1/ Afghanistan. I patti di Doha e il giallo sul confine con l'Iran. Domande e dubbi. Diversi analisti sostengono che una simile vittoria dei teleban non sarebbe stata possibile se non fosse stata in qualche modo concordata. Quale sarà il rapporto tra Teheran e Kabul?, di Camille Eid 2/ Afghanistan. Taleban e al-Qaeda «alleati» a Kabul, verso la resa dei conti con il Daesh. L’«esultanza» del mondo fondamentalista nasconde uno scontro che si consumerà presto. E il territorio afghano offre tutte le opportunità per offrire asilo e riformare il fronte del jihad, di Camille Eid
1/ Afghanistan. I patti di Doha e il giallo sul confine con l'Iran. Domande e dubbi. Diversi analisti sostengono che una simile vittoria dei teleban non sarebbe stata possibile se non fosse stata in qualche modo concordata. Quale sarà il rapporto tra Teheran e Kabul?, di Camille Eid
Riprendiamo da Avvenire del 20/8/2021 un articolo di Camille Eid. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Medio Oriente.
Il Centro culturale Gli scritti (22/8/2021)
Processione degli sciiti per l'Ashura a Herat, dopo la
conquista dei taleban. Non ci sono stati combattimenti
e questo lascia pensare a un accordo - Ansa
Molti sono ancora gli interrogativi rimasti senza risposta, posti dalla fulminea conquista dell’Afghanistan da parte degli “Studenti del Corano”. Diversi analisti sostengono che una simile vittoria non sarebbe stata possibile se non fosse stata in qualche modo concordata – o quantomeno tacitamente accettata – con la controparte, nello specifico con gli americani. Secondo gli analisti, l’“Accordo per portare la pace in Afghanistan” sottoscritto il 29 febbraio del 2020 a Doha, nel Qatar, dagli Stati Uniti e l’«Emirato islamico dell’Afghanistan» contiene clausole segrete che disegnano il nuovo quadro geopolitico nella regione.
Onde evitare di cadere nelle speculazioni, ci limitiamo a riavvolgere il nastro degli ultimi eventi per registrare quanto di «poco consueto» possa aver visto una sua traduzione sul terreno, come la concordata «messa in sicurezza» dell’aeroporto di Kabul per favorire l’operazione di evacuazione dei militari e cittadini stranieri al Paese.
Sicuramente, l’Accordo di Doha stabilisce le norme per neutralizzare il Daesh, tuttora presente in alcune zone orientali dell’Afghanistan, sul confine con il Pakistan. Tra poco assisteremo quindi a una guerra “ufficiale” tra un governo notoriamente qaedista e i seguaci del Califfato.
Ma le domande che sorgono spontanee circa l’Accordo riguardano il curioso capitolo Iran. Possibile che Washington si sia rassegnata all’idea di abbandonare l’Afghanistan senza avere delle rassicurazioni sul fatto che Teheran non ne tragga beneficio, come aveva fatto in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein? In altre parole, senza “delegare” ai taleban il compito di mantenere l’accerchiamento del Paese mediorientale più nelle mire degli Stati Uniti?
In verità, una delegazione dei taleban si era recata il 7 luglio scorso a Teheran per partecipare a colloqui patrocinati dall’Iran con il governo di Kabul, accolta dal ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif. L’Iran aveva tutto l’interesse di vedere l’Afghanistan libero dalle truppe statunitensi, e proprio per questo scopo non disdegnava di fornire aiuti militari ai vecchi rivali taleban, ma Teheran non gradisce certo vedere questi ultimi governare il Paese da soli.
In tivù sono volate implicite minacce dai commentatori iraniani all’indirizzo degli “studenti” in caso di espansione nelle zone frontaliere occidentali senza «il necessario benestare» dei Fatimiyyoun, ossia delle brigate sciite reclutate dai pasdaran tra i rifugiati hazara afghani in Iran, e mandate a combattere in Siria.
Alla fine, non abbiamo visto nessuno scontro tra le milizie sciite e i taleban, con questi ultimi che hanno occupato, l’una dopo l’altra, le tre province confinanti con l’Iran senza colpo ferire: Farah, Nimruz e Herat. La mancata reazione iraniana sarebbe riconducibile al concomitante passaggio dei poteri tra Hassan Rohani e Ibrahim Raisi oppure a un approccio pragmatico deciso ai massimi vertici religiosi iraniani?
Per ora, e mentre l’Occidente si adopera per mettere in salvo il suo personale diplomatico, l’Iran ribadisce che le sue missioni presenti a Kabul e a Herat sono rimaste aperte. Ma gli esperti iraniani ricordano nel contempo che il capo della Forza Quds, Esmail Qaani, succeduto a Qassem Soleimani, è «specialista in questioni afghane».
2/ Afghanistan. Taleban e al-Qaeda «alleati» a Kabul, verso la resa dei conti con il Daesh. L’«esultanza» del mondo fondamentalista nasconde uno scontro che si consumerà presto. E il territorio afghano offre tutte le opportunità per offrire asilo e riformare il fronte del jihad, di Camille Eid
Riprendiamo da Avvenire del 21/8/2021 un articolo di Camille Eid. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Medio Oriente.
Il Centro culturale Gli scritti (22/8/2021)
Taleban controllano la città di Kandahar,
in Afghanistan - Ansa/Epa
I taleban diventano un modello da imitare per le filiali di al-Qaeda, dal Sahel al Pakistan e dalla Siria allo Yemen. I «turbanti neri» non erano ancora entrati nella capitale afghana quando i gruppi legati alla rete jihadista mondiale, a tutte le latitudini, hanno cominciato a esultare.
Il primo a farlo è stato Iyad Ag Ghali, leader del Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim) che opera in particolare nel Mali, ma estende i suoi attacchi anche a Niger e Burkina Faso. Dopo un lungo silenzio, Ghali ha diffuso il 10 agosto un audio in cui rende omaggio al «nostro Emirato islamico» chiedendo ai suoi uomini di intensificare gli attacchi contro le truppe francesi per costringerle a un simile umiliante ritiro. Messaggi di congratulazioni sono giunti anche dalla provincia siriana di Idlib, dove si concentrano formazioni di diversi riferimenti ideologici.
Il gruppo qaedista Firqat al-Ghuraba (la Brigata straniera) di Omar Omsen, che raccoglie decine di jihadisti francesi e belgi, si è complimentato con i taleban, definendoli «un modello di pietà e sopportazione», per «la vittoria eclatante dopo anni di pazienza e sacrificio». Diventa chiaro che stiamo assistendo a una strumentalizzazione da parte di al-Qaeda del successo dei taleban per discreditare ulteriormente l’esperienza del califfato del Daesh. La vera domanda da porsi è, infatti, se i taleban abbiano tagliato o meno il cordone ombelicale con al-Qaeda, la cui ospitalità sul territorio afghano ha provocato la caduta del loro regime nel 2001.
Alla conferenza stampa organizzata dagli “studenti” a Kabul, il portavoce del movimento, Zabihullah Mujahid, non ha risposto a una domanda specifica sul tema, limitandosi ad affermare che i taleban non desiderano più vedere militanti stranieri sul suolo afghano. «In realtà – afferma Wassim Nasr, esperto di movimenti radicali – i loro legami sono ancora molto solidi. Al-Qaeda considera che la vittoria sia sua». Le prove sui legami costanti tra le due parti non mancano. Il quotidiano India Today lamenta che i taleban abbiano rilasciato dalle carceri afghane «oltre 2.300 terroristi, inclusi molti capi del Ttp», il movimento dei taleban pachistani, anch’esso legato ad al-Qaeda.
Uno di questi è l’influente capo tribale mollah Faqir Muhammad, che non nasconde i suoi legami personali con Ayman al-Zawahiri. Gli esperti non escludono che i taleban permettano ad alcuni dei capi di al-Qaeda rifugiati in Iran di tornare nel Paese. Diverso il trattamento dei taleban con i reclusi del Daesh, come dimostra la “misteriosa” uccisione di Abu Omar al-Khorasani, già capo della Wilaya (provincia) del Khorasan per conto del Daesh, nel carcere Pul-i Charki di Kabul poco dopo l’ingresso dei taleban nella capitale.
Daesh non assiste impassibile alla derisione dei suoi rivali. L’ultimo numero (uscito giovedì) di al-Nabaa, organo di stampa del gruppo, si è scagliato contro gli «apostati» che hanno pattuito il passaggio dei poteri con gli americani «negli alberghi di lusso di Doha» invece di proseguire sulla via del Jihad. La rivista ha puntato il dito contro il mullah Baradar, autore dell’accordo con gli Usa, chiamandolo sarcasticamente «mullah Bradley», dal nome del veicolo da combattimento statunitense.
Torna sulla scena, dopo oltre quattro anni di interruzione, anche Inspire, la rivista di propaganda qaedista in lingua inglese. Segno che le due anime del jihadismo si preparano a una lotta ancora più serrata tra di loro. L’Afghanistan, come altre zone calde del pianeta, sono destinate a rimanere a rischio.