Uomini e donne, omosessuali e transessuali non possono che nascere da un maschio e da una femmina. Eventuali differenziazioni avvengono poi dopo, di Giovanni Amico
Riprendiamo sul nostro sito una riflessione di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. la sezione Famiglia e gender.
Il Centro culturale Gli scritti (22/8/2021)
Il maschile e il femminile sono e restano originari. Tanto è vero che qualsiasi persona nasce da un uomo e da una donna. Uomini e donne, omosessuali e transessuali, tutti sono nati da un padre e da una madre. Non esiste uomo, né donna, né omosessuale, né transessuale che non abbia il suo DNA derivato da un uomo e da una donna. Non esiste uomo, né donna, né omosessuale, né transessuale che non abbia il suo ombelico e che non sia stato portato in grembo da una madre.
Nondimeno eventuali differenziazioni sono poi possibili. Ma solo poi.
Il maschile e il femminile generano tutti, anche l’omosessuale e il transessuale.
Non è possibile, invece, il reciproco, a meno che, per l’attimo del concepimento e per il tempo della gestazione, l’omosessuale e il/la transessuale non accettino di tornare a giocare il maschile e il femminile originari.
La vita umana, da sempre, gioca su due piani. Quello dell’origine, dove sono necessari un padre e una madre per nascere. Quello della maturazione personale, che può differenziarsi in maniera diversissima, dal matrimonio al celibato e verginità, dal rimorchio all'orgiastico, dall'omosessaulità alla transessualità, dalla difficoltà relazionale alla generazione di bambini o al rifiuto di essa, da rapporti possessivi a rapporti liberanti, dal rispetto del corpo e dell'anima altrui al disprezzo di se stessi, dal disprezzo dell'altro all'oblatività, dal sadismo al masochismo, dalla dolcezza alla castità, e così via..
Lungo tutto il corso della storia dell’uomo così è. Generazione dal maschile e femminile e sviluppo che può allontanarsi dal maschile e dal femminile. Da quando esiste l’uomo sono passati forse 2,5 milioni-2 milioni di anni: da allora sempre il maschile e il femminile sono stati all’origine.
È curioso che il riferimento all’arcobaleno – e quindi alla varietà delle specie ricordata dal racconto di Noè che culmina con l’arcobaleno – è la memoria di un racconto che insiste proprio sul maschile e sul femminile. Nell’arca di Noè su cui sorgerà l’arcobaleno vengono fatti entrare e salvati due paia (o sette paia per alcune specie), composte di un maschio e una femmina perché da loro rinasca la fauna dell’intero pianeta - ovviamente il racconto di Genesi è da leggere con tutte le attenzioni dell’esegesi scientifica su cui ora non intendiamo soffermarci e sappiamo bene che la scienza ha dimostrato che ci sono specie, a differenza dell’uomo, che non hanno come chiave della generazione il maschile e il femminile, si pensi ad esempio agli organismi unicellulari che si riproducono per duplicazione e scissione.
D’altro canto, dati il maschile e il femminile come originari e come unici fertili, nella storia ci sono state sempre persone che hanno poi scelto di rifiutare la sessualità o di essere omosessuali o autoerotici o violenti nella sessualità o polimorfi o vergini e celibio o altro ancora. A differenza delle altre specie animali, l’origine non determina "deterministicamente" il comportamento, ma esiste sempre una libertà relativa (mai assoluta) – ecco perché c’è sempre la possibilità del peccato nella sessualità, c'è sempre una responsabiità personale, e c’è da subito, fin dalle origini, nella prima donna e nel primo uomo.
Tutta la psicologia afferma che nell’uomo non c’è un istinto come negli animali: le molteplici pulsioni sessuali con le quali si nasce vengono ordinate solo nello sviluppo della persona e vengono ordinate a seconda dell’ambiente familiare in cui si vive che incide fortemente e, d’altro canto, poi anche dalle scelte che si compiono che sono decisive.
Tale cammino vale, ovviamente, innanzitutto per il maschile e il femminile e mai nella persona può essere dato per scontato che una determinata scelta sia un passo avanti e non uno indietro.
Non c’è accordo sugli studiosi su come avvenga la “differenziazione” dopo il maschile e il femminile generanti, di come essa avvenga nel cammino della persona, anche se tale pluralità di atteggiamenti è a tutti evidente fin dalle origini.
Per taluni ciò che comanda è il biologico e l’ormonale, per altri ciò che è decisivo è il contesto dell’educazione familiare con le modalità di intervento del maschile e del femminile della coppia genitoriale, per una minoranza ciò che è decisivo è la libera scelta della persona. Non c’è accordo nella psicologia su quanto sia determinante nella genesi dell’omosessualità, ad esempio, un determinato rapporto del padre e della madre e quanto, invece, l’aspetto ormonale e quanto la libera scelta.
Certo è che, senza con questo affermare che sia una scelta, tutti riconoscono che la maturazione della sessualtià retsa comunque un compito e che anche dell'omosessaulità si possano fare tantissime cose, come si può vivere il maschile come un don Giovanni, come un marito, come un pedofilo, come un celibe consacrato, come un irrisolto. La maggioranza degli psicologi chiede – e direi giustamente – di poter contribuire alla maturazione del paziente che a loro si rivolge, senza mai escludere la possibilità che una propria tendenza possa dipendere da pregresse situazioni vissute a volte fin dall’infanzia. Ad esempio G.J.M. van der Aardweg, lavorando sui complessi di inferiorità, ha osservato come diversi ego-distonici divengano liberi di riscoprire l'altro sesso.
Chi frequenta gli ambienti della terapia psicologica sa bene come esista un timore negli psicologi di poter essere messi sotto accusa, da esponenti delle teorie del gender, quando, esercitando il loro mestiere, aiutano le persone a scandagliare il loro passato alla ricerca di quali esperienze li abbiano portati ad avere le tendenze che oggi hanno, talvolta - solo per fare un esempio - per aver vissuto in famiglie in cui la figura maschile era troppo debole o troppo violenta, per aiutarle a comprendere la loro storia e le motivazioni dei loro comportamenti presenti[1]. Questo timore emerge quando, in presenza di persone ego-distoniche, cioé che non sono contente di avere una determinata tendenza, gli psicologi lavorano ad aiutarli a capire le origini psicologiche di ciò che non accettano, senza spingerle ad accettarsi, ma anzi lavorando a far emergere quali potrebbero essere le origini psicologiche, talvolta inconsce, del vissuto familiare che gli ego-distonici ritengono abbia inciso a determinare il loro atteggiamento verso la sessualità. Ovviamente gli psicologi, compiendo questo lavoro, sono convinti che tale analisi possa contribuire a modificare la percezione che i loro pazienti hanno di sé. Lo ripetiamo: questo non vuol dire che in ogni persona sia possibile una modificazione della strutturazione, ma certo in alcuni sì e, soprattutto, ben diversa è la libertà che la persona acquista quando comprende i condizionamenti che ha subito, ad esempio da una figura maschile troppo debole, ripsetto ad una femminilre etremamente invasiva.
Si potrebbe forse aggiungere che le tre modalità – quella organica, quella psicologica e quella della maturazione che deve avvenire - non si escludono a vicenda e sono diversamente preponderanti nella determinazione del genere.
C’è fra gli psicologi chi ritiene, infatti, che nella transessualità sia maggiormente determinante il dato biologico-ormonale, mentre nell’omosessualità sia maggiormente determinante il modo in cui il maschile e il femminile della coppia di origine si sono relazionati.
Certamente c’è un cammino della persona che è suo e solo suo e che può determinare maturazioni come distorsioni nell’organizzazione delle pulsioni sessuali – si pensi, solo per fare l’esempio più noto, alla fissazione dello sviluppo alla fase orale, anale e fallica secondo Freud. Tale cammino può portare ad un atteggiamento sempre più oblativo (quello che Fornari ha chiamato la fase genitale[2]), ma può anche portare a recessioni e chiusure.
Certamente, c’è sempre un ampio margine lasciato alla maturazione della persona che non è mai totalmente determinata, nemmeno dai condizionamenti subiti da neonato o addirittura già nel grembo materno. Libera è certamente almeno la scelta se comprendere da dove derivi la propria organizzazione affettiva o ritenerla data senza voler indagare oltre.
Voler conoscere la propria storia nel profondo permette, invece, di comprendere come il maschile e il femminile restino originari - e come possano incidere negativamente se vissuti in una relazione padre-madre eccessivamente squilibrata - e come essi e solo essi diano origine a strutturazioni personali differenti.
Certo è che l’essere umano può fare della sessualità qualunque cosa, a seconda della sua maturazione, tanto è vero che può viverla in maniera violenta o dolce, monogamica o polimorfa, solitaria, interpersonale o gruppale.
Perché sia data alla persona questa libertà relativa - che matura in relazione al dato biologico, all’equilibrio genitoriale e alle esperienze e alla disponibilità a verificare il cammino -, deve prima ricevere la vita dal maschile e dal femminile e questo rende il maschile e il femminile originari.
Meravigliosa è la memoria anche fisica del maschile e del femminile, sia nel DNA che nel proprio ombelico, che, come ferita originaria, ricorda a tutti di avere avuto una madre che ci ha portato in grembo per nove mesi che, come insegna la psicologia, non sono indifferenti allo sviluppo successivo.
Per il principio di realtà di Freud, che è caratteristico della maturità della persona, la memoria dell’aver ricevuto la vita dal maschile e dal femminile deve essere poi interiorizzato perché non prenda il potere il principio del piacere (sempre secondo la terminologia freudiana[3]) che porterebbe la persona ad alienarsi dal reale, ricostruendo un mondo a partire dai punti di vista “piacevoli” che prescindono però dalla realtà: l’adesione al reale è una delle caratteristiche della maturità psicologica della persona.
Il maschile e il femminile sono, anche nella memoria della persona, un passaggio chiave nella propria comprensione dell’essere stati generati.
Forse non è senza significato che, a tutt’oggi, in molte delle legislazioni, ad esempio in quella italiana, non si accenni mai alla nascita di figli come ad un diritto, bensì come ad un dovere. Negli articoli del Codice che debbono essere letti ai nubendi si specifica espressamente che sarà loro dovere prendersi cura della prole.
Non così avviene nella celebrazione delle unioni civili in Italia e in altri paesi, nella celebrazione delle quali non solo non si menziona mai un diritto alla generazione - esattamente come non si accenna mai ad un presunto diritto ad avere figli nemmeno nel matrimonio fra l’uomo e la donna -, ma non c’è mai menzione del dovere di provvedere alla prole.
Tale assenza di ogni riferimento ad un dovere relativo alla prole sembra d’altro canto conforme alla prassi esistente anche nelle nazioni dove è consentito il matrimonio fra persone dello stesso sesso: infatti, anche dove la legge lo consente, sono pochissime le coppie omosessuali che adottano bambini, mentre ben diversa è la percentuale quando sono l’uomo e la donna a celebrare le nozze: essi hanno ben presente quando fanno l’amore, almeno come possibilità sempre all'orizzonte, l’eventualità del concepimento di un bambino.
Note al testo
[1] Cfr., ad esempio, Pacate domande intorno all’omosessualità ed all’omofobia, di Giovanni Amico.
[2] Cfr. su questo Dal fallico al genitale, in prospettiva freudiana / 1 (da Leonardo Ancona, La psicoanalisi) e Dal fallico al genitale, in prospettiva freudiana / 2 (dall’Introduzione e dalla Conclusione di Franco Fornari, Genitalità e cultura).
[3] Come è noto il passaggio dal principio del piacere a quello della realtà è determinante nel cammino della persona verso la maturità, secondo Freud.