Le donne dell’infanzia di Gesù: Elisabetta, Anna, la Madonna sicuramente e tante altre sia di Nazareth che di Betlemme, di Elena Bosetti
Riprendiamo da Il crocifisso, numero di sett.-ott. 90 (2010), pp. 12-16, un articolo scritto da Elena Bosetti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (28/10/2010)
Quali donne, oltre sua Madre, hanno abitato l’infanzia di Gesù? I vangeli canonici non offrono propriamente risposta a una tale domanda. Ma Luca, nel cosiddetto vangelo dell’infanzia, presenta due figure femminili particolarmente interessanti: Elisabetta, la madre del Precursore, e la profetessa Anna che, insieme al vecchio Simeone, accoglie Gesù nella presentazione al tempio. Due donne avanti negli anni, che manifestano un rapporto speciale con lo Spirito e con la Parola, anche se la profetessa Anna è piuttosto avvolta di silenzio. Intrigante questo intreccio di Spirito, profezia e silenzio sulle soglie del Nuovo Testamento. Di quale messaggio è portatore?
Elisabetta: la graziata che si tiene nascosta
Elisabetta era discendente di Aronne e dunque di famiglia sacerdotale, come suo marito Zaccaria. Una coppia perfetta, diremmo oggi: «Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore» (Lc 1,6). I loro nomi suonano fortemente allusivi: Zaccaria significa infatti «Dio ricorda», mentre Elisabetta significa «Dio ha giurato».
Il significato di questi nomi però sembrava contraddetto nell’esistenza di questa santa coppia. Dio non sembrava affatto ricordarsi del suo devoto sacerdote, né mantenere la sua fedeltà nei confronti della giusta Elisabetta su cui pesava l’umiliazione della sterilità: «non avevano figli e tutti e due erano avanti negli anni» (Lc 1,7).
La situazione di Elisabetta evoca diverse storie dell’Antico Testamento, in particolare quella della bellissima matriarca Sara e di Anna, la dolce madre del profeta Samuele. Come le grandi madri del popolo di Dio, Elisabetta è messa a dura prova nella sua speranza. Passano gli anni e ogni anno lascia un segno sul volto, linee di dolore sempre più profonde. Per gli altri sono rughe, per lei sono solchi scavati dall’attesa di colui che ha invocato e non risponde.
Ma Dio, che guida la storia, sa bene che occorrono solchi profondi per far germogliare la novità che lui sta per seminare. Così una sera, al ritorno di Zaccaria dal tempio (cf Lc 1,8-23), Elisabetta concepì il suo futuro. In un amore «muto» e tuttavia mai così eloquente, fatto di sguardi e di gesti che dovevano dire l’indicibile: quello che Zaccaria aveva udito da Gabriele e che non poteva verbalizzare alla sua fedele compagna di vita e di dolore. Ma lei comprese e si aprì totalmente. E fu gioia e trepidazione immensa.
Mi ha sempre colpito come Luca commenta la reazione di Elisabetta. Scrive l’evangelista: «Elisabetta concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini» (Lc 1,24-25). Perché mai Elisabetta, liberata dalla vergogna della sterilità, si tenne nascosta per cinque mesi? Perché questo sottrarsi agli occhi della gente? Per la «vergogna» di essere rimasta incinta in tarda età? Ma se così fosse, sarebbe più logico attendersi il nascondimento a gestazione avanzata, anziché nei primi mesi!
La ragione di questo strano nascondimento sembra dunque un’altra, che a me piace formulare così: Elisabetta si tenne nascosta per contemplare. Quando Dio parla conviene che l’uomo taccia (Zaccaria resta muto); quando Dio opera meraviglie conviene non dissolverle in chiacchiera (Elisabetta si tiene nascosta). Così la scena finisce come era cominciata: davanti a Dio (cf Lc 1,8).
Elisabetta si ritrae dagli sguardi della gente per restare totalmente sotto lo sguardo di Dio, in religioso ascolto e canto di lode. La madre del Precursore precede la Madre del Salvatore nella confessio laudis, nel gioioso riconoscimento della grazia, delle meraviglie del Signore: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore!» (v 25).
Quando lo Spirito fa sussultare il grembo
Al sesto mese Elisabetta non è più nascosta: è il tempo della visita e della benedizione. Al saluto di Maria la sterile graziata erompe in un cantico di lode, mentre il bambino sussulta di gioia nel suo grembo: «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,43-44).
La voce di Elisabetta sale forte come nelle acclamazioni liturgiche: un’esplosione di gioia e di profezia accompagnano il riconoscimento della «Madre del Signore». Ma chi ha informato Elisabetta? A Maria quella visita conferma l’attendibilità del «segno» ricevuto da Gabriele. Ora può vedere con i propri occhi che davvero Elisabetta porta in grembo un bambino.
Ma come fa l’anziana cugina a sapere della sua maternità? Cosa traspare dalla Vergine? Luca precisa che al saluto di Maria «Elisabetta fu piena di Spirito Santo» (v 41). È lo Spirito che fa sgorgare lode e profezia! Infatti, Elisabetta non solo riconosce il palpito di una nuova vita, ma ne riconosce la singolare natura. Si tratta di una maternità che non ha precedenti: Maria è acclamata Madre di quel Signore che Elisabetta accoglie nella fede come il Dio della sua vita: «il mio Signore».
Il pensiero corre all’arca dell’alleanza che Davide accoglie con giubilo, danza e stupore: «Come potrà l’arca del Signore venire a me?» (2 Sam 6,9). Maria appare agli occhi di Elisabetta come l’arca della nuova alleanza: «A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?», esclama riecheggiando le parole di Davide, mentre il piccolo Giovanni salta di gioia nel suo grembo. Inno di giubilo e di esultanza per la Madre del Messia.
L’acclamazione di Elisabetta è primizia di un canto che si rinnova nel tempo, di generazione in generazione: «Benedetta tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc 1,42). Nella sua acclamazione Elisabetta indica dove risiede la vera grandezza di Maria, attesta ciò che lo Spirito, e non il semplice sguardo umano, le permette di vedere e cioè il valore eminente della fede obbediente di Maria: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento della parola del Signore» (v 45). Prima fra tutte Elisabetta proclama la felicità di Maria, una beatitudine che attraversa il tempo: «tutte le generazioni mi proclameranno beata», dirà la stessa Vergine nel suo Magnificat (v 48). Maria è davvero felice perché ha creduto. È la credente per eccellenza, la Madre di tutti i credenti.
Anna, la profetessa silente
Luca è l’unico evangelista che racconta della «circoncisione» di Gesù all’ottavo giorno, come ogni bambino ebreo, secondo la prescrizione della Legge. Maria e il suo sposo Giuseppe erano buoni osservanti della legge e come tali si attengono anche ai riti in essa prescritti: «Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» (Lc 2,22-24).
Senza entrare in merito a questi riti, che andrebbero approfonditi per comprendere le origini ebraiche della nostra fede, vorrei soffermarmi sull’epifanico incontro del Bambino con il vegliardo e la profetessa. Anna e Simeone sono figure carismatiche, pienamente abitate dallo Spirito e perciò capaci di una parola che oltrepassa la contingenza e si fa canto e profezia.
Simeone è «uomo giusto e timorato di Dio», un vero sapiente, biblicamente parlando. Tutta la vita di questo saggio vegliardo è compendiata nell’attesa: «aspettava la consolazione d’Israele» (Lc 2,25). Bellissima figura in cui, per così dire, prende forma e corpo la speranza e più precisamente l’attesa della consolazione messianica: «Gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio ... » (vv 26-27). Quale sorpresa gli riserva lo Spirito?
«Consolate, consolate il mio popolo», dice il Signore per bocca di Isaia (Is 40,1). «Prorompete insieme in canti di gioia rovine di Gerusalemme perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme» (Is 52,9).
Le braccia del vegliardo, a lungo innalzate nell’ardente invocazione del Messia, stringono tremanti il Bambino. Simeone lo innalza verso il cielo mentre il suo spirito erompe in un cantico: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2,29-32).
Gioia degli occhi che hanno visto ciò per cui valeva la pena di vivere, hanno visto l’Atteso. Occhi che ridono, cuore che canta: «ora posso andare nella pace», shalom che viene dalla contemplazione della salvezza, preparata per tutti. Gli occhi di Simeone vedono in profondità ciò che sta «davanti al volto» (kata prosopon) di tutti. Non solo per Israele, ma per tutte le genti si compie la salvezza.
«Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio» (Is 52,10), sembra dire silenziosamente Anna, la profetessa. Luca introduce questa donna in stretto collegamento con la figura di Simeone, entrambi testimoni della speranza. Anna però, diversamente da Simeone, è presentata in maniera circostanziata: è la figlia di Fanuel, nome che richiama Penuel, «volto di Dio» (cf Gen 32,31); appartiene alla tribù di Aser, figlio della matriarca Lia: (cf Gen 30,13) e vive nel tempio in qualità di vedova. Alla morte del marito, nel settimo anno del suo matrimonio, decide di vivere a pieno servizio del Signore. Una lunga vita nell’orante attesa: «Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere» (Lc 2,37).
Anna è giunta ormai a 84 anni, numero che sembra alludere a una combinazione simbolica di 7 x 12 (dove il 12 sarebbe allusivo di Israele e il 7 delle nazioni pagane). Al di là del simbolismo numerico, è difficile comunque sottrarsi al fascino di questa santa vedova che Luca definisce «profetessa» (v 36). Ma in che cosa consiste la profezia di Anna?
Quando a parlare è tutta la persona
Mi colpisce un dettaglio: questa donna «non si allontanava mai dal tempio» (Lc 2,37). Diversamente da Simeone che, mosso dallo Spirito si reca al tempio per la presentazione del bambino Gesù, Anna non accorre per la circostanza: lei nel tempio c'è già. È diventato sua stabile dimora da quando, giovanissima, è rimasta priva del marito. Il tempio del Signore è la sua casa: non solo dal punto di vista logistico, ma come dimensione spirituale. Ha fatto della lode divina il senso e la ragione d’essere della propria esistenza. Anna vive nel digiuno, nella preghiera e nel servizio liturgico: dedizione incondizionata alla presenza del Signore.
Tutto questo connota la qualifica di «profetessa» che Luca le attribuisce. Simeone per sé non è designato profeta, ma di fatto profetizza. Infatti parla alla Madre di Gesù rivelando il suo drammatico destino: «Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione, e anche a te una spada trafiggerà l’anima, affinché i pensieri di molti cuori siano svelati» (vv 34-35). Parole brucianti che Anna ascolta in silenzio, come Maria.
In che cosa consiste, dunque, «l’essere profetessa» di Anna? Anzitutto nell’essere lì in quel modo: presenza amante, testimone silente, ovvero eloquenza di tutta la persona. C’è un dire profetico che non può essere comunicato a parole. C’è un dire che si esprime nella danza, come quello di Miriam, la novantenne profetessa dell’esodo (cf Es 15,20-21).
Anna, la profetessa del Nuovo Testamento, «Lodava Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (v 38). Dunque, niente affatto «donna muta», ma profetessa, donna che parla di lui a quanti attendono liberazione e salvezza. Donna che, oltre al passato, rimanda al futuro, all’opera evangelizzatrice delle discepole di Gesù, prima fra tutte Maria di Magdala, testimone del Risorto (cf Lc 24,1-11 e paralleli).
Anna, cui Dio ha fatto grazia, oltrepassa la soglia dell’Antico Testamento per entrare nel Nuovo. La sua profezia diventa Vangelo: bella notizia a tutti, lieto annuncio della salvezza. In tal senso Anna è profezia che continua a interpellare.