1/ Cari nottambuli, non rifiutate il dono del sonno, di Giovanni Cesare Pagazzi 2/ La Buona Notizia del sonno, di di Giovanni Cesare Pagazzi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /09 /2021 - 10:43 am | Permalink | Homepage
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1/ Cari nottambuli, non rifiutate il dono del sonno. Il sonno viene da fuori, da altro. È più forte di noi. Benefico, ingovernabile, capace di aprire una visuale impossibile e diversa. Un’esperienza di trascendenza nella vita di tutti i giorni, di Giovanni Cesare Pagazzi 

Riprendiamo da Avvenire del 9/2/2020 un articolo di Giovanni Cesare Pagazzi . Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Lavoro e professione.

Il Centro culturale Gli scritti (20/9/2021)

(cdd20 - Pixabay)

«Non mi piace chi non dorme, dice Dio. (…) Il sonno è forse la mia più bella creatura. (…) Applaudo me stesso d’aver fatto la notte!». Così, con poetica imprudenza, Charles Peguy, ne La seconda virtù, mette in bocca a Dio un giudizio perentorio sull’insonne, e la soddisfazione d’aver creato la notte. Certo, per chi crede, sonno e notte c’entrano con Dio -– eccome! – visto che la notte è, col giorno, la sua prima creatura e il Creatore è il primo ad aver riposato. Ma questo interesse divino per sonno e notte è ultimamente condiviso da pensatori al confine della fede ebraico-cristiana, o al di là del confine.

Tra questi spiccano il filosofo francese Jean-Luc Nancy e il critico d’arte americano Jonathan Crary. Stando al primo, si addormenta chi rinuncia alla vigilanza, all’attenzione e all’intenzione, a tensioni e attese, a progetti e obbiettivi, ad anticipazioni e calcoli. Si tratta infatti di una «caduta di tensione», di distensione, appunto, fino a sentirsi cadere, cadere nel sonno.

Non per nulla egli titola il suo acuto libretto Cascare dal sonno, poiché chi si addormenta è a tal punto vinto dal sonno da perdere il controllo delle proprie forze. Chi dorme chiude gli occhi al giorno e alle sue precise distinzioni, per aprirli alla notte, alle paure che smuove, ma anche all’opportunità di una visione diversa di sé e del mondo.

La notte insegna la logica dei sogni che, pur non essendo razionali, non sono irragionevoli, giacché funzionano con una logica diversa, non analitica, ma sintetica, fatta di mescolanze, sovrapposizioni, rinvii e richiami, dove può offrirsi una soluzione che razionalmente era inimmaginabile. E poi, non ci si addormenta da sé; a volte, pur desiderato, il sonno non arriva, ovvero si impone nonostante ogni tentativo di resistenza, facendo «cascare dal sonno».

Il sonno viene da fuori, da altro. È più forte di noi. Benefico, ingovernabile, irresistibile, capace di aprire una visuale impossibile e diversa, il sonno prescrive un’esperienza di trascendenza nella feriale normalità di ogni umano. Anche per questo si alza la critica severa di Nancy contro ogni tentativo di occupare la notte da parte dei sistemi di produzione: si violenta la prima madre e la sposa del sonno.

Più organica e affilata è la valutazione di Crary nei riguardi della società odierna, plasmata da antiche e nuove forme di capitalismo, come argomenta in 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno

Già una trentina d’anni fa, Wolfgang Schivelbusch, nella sua storia delle tecniche di illuminazione, ricordava che la diffusione dei lampioni stradali (a partire dal 1880) aveva permesso l’attenuazione dell’ancestrale paura della notte e con essa l’ampliamento dell’arco temporale di molte attività economiche, riprogettando il pianeta come un cantiere in perenne attività e un supermarket sempre aperto.

La connessione continua recentemente permessa dal web, ha reso ancor più facili produzione, offerta e domanda 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Con una precisazione importante: il mercato non si è dotato di modalità 24/24 e 7/7 per favorire la società, ma al contrario tende a dare una forma 24/24–7/7 alla società affinché sia all’altezza di tale mercato.

Sicché s’inquadra la vita umana in una durata senza interruzioni, contraddistinta dall’incessante operatività nella produzione, nell’offerta e nella domanda. Si tratta di «un presente allucinato, un’inalterabile permanenza» dove non esiste alcun momento, luogo o situazione in cui sia impossibile produrre, fare acquisti, consumare o sfruttare le opportunità del web. Senz’altro non l’unico, ma certamente questo è un motivo decisivo per spiegare la recente crescita di patologie del sonno e la decrescita del tempo medio dedicato a esso.

Tuttavia, a motivo della sua ineludibilità, il sonno permane un atto di oltraggiosa resistenza degli esseri umani contro il mercato che impone un modello di vita 24/24–7/7. Grazie alla sua incoercibile resistenza il sonno è un’enclave indipendente rispetto all’ordine globale che va imponendosi. È un rifugio, una liberazione dall’incessante continuità di un tempo artificiale, sganciato dal ritmo del giorno e della notte, del lavoro e del riposo. Inoltre, è una delle pochissime esperienze rimaste in cui, volenti o nolenti, consapevoli o no, ci si abbandona e ci si affida alle cure altrui.

Insomma: il sonno è uno dei custodi dell’umanità dell’uomo, e perciò un sicuro criterio di verifica circa la qualità umana di una vita e di una società. Effettivamente stupiscono la semplicità, la pertinenza e la rilevanza di queste osservazioni che colgono la portata antropologica e sociale di una realtà così ordinaria e scontata da apparire indegna di considerazione, un inevitabile intervallo tra due giorni. Eppure è proprio l’“inevitabilità” a fare del sonno un resto, una resistenza, un attrito che impedisce la delirante pretesa di totale programmazione della vita.

È un cuneo di trascendenza fatto di carne e sangue. E a proposito di trascendenza: conviene ricordare che, in una situazione angosciosa e mortale, su una barca in acque burrascose, mentre i suoi discepoli gridavano terrorizzati, Cristo, profondamente, dormiva.

2/ La Buona Notizia del sonno, di di Giovanni Cesare Pagazzi

Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 21/8/2021 un articolo di Giovanni Cesare Pagazzi . Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Lavoro e professione.

Il Centro culturale Gli scritti (20/9/2021)

Creando l’uomo e la donna, Dio li ha immaginati capaci di muoversi, affamati e assetati, sessuati, generativi, desideranti, sensibili, affettuosi, liberi, intelligenti, segnati dalla nascita, crescita, dal lavoro, dalla morte, ma li ha voluti anche contraddistinti dal dormire. Tale marchio è così visibile che gran parte della loro vita trascorre nel sonno. Con questo dettaglio Dio avrà pur voluto dirci qualcosa! Parlare di lui e della sua creatura prediletta azzittendo la parola del sonno è quasi un’amputazione.

Il sonno si presenta come una “caduta”; così è richiamato dalle espressioni «cadere dal sonno», «cascare dal sonno». Il sonno causa un cambiamento di postura: cede la posizione eretta, sui due piedi, quella tipicamente umana, peculiare rispetto agli altri animali, la posa che permette di guardare il mondo dritto negli occhi e dall’alto in basso. Il portamento che ha favorito la liberazione delle mani dal compito della deambulazione, inserendole nell’ordine dell’intelligenza e degli affetti, il gesto di stare in piedi che ha dato avvivo alla forma umana si arrende e il corpo si trova disteso a terra.

Dormendo, il corpo è più che mai riportato a contatto con la terra, quasi fosse la condizione necessaria per trovare riposo. La caduta a motivo del sonno accompagna il vivente in prossimità di quanto vivente non è: la polvere del suolo, effettivamente toccata da chi dorme a diretto contatto col terreno, o evocata dai materiali di cui sono composti i giacigli: metallo, legno.

«Tutti gli esseri dormono su qualcosa di meno vivo di loro che li sostiene», scriveva María Zambrano, congiungendosi strettamente alla materia. “Materia” allude sia alla sostanza inerte, come inerte è il corpo che «dorme come un sasso», sia alla mater, alla “madre”, alla “matrice”, al substrato indistinto dove la vita è cominciata.

Il sonno riconduce l’uomo, Adam, a terra, adamà, da dove è stato tratto (Genesi, 2, 7), dove è nato, esaltando l’originaria consustanzialità di corpo e mondo, chiamata dalla Bibbia «carne». Il peso irresistibile patito dal corpo, la spinta che lo ricongiunge alla madre terra fanno del sonno la memoria quotidiana della nascita.

A terra si casca di sonno e si stramazza perché si muore. Anche in questo caso il corpo è ricondotto al suolo: Adam ritorna all’adamà con cui fu plasmato (Genesi, 3, 19). Sonno e morte sono da sempre congiunti sia a motivo del riavvicinamento alla terra (nel primo temporaneo e ripetuto, nel secondo singolare e definitivo) sia per lo stato di passività che li accomuna: parziale e momentaneo mentre si dorme, totale e immutabile nella morte.

La distensione, la caduta di tensione, che il corpo prova nel sonno ricorda il volto generalmente rilassato e composto del cadavere, che sostituisce l’espressione sfregiata dell’agonia. A causa della loro manifesta somiglianza, fin dall’antichità il sonno e la morte sono stati considerati parenti strettissimi: ricostruendo la genealogia degli dèi, Esiodo afferma che Sonno e Morte furono entrambi generati da Notte. L’associazione è resa più evidente dalle cerimonie di sepoltura di molte culture antiche e odierne, dove il sepolcro è considerato alla stregua di un giaciglio e il cadavere collocato in una posizione che richiama quella del sonno, magari coperto di lenzuola e munito di cuscino.

Addormentandosi e morendo si entra nel buio della notte, per qualche ora o per sempre. Nella notte del sonno e della morte si dissolvono le distinzioni, le classificazioni, le ripartizioni, le separazioni che sono cause ed effetti dei sentimenti, dei pensieri e delle decisioni tipiche del giorno. Effettivamente chi dorme non è nemmeno in grado di distinguersi da quanto lo circonda, come un morto, ma si ritrova nel magma caotico dove niente ha forma e nulla è riconoscibile: né soggetto né oggetto, né interno né esterno, né io né mondo, né visibile né invisibile, né possibile né impossibile. Smarriti i punti di riferimento della veglia, l’esperienza del sonno è disorientante, turba e sconcerta, poiché rapisce il mondo e la diurna capacità di starci. Insomma, il sonno è un promemoria quotidiano della nascita e della morte.

Un neonato dorme dalle quattordici alle diciassette ore al giorno. Dai 4 agli 11 mesi di vita, dalle dodici alle quindici ore; fino ai 3 anni, circa quattordici. Così si è presentato al mondo il Figlio di Dio: ha cominciato a salvarci dormendo gran parte del tempo. Agli inizi della sua vita terrena, «nei giorni della sua carne» (Ebrei, 5, 7), il Figlio si rivela come uno che — soprattutto — dorme, quasi che non si possa entrare nel suo mistero tenendo chiusa la porta del sonno. Nella sua lettera dedicata al presepio, Papa Francesco scrive stupito: «Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti: dorme, prende il latte dalla mamma, piange e gioca come tutti i bambini». La prima azione menzionata è dormire.

Ma andiamo a Cristo, ormai adulto. Dopo aver descritto il sonno del contadino (Marco, 4, 26-29), aver dormito nel pieno della tempesta (Marco, 4, 35-41), aver restituito il potere di riposarsi all’insonne indemoniato di Gerasa (Marco, 5, 1-20), eccolo attraversare nuovamente le acque del nervoso bacino di Tiberiade e approdare sulla riva d’Israele. Qui è raggiunto da Giairo la cui bambina sta morendo (Marco, 5, 21-23). Il Nazareno lo accompagna a casa. Durante il tragitto giunge la notizia della morte della piccola. Arrivati a casa, trovano un ambiente affranto. A questo punto, Gesù se ne esce con una frase che non sta né in cielo né in terra: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme» (Marco, 5, 39). Davanti al corpo esanime della piccola, Gesù rifiuta di accettare l’interpretazione del fatto data dai presenti che, naturalmente, rispondono — come ogni persona di buon senso — «ridendo».

Giustamente attratti dalla potenza del Signore che risuscita la ragazza, potremmo sorvolare quanto sembra solo un dettaglio, nonostante sia messo in rilievo da tutti i Sinottici: il modo con cui il Nazareno considera il rapporto tra la morte e il sonno. Tutta la cultura coeva e le sacre Scritture antiche interpretano il sonno alla luce della morte: il sonno è anticipo, prefigurazione della morte e quest’ultima è la spiegazione definitiva del sonno. Insomma: il sonno assomiglia alla morte, sicché si ricorre al dormire come simbolo o eufemismo del morire. Per Cristo è l’esatto contrario: non il sonno assomiglia alla morte, ma la morte somiglia al sonno, perciò è il sonno che spiega definitivamente la morte e il suo senso. Come dal sonno ci si risveglia, così anche dalla morte. Come sonno e notte non negano il domani, ma lo preparano, così lo spegnimento tipico del morire.

Come sonno e notte non rubano l’identità, le cose, i luoghi, gli affetti, ma li restituiscono nuovi al mattino, così la morte non rapina per sempre, ma sottrae per un tempo, allestendo prontamente la riconsegna. Come sonno e notte tolgono per regalare ancora, così la morte. E, tuttavia, come sonno e notte incutono paura, così la morte.

Per questo il Nazareno si rivolge alla morta dicendo la cosa più naturale da dire quando si sveglia una bambina: «Alzati!». Il papà o la mamma che la sera precedente aveva accompagnato la piccola nel momento pauroso dell’abbandono al buio e al sonno, dandole la «buona notte», arriva al mattino per svegliarla, restituendole tutto il suo mondo. Vedendo che ogni cosa è ancora lì ad attenderla, «si alza» (anéstÄ“) (Marco, 5, 42). La colazione è già pronta: «Datele da mangiare» (Marco, 5, 43; Luca, 8, 55).

La rivelazione del sonno quale senso e spiegazione della morte, caratterizzante i Sinottici, diviene ancor più esplicita nel racconto giovanneo della risurrezione di Lazzaro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo» (Giovanni, 11, 11).

Lo sguardo, la parola di Cristo sul sonno lo liberano dalla forza di gravità della morte. Al contempo, la visuale di Gesù su sonno e morte affranca la morte stessa dalla sua autarchia interpretativa. Essa si impone come esclusiva spiegazione di se stessa: solo la morte decifra la morte. No, la morte si intende a partire da un’altra esperienza simile, ma distinta, somigliante e tuttavia inconfondibile: il sonno. Dal punto di vista di Cristo, la riduzione del sonno a mera prefigurazione della morte o a sua allegoria è indice di debole considerazione della portata rivelativa di ogni evento della Creazione; nel caso specifico: ci si addormenta senza intuire quanto il Creatore mostra, dà e dice attraverso il sonno.

Ogni mattino i figli e le figlie di Adamo sono svegliati; a loro è restituito il mondo. Esso è stato conservato da qualcun altro, durante la notte; loro non ne sarebbero stati capaci, poiché cadendo dal sonno e perdendo la posizione eretta, erano privi di piena avvertenza e deliberato consenso. Accogliendo il Vangelo del sonno, i credenti in Cristo saranno sensibili all’Exultet pasquale che vibra nel riposo di ogni notte, fin dalla fondazione del mondo.