del profeta Isaia: «Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio di Israele, salvatore» (45,15). Nel 1951 Lemaître ebbe un’interessante conversazione con papa Pio XII dopo che questi, in un discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, aveva alluso alla coincidenza tra il «Fiat Lux» della Creazione con l’ipotesi scientifica del Big Bang, che era stata proposta per la prima volta dallo stesso Lemaître. L’abate cosmologo convinse il Papa che era inadeguato identificare l’atto divino della creazione con un certo momento del passato cosmico, per quanto grandioso. Nel creare, Dio dà l’essere a ogni creatura, compresi il tempo e lo spazio, trae dal nulla e ama l’universo in ogni istante, ora come all’inizio. Con le parole di Lemaître, il Creatore «sostiene ogni essere e ogni avvenimento».

Chiaramente la fede e la scienza puntano a livelli di profondità diversi del reale: confondere i loro piani conduce a errori e complicazioni che si possono trascinare anche per secoli. Al tempo stesso, sarebbe riduttivo concepire la domanda religiosa e la ricerca scientifica come due mondi separati, tra i quali non fosse possibile un dialogo ricco e affascinante. Anche perché, pur nella loro chiara diversità, entrambe nascono dal medesimo 'punto caldo': il primordiale stupore dell’essere umano davanti all’enigmatica esistenza della realtà, una realtà che oggettivamente non è opera nostra. L’approccio scientifico intuisce un ordine che sottende l’immensa varietà dei fenomeni nell’universo fisico e tende a rivelare le leggi matematiche che li regolano (leggi che si sono dimostrate sorprendentemente accessibili alla ragione dell’Homo Sapiens); la domanda religiosa, che può sfociare nella fede, nasce invece come esigenza di un significato esauriente della realtà e della nostra stessa esistenza.

Così ricerca scientifica e domanda religiosa, con i loro diversi sguardi sul mondo e le loro ben distinte traiettorie, si incontrano e rinascono nell’essere umano che le vive.

2/ Parisi: le sintesi estreme tradiscono e l'«ipotesi Dio» trascende la scienza. Lettera del prof. Giorgio Parisi ad Avvenire e risposta del direttore Marco Tarquinio

Riprendiamo da Avvenire del 12/10/2021 una lettera del prof. Giorgio Parisi ad Avvenire e la risposta del direttore. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Fede e scienza e la sotto-sezione Big Bang e astronomia.

Il Centro culturale Gli scritti (17/10/2021)

Gentile direttore,
quando ho letto la bella intervista di Gnoli, anche io sono stato colpito dalla frase «Dio, per me, non è neanche un’ipotesi ». Era un tentativo di sintetizzare quello che avevo detto, ma a volte le sintesi estreme sono traditrici. Avevo pronunciato parole che testualmente erano simili, ma che avevano ben altro significato. Commentando la frase di Laplace sull’ipotesi Dio, «non ho avuto bisogno di questa ipotesi », ho detto che l’esistenza di Dio non può essere usata alla stregua di una qualsiasi ipotesi scientifica: è qualcosa di diverso che trascende la scienza, e non può essere oggetto di indagine scientifica. Penso che anche lei concordi con me che sarei un pessimo teologo se cercassi di fare un esperimento per dimostrare l’esistenza di Dio e che sarei un pessimo scienziato se cercassi di spiegare i miei dati sperimentali ipotizzando l’esistenza di Dio. Sono fermamente convinto della separazione tra scienza e fede in quanto hanno scopi diversi. La prima si occupa del mondo fisico e cerca di spiegare il mondo in maniera autonoma, la seconda interpreta il mondo basandosi su qualcosa che lo trascende, che esiste indipendentemente dal mondo. Vorrei aggiungere che sono sempre infastidito quando nelle interviste mi domandano le mie opinioni religiose. Non mi pare che lo domandino mai a calciatori, cantanti, modelle, categorie per le quali ho il massimo rispetto. Implicitamente gli intervistatori assumono che gli scienziati posseggano una conoscenza privilegiata di Dio, ma non è vero.

Giorgio Parisi

Le sono grato, gentile professor Parisi, per questa lettera e per la messa a punto che contiene. È proprio vero: le sintesi possono rivelarsi traditrici, e questo accade quasi inesorabilmente quando esse diventano estreme, come nel caso del suo pensiero raggelato in una frase dura e definitiva: «Dio, per me, non è neanche un’ipotesi». Credo che il breve eppur disteso ragionamento che lei affida ora a queste righe le “somigli” assai di più, nel senso che calza bene a «un laico intransigente, ma non tetragono» (ricorro all’efficace definizione offerta ai nostri lettori da Walter Ricciardi nel commento al suo premio Nobel). Quella frase così suggestiva e urtante, incastonata in una densa intervista con lei che 'la Repubblica' pubblicò quasi dieci anni fa, mi colpì molto – come ho scritto rispondendo domenica scorsa alla lettera sconfortata, ma bella e coinvolgente, della professoressa Caruso – proprio perché mi sembrava che avesse assai poco a che fare con l’esperienza e lo “stile” di un uomo e ricercatore della sua statura. Lei aggiunge ora a quella sensazione – mia, ma non soltanto mia – elementi solidi e capaci di generare ulteriore (e, forse, più centrato) dibattito. La ringrazio di nuovo. Anche se, come può vedere dalla lettere pubblicate, in questa stessa pagina di giornale, il dibattito si era già seriamente acceso... Un cordiale saluto.

Marco Tarquinio