Non si debbono offendere né l’Islam come religione né i musulmani come credenti: papa Francesco ha ragione. Si tratta non di criticare l’Islam in sé, ma la storia delle violenze musulmane, mettendole in luce per una purificazione della memoria. Così come chi critica la Chiesa per le azioni di una determinata epoca non offende la fede cristiana, ma aiuta i cristiani a purificarsi, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una riflessione di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Dialogo fra le religioni e Islam.
Il Centro culturale Gli scritti (12/9/2021)
È sbagliato, come bene ha indicato papa Francesco, criticare i talebani a partire dall’Islam. È sbagliato perché esistono tanti Islam diversi da quello dei talebani, che pure è Islam. È sbagliato perché offende. È sbagliato perché è improduttivo e infruttuoso, dal momento che irrigidisce.
Cosa ben diversa è, invece, elaborare una visione critica della storia dell’Islam e non dell’Islam in sé.
Far emergere tutti i momenti della storia in cui le donne dei paesi musulmani non sono state libere di scegliere i loro affetti. Tutte le volte in cui non è stato possibile criticare la religione e seguire la propria coscienza se qualcuno avesse voluto battezzarsi.
Non criticare l’Islam in sé, ma le sue forme storiche.
È necessario farlo, perché i musulmani questo non l’hanno mai fatto. Per questo è oggi necessaria una critica non alla religione in sé, ma alle forme storiche di religione vissuta e praticata. Fosse stato già fatto, non sarebbe necessario. Ma non è mai stato fatto.
È il compito della critica storica ben diversa dalla critica distruttiva filosofica o religiosa di chi volesse affermare che un determinato indirizzo di vita è del tutto tutto negativo.
I musulmani non hanno mai nemmeno iniziato ad elaborare una visione critica del loro passato sul tema della violenza e della libertà della donna.
I cristiani hanno avuto il coraggio di riconoscere i propri errori, ad esempio per l’Inquisizione o le violenze della Conquista dell’America Latina.
Il mondo laico ha riconosciuto le violenze commesse dalla rivoluzione francese o dal comunismo.
Le cause religiose e culturali dell’antisemitismo sono state analizzate non solo dagli storici di professione, ma sono su tutti i libri di scuola.
Ora è necessario che un analogo sguardo critico nasca anche a riguardo alla storia dell’Islam. È necessario che chi ama l’Islam inizi tale studio critico. È necessario che anche gli storici delle università occidentali facciano la loro parte, se intendono essere amici dei musulmani e non ingannarli.
Deve nascere uno sguardo critico che distingua fra la fede musulmana in sé e il modo in cui è stata vissuta. Uno sguardo che salvi la fede islamica in sé, ma non abbia paura di indicare le colpe storiche e le situazioni di violenza, la mancanza di libertà negli affetti nei secoli.
I cristiani hanno riconosciuto le violenze crociate, provocati dagli studi degli storici laici che li hanno, anche con amore, inchiodati alle loro responsabilità.
I laici, dal canto loro, hanno riconosciuto le gravi colpe delle violenze atee.
Allo stesso modo non solo è legittimo, ma anzi è doveroso chiedere che il mondo islamico riconosca le gravi violenze perpetrate nella conquista dell’Egitto o dell’Andalusia o della Sicilia o di Costantinopoli.
Dichiarare che non furono guerre di difesa quelle di conquista dell’Egitto o della penisola iberica o di Costantinopoli. Furono vere e proprie guerre di conquista, violente, ingiuste e illegittime, ma affermare questo non vuol dire criticare l’Islam in sé.
Anzi è un profondo atto di amore all’Islam, così come è un atto di amore al cristianesimo denunciare i suoi misfatti.
Fra l’altro, questo non vuol dire pretendere che si torni indietro. Dire che le conquiste spagnole in America latina furono “peccati” non vuol dire pretender che rinasca l’impero Inca, perché ciò è impossibile. Dire che la conquista di Costantinopoli fu un grave “peccato” non vuol dire che sia giusto far risorgere l’impero bizantino, perché è impossibile. Istanbul è turca e va bene così. Ma affermare che fu un atto immorale la sua conquista vuol dire preparare i cuori delle nuove generazioni ad essere umili, a riconoscere che episodi come quelli non debbono più essere ripetuti. Vuol dire “purificare la memoria”.
Questo aiuterebbe l’Afghanistan.
Aiuterebbe l’Afghanistan uno sguardo critico sulle violenze prima arabe e poi turche nei secoli. Aiuterebbe l’Afghanistan cominciare a denunciare sui libri di scuola le violenze compiute dai musulmani nei secoli, così come ci hanno resi più liberi le denunce delle violenze cristiane e laiche: questo aiuterebbe.
Riconoscere che furono ingiusti i saccheggi arabi di Siracusa o di Palermo, con l’uccisione di civili e la deportazione di schiavi, non implica assolutamente un’offesa all’Islam in quanto tale.
Anzi la libertà di ammettere le colpe da parte di musulmani su tali fatti è esattamente la via per affermare che l’Islam è una religione di pace, poiché i musulmani sono in grado di riconoscere le proprie malefatte.
È la via per insegnare ai giovani arabi o turchi o afghani che quegli errori del passato furono tali e non saranno ripetuti.
Qui la scuola gioca un ruolo decisivo. In occidente non sono solo i docenti universitari, ma anche i libri di testo delle scuole ad affermare che l’Inquisizione o la conquista dell’America Latina furono ingiuste, così è necessario che anche nei libri di testo delle scuole di tutti i paesi del mondo, compresi quelli a maggioranza islamica, sia scritto che quelle guerre di conquista condotte da musulmani furono ingiuste.
Questo lavoro di lungo periodo deve essere fatto, mentre è sbagliato identificare i talebani con l’Islam.
Quello che aiuterà un cammino di libertà in Afghanistan non sarà accusare l’Islam in sé, bensì aiutare i musulmani a riconoscere che in epoche passate, in terre guidate da musulmani, la donna non fu lasciata libera di scegliere i propri affetti, ma venne costretta.
Quello che aiuterà un cammino di libertà in Afghanistan non sarà accusare l’Islam in sé, bensì aiutare i musulmani a riconoscere che in epoche passate, in terre guidate da musulmani, non ci fu la libertà di criticare la religione o di diventare cristiani e che questi atteggiamenti furono peccaminosi e contribuiscono oggi di fatto ad incoraggiare indirettamente la violenza che è propria dei talebani.
Il mondo musulmano deve iniziare a mettere in discussione la propria storia. Ogni atteggiamento violento del passato deve essere analizzato e portato alla luce, come è avvenuto per il cristianesimo e per il mondo laico. Questa denuncia del male commesso è la medicina che permetterà ai giovani musulmani di rinnovare il modo di vivere oggi l’Islam perché sia un modo che escluda ogni violenza e costrizione.
Se questo non avvenisse, l’ombra della violenza sarebbe invece sempre in agguato per le nuove generazioni islamiche. Non a motivo dell’Islam in sé, ma perché i musulmani odierni avrebbero rifiutato una purificazione della memoria che è necessaria e ineliminabile.
Di una revisione storica ha bisogno il mondo musulmano. DI una revisione che non sia una critica all’Islam in sé, ma alle forme in cui l’Islam si è imposto nel passato.