La via sublime: l’agape in 1Cor 12,31-13,13 e nel pensiero paolino, di Antonio Pitta

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 09 /08 /2021 - 22:33 pm | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo dalla rivista Itinerarium 17(2009) 41, pp. 41-52 un articolo di Antonio Pitta. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Lettere paoline.

Il Centro culturale Gli scritti (9/8/2021)

1. Introduzione

«Cosa c'è di valore pari alla bellezza?». Ed egli rispose: «L'eusebeia. E infatti essa è una sorta di prima bellezza. Ma la sua forza è l’agape; essa infatti è dono di Dio. Tu la possiedi e cingi, per mezzo di essa, tutti i beni». Sembra che, se prescindiamo da 1Cor 12,31-13,13, questa citazione, tratta dalla Lettera di Aristea a Filocrate 229, rappresenti l'unico elogium dell’agape attestato nella letteratura greca antica.

In verità, nel mondo antico sono diffusi gli elogi dell’eros (cfr. PLATONE, Simposio 197B-E) della sapienza (cfr. Sap 7,7-8,1; 4Mac 1,2), della verità (3Esdra 4,34-40), dell'amicizia (cfr. ARISTOTELE, Ethica Nichomachea 8,l,1555a)[1], per citare le virtù più esaltate[2]. A quanto sembra, nessuno però ha elogiato in modo così elevato l'agape come Paolo: lo stesso passo citato della Lettera di Aristea scolora di fronte all'elogio di 1Cor 12,31-13,13; al massimo, può essere posto a confronto con Col 3,14 in cui è riconoscibile una sorta di sintesi di 1Corinzi 13: «Al di sopra di tutto però l'amore, che è il vincolo della perfezione».

Tuttavia, l'elogio di 1Cor 13, non rappresenta soltanto una novità rispetto ad altri modelli di elogi citati, ma anche rispetto allo stesso pensiero di Paolo. Di fatto, anche se l'assioma della «giustificazione per mezzo della fede e non per mezzo delle opere della Legge» (cfr. Gal 2,16; Rm 3,20-21; Fil 3,9), costituisce uno dei crateri principali del suo pensiero, non intesse mai un elogio analogo per la «fede». Qualcosa di simile non si verifica neppure per l'altro cratere fondamentale del suo pensiero, quello del partecipazionismo relativo all'essere «in Cristo». Anzi, l’elogium dell'amore sembra detronizzare la priorità della sola fide, sostituendola, in certo senso, con la «sola charitate»[3].

Nello stesso tempo, in 1Cor 13 sorprende la carenza di qualsiasi referente e destinatario teologico dell'amore: mancano del tutto gli accenni, tipicamente paolini, all'amore di Dio (cfr. 2Cor 13,13; Rm 5,5; 8,39; 2Ts 3,5; Ef 6,23), di Cristo (cfr. 2Cor 5,15; Rm 8,35) e dello Spirito (cfr. Rm 15,30; Col 1,4). Per di più, l'inizio di 1Cor13 sembra persino polemizzare contro uno dei logia gesuani più noti: «E se possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne» (v. 2; cfr. Mc 11,22-23; Mt 17,20)[4].

Discussa è la definizione dell'amore nel pensiero di Paolo: qual è la sua consistenza e quali sono gli aspetti che lo relazionano o la differenziano dall'eros e dalla philia, secondo le ormai classiche distinzioni sulle relazioni interpersonali? Qual è l'origine, il genere e la funzione dell'elogio dedicato all'amore? La nostra analisi partirà da 1Cor 13 per estendere l'indagine al ruolo che svolge l'agape nel pensiero paolino.

2. Una polisemia lessicale

Anche se il sostantivo agape non rappresenta un neologismo della LXX, resta un dato di fatto che non gode di grande attenzione nel greco extra-biblico. A causa del retroterra semitico, il termine assume particolare rilevanza sia nella LXX sia nel NT[5]. La famiglia lessicale del termine è particolarmente utilizzata nell'epistolario paolino: il sostantivo è attestato 75 volte nelle lettere su 116 del NT[6]; l'aggettivo agapetos vi si trova 27 volte su 61 del NT[7]; e il verbo agapao vi compare 34 volte su 143[8]. Pertanto Paolo è l'autore del NT che utilizza maggiormente questo campo semantico attestato, praticamente, in tutte le sue lettere[9]. Limitandoci al sostantivo agape, la principale attestazione spetta proprio alla 1Corinzi e, in particolare, all'elogium di 1Cor 13 in cui è utilizzato 9 volte[10].

A fronte dell'abbondante uso della famiglia lessicale di agape, notiamo, nello stesso tempo, la totale assenza del sostantivo eros e del suo campo semantico, non soltanto nelle lettere di Paolo ma in tutto il NT. Anche il sostantivo philia è ignorato da Paolo (cfr. soltanto Gc 4,4 per il resto del NT ma in contesto negativo); il verbo philein compare soltanto in 1Cor 16,22; Tt 3,15 su 25 volte del NT[11]. Nella Lettera a Tito è utilizzato anche il composto philanthropia, hapax legomenon del NT; e della philadelphia si accenna soltanto in 1Ts 4,9 e in Rm 12, 10[12].

Come spiegare questo capovolgimento semantico rispetto al greco extrabiblico? Il modo più diffuso per motivare la novità paolina e neotestamentaria, è rappresentato dalla differenza tra l’agape, l’eros e la philia[13]. Così l'agape si caratterizzerebbe per la sua dimensione di gratuità, mentre l’eros esprimerebbe l'amore passionale o fisico, sino a diventare un vizio, più che una virtù, e la philia denoterebbe l'amore segnato dalla reciprocità, come d'altro canto è proprio dell'amicizia.

Torneremo su queste distinzioni e caratterizzazioni; intanto ci preme evidenziare che si fondano, quanto meno, sul «non detto» più che sul detto: di per sé Paolo non utilizza gli altri due sostantivi, così che si possa stabilire una netta demarcazione, se non ricorrendo a un confronto artificiale sull'uso degli altri due sostantivi.

Certo, non si può sostenere dell’agape quanto asserisce dell’eros lo Pseudo-Focilide: «... Non è un dio ma una passione che distrugge tutto» (Sentenza 194)[14]. Tuttavia dovrebbe porre in guardia, ad esempio, l'uso che Flavio Giuseppe fa dei verbi corrispondenti; così scrive nella sua Guerra giudaica 4, 319 a proposito del sommo sacerdote Anano: «Era stato uomo venerando sotto ogni rispetto e di assoluta integrità, che pur dall'alto della sua nobiltà, del suo rango e della sua onorifica posizione, si era sempre compiaciuto (egapekos) di trattare alla pari anche le persone più umili, un uomo amante della libertà (phileleutheros) e della democrazia innamorato (erastes), che all'interesse privato aveva sempre anteposto il bene comune».

L'ormai classica distinzione su queste tre diverse forme di amore può essere ancora sostenuta per la visione paolina dell’agape o ci troviamo di fronte a una ricchezza polisemica che acquista il sostantivo nel pensiero di Paolo? Sino a che punto può considerarsi distinta dalla philia la richiesta di contraccambio nell’agape che richiede ai Corinzi in 2Cor 12,15: «Se vi amo più intensamente, dovrei essere amato di meno?». E in che cosa si differenzia dall'eros la gelosia di Paolo per gli stessi destinatari, «nutro infatti per voi una gelosia divina», se non nella valenza positiva e negativa dello stesso termine zelos nelle sue lettere?

Se in gran parte del greco extra-biblico, l’agape esprime una valenza debole, corrispondente alla «stima» o alla «riverenza» verso l'altro, nelle lettere paoline, come d'altro canto già nella LXX e in alcune fonti del giudaismo ellenistico, si carica di una ricca polisemia capace di assorbire anche gli altri due modi per esprimere l'amore; una polisemia che campeggia soprattutto nell’elogium dell'agape che ci accingiamo ad analizzare.

3. L'elogium

La bellezza e la densità contenutistica di 1Cor 13 contrasta con le complessità ermeneutiche ed esegetiche: a parte le poche difficoltà di critica testuale[15], non è semplice definirne l'origine, la consistenza e il genere letterario[16]. L'inizio è abbastanza definito: dopo aver esortato i Corinzi a cercare i carismi migliori, Paolo si propone d'indicare la via sublime da percorrere (1Cor 12,31b)[17]. A sua volta, una sentenza brachilogica e assiomatica rappresenta il terminus ad quem della pericope: «Di queste però migliore è l'amore» (1Cor 13,13)[18].

Dopo il verso introduttivo che, crea diverse difficoltà esegetiche, soprattutto sulla natura del verbo zeloute, se sia da considerare come indicativo o come imperativo, e sulla consistenza di kath'hyperbolen, se debba essere inteso come avverbiale o aggettivale, seguono tre parti fondamentali che diversi studiosi classificano secondo la terminologia di s. Tommaso d'Aquino nel suo bel commento alla 1Corinzi: la trattazione dell'agape (a) quantum ad necessitatem (vv. 1-3); (b) quantum ad utilitatern (vv. 4-7); e (c) quantum ad permanentiam (vv. 8-13)[19].

Tuttavia, si può notare come tale suddivisione risponda più ad alcuni criteri contenutistici che formali. Dal versante retorico, queste tre parti possono essere definite secondo la sequenza tipica di un elogium di persone, comprensiva di 5 parti fondamentali: l'esordio, l'origine o la formazione, le azioni, il confronto e l'epilogo[20]. Naturalmente, trattandosi dell'encomio di un valore, vanno escluse le parti dedicate all'origine e alla formazione: proemio (vv. 1-3); prassi (vv. 4-7); confronto (vv. 8-13).

L'elogium dell'agape manca di un vero e proprio epilogo[21], per il semplice motivo che la dimostrazione sui carismi, iniziata in 1Cor 12,1 prosegue con la parte esortativa di 1Cor 14,1-40. Dal versante stilistico il paragrafo di 1Cor 12,31b-13,13 abbonda di diverse figure retoriche[22]: il parallelismus membrorum[23], il chiasmo[24], l’anafora[25], l’epifora[26], l’iperbole[27], la gradatio o climax[28] l’allitterazione[29]. Tuttavia la figura retorica dominante sembra quella della «prosopopea» o della personificazione di una realtà che assume il volto e i caratteri di una persona in azione. Di fatto soprattutto nell'elencazione della prassi (vv. 4-7), l’agape è descritta con i connotati di una persona in carne e ossa.

La preferenza per termini ricercati che figurano come hapax legomena nel linguaggio paolino e in quello del NT rendono la pericope particolarmente elevata[30], al punto che il modo più comune di descriverla è quella di un "inno" poetico[31], anche se manca una composizione metrica degli stichi.

Forse Paolo non ha mai letto il De partitiones Oratoriae, di Cicerone, tuttavia sembra che segua, quasi pedantemente, quanto questi raccomanda per lo stile del genere dimostrativo o epidittico:

Et quondam in his causis onmis rado fere ad voluptatem auditoris et ad delectationem refertur, utendum erit eis in oratione singulorum verborum insignibus quae habent plurimum suavitatis; id est ut factis verbis aut vetustis aut translatis frequenter utamur, et in ipsa construtione verborum ut paria paribus et similia similibus saepe referantur, ut contraria, ut geminata, ut circumscripta numerose, non ad similitudinem versuum, sed ad explendum aurium sensum, apto quodam quasi verborum modo (Partitiones Oratoriae 21,72)[32].

L'abbondanza di tante figure retoriche, in un solo paragrafo come quello di 1Cor 12,31b-13,13, produce una particolare «amplificazione» o auxesis, raccomandata nei trattati di retorica antichi per il genere epidittico[33].

3.1. Interpolazione o autobiografia?

Dal versante della storia dell'interpretazione di 1Cor 12,31-13,13 possiamo delineare due tendenze contrapposte, acuitesi nei contributi più recenti: da una parte si considera l'elogio all’agape come una sezione interpolata e successiva, una sorta di masso erratico nel corso della dimostrazione sui carismi[34], dall'altra non si esita a ritenere l'io di cui si parla in parte dell'encomio come autobiografico, riferito, in particolare, alle relazioni tra Paolo e i destinatari della lettera[35].

Circa la prima tendenza, sembra realmente che l'assenza totale di orizzonti cristologici, pneumatologici e teologici dell’agape in 1Cor 13, l'interruzione che l'elogio crea rispetto al contesto dedicato ai carismi e ai ministeri in 1Cor 12,1-30 e in 1Cor 14,1- 40 lasciano realmente pensare a una sezione estranea alla lettera. Tuttavia riteniamo che non sia opportuno fondare la natura interpolata di 1Cor 13 sulle novità semantiche che la caratterizzano: è naturale che un elogium, come questo, si elevi di linguaggio e di stile, rispetto al proprio contesto. Comunque, la natura testuale di 1Cor 12,31-13,13 è solida e non si può avocare a conferma dell'interpolazione la carenza di citazioni nelle attestazioni patristiche dei primi secoli[36]. Piuttosto l'elogio si contestualizza bene nello sviluppo della dimostrazione sui carismi, offrendo il criterio decisivo per il passaggio dalla prima parte (1Cor 12,1-31a), di natura prevalentemente descrittiva e kerygmatica, alla seconda (1Cor 14,1-40) in cui prevale lo stile esortativo o paracletico. In pratica, senza 1Cor 12,31-13,13 verrebbe a cadere la ragione e il criterio fondante sul quale orientarsi nella ricerca e nell'attuazione dei carismi nella comunità di Corinto[37].

Una conferma sull'originalità paolina dell'elogio è riscontrabile nella ripresa dello stesso canovaccio in Rm 12,3-21, in cui alla metafora del corpo e delle membra, e alla lista dei carismi (Rm 12,3-8), succede una pericope dedicata all’agape in prospettiva esortativa (Rm 12,9-21)[38]. D'altro canto, già nella sezione dedicata agli idolotiti (cfr. 1Cor 8,1-10,33), la lunga parte autobiografica di 1Cor 9,1-27 sembra, a prima vista, un corpo estraneo, mentre si tratta di un esempio orientato all'imitazione dei destinatari.

Per quanto riguarda la natura dell'io in 1Cor 13,1-3.11.12 gli elementi autobiografici sono talmente sfocati e generici che possono essere applicati a qualsiasi persona umana: è un «io» ancor più sfumato di quello utilizzato nella nota pagina di Rm 7,7-25, in cui il campo è più delimitato a causa delle relazioni con la Torah, perché si possa pensare a una sezione autobiografica ed esemplare vera e propria[39]. Non dobbiamo dimenticare che il soggetto principale della sezione non è l'io di Paolo o di chiunque altro, ma l’agape in condizione di personificazione. In pratica se sostituiamo la I persona singolare con la I plurale o con la II e la III persona, la situazione non muterebbe, con la differenza che non si otterrebbe più l'esaltazione dell’agape raggiunta con la collocazione in secondo piano di un io impersonale. Naturalmente, la relazione tra l'io e l’agape in questi versi ha anche una ricaduta personale, tuttavia non assume una rilevanza esemplare a partire dall'io, bensì proprio dall'agape.

Pertanto ci sembra di non poter condividere la natura interpolata di 1Cor 12,31-13,13, né quella ristretta all'autobiografia paolina, analoga a quella esemplare che caratterizza 1Cor 9,1-27. Piuttosto, l'elogio rappresenta una digressio[40] che apporta, in quanto questio infinita, una soluzione determinante e necessaria alla questio finita dei carismi nella comunità di Corinto[41].

3.2. Quale genere?

Nel suo contributo, Wishmeyer elenca 11 ipotesi sul genere letterario di 1Cor 13[42]: la sezione è stata definita come inno, aretalogia, salmo, priamel, encomio, confessione, sermone, istruzione, aretalogia, diatriba e salmo didattico. Dal versante stilistico, non si può parlare di un vero e proprio inno né di un salmo più o meno didattico. Non si possono negare elementi dello stile diatribico, riconducibili alla figura retorica principale della prosopopea e all'uso di liste di vizi e di virtù. Tuttavia, mancano dati tipici della diatriba, come l'uso dell'interlocutore fittizio o di domande e risposte brevi. Anche la prospettiva aretalogica non coglie l'orizzonte globale della pericope: in 1Cor 13 è la stessa agape ad esprimersi con una serie di virtù opposta a vizi, e non ha i connotati di una virtù.

Gli elementi stilistici evidenziati e la composizione della pericope orientano verso l’elogium o l'encomio dell’agape, una delle forme retoriche più diffuse in epoca ellenistica, riconducibile alla specie positiva del genere epidittico o dimostrativo. Non è un caso che la forma verbale principale, utilizzata nel nostro testo, sia il presente, com'è tipico del genere epidittico[43], e non il passato, come per il genere forense, o il futuro, come per quello deliberativo. In pratica, Paolo intesse l'encomio dell'amore per presentarlo come modello o come «via» da perseguire nella ricerca dei carismi. In verità, Smit definisce il genere di 1Cor 13 come «deprecatory speech»[44], nel senso che ha la funzione di biasimare i destinatari della lettera rispetto al loro modo di cercare e utilizzare i carismi. A ben vedere, tale prospettiva si trova soltanto nel retroterra intenzionale dell'encomio e non nella sua esposizione. Di fatto, egli non si preoccupa di biasimare o di rimproverare i destinatari, valutando semplicemente il loro modo di utilizzare i carismi - elemento del tutto assente in 1Cor 13 - ma di indicare o meglio di «dimostrare» (cfr. l'uso originale del verbo deiknymi in 1Cor 12,31b) la via o l'ideale da perseguire[45].

Pertanto, possiamo definire la sezione di 1Cor 12,31-13,13 come un encomium di tipo epidittico[46], orientato all'imitazione dei destinatari della lettera. E propria in questa opzione elogiativa si trova la principale originalità della pagina paolina, giacché nessuno prima di lui aveva ritenuto opportuno elogiare l’agape. Resta da stabilire la ragione per la quale, ad esempio, egli non elogi la profezia che pure svolge un ruolo prioritario rispetto alla glossolalia in 1Cor 12-14, o alcune delle virtù esaltate da quanti hanno trasmesso scritti encomiastici nel mondo antico.

4. Kerygma ed etica dell'agape

L'indagine semantica sull’agape nell'epistolario paolino e nel NT ha già posto in risalto la sua rilevanza nelle sue lettere. Un'attenzione ai contesti e alle forme retorico-letterarie in cui è utilizzata questa famiglia semantica permette di cogliere la ragione principale per cui Paolo intesse soltanto l’elogium dell’agape e non quello della fede o della speranza[47]. In questa indagine è bene aver presente il livello diacronico dell'epistolario paolino, per non livellare, in modo sincronico, il percorso figurativo della tematica.

1) Un primo contesto in cui Paolo tratta dell’agape è quello epistolare dei ringraziamenti introduttivi (cfr. 1Ts 1,3; Fil 1,9; Fm 5.7.9; 2Ts 1,3; 1Tm 1,7; Col 1,4-8; Ef 1,15). In questa sezione epistolare è evidenziata la dimensione relazionale o interpersonale dell’agape, soprattutto per sottolineare la sua realizzazione da parte dei destinatari. In tale contesto, la lettera più antica di Paolo attesta già l'uso della nota triade, riscontrata in 1Cor 13,13: la fede, l'amore e la speranza (cfr. 1Ts 1,3).

2) II secondo ambito principale in cui l’agape assume rilevanza è quello delle sezioni cosiddette «kerygmatiche». Da questo punto di vista, è caratteristica di Paolo l'attenzione all'origine divina, cristologica e pneumatologica dell’agape (cfr. Rm 5,5.8.35.39; 2Cor 5,14; 2Ts 3,5; Col 1,13; Ef 2,4). In tali contesti i sintagmi «l'amore di Dio» (cfr. Rm 5,5), «di Cristo» (cfr. Rm 8,35) e «dello Spirito» (cfr. Rm 15,30) non andrebbero intesi come genitivi oggettivi, bensì come soggettivi: è l'amore di Dio, di Cristo e dello Spirito per noi che assume il sopravvento rispetto al nostro amore per loro. Sulla stessa lunghezza d'onda si pongono gli usi del verbo agapao all'aoristo, con Dio o Cristo come soggetti espliciti o sottintesi[48]. Nella maggior parte dei casi, l'evento passato di riferimento è quello della croce di Cristo, quale segno paradossale dell'amore di Cristo e di Dio per noi[49]. Attraverso l'uso dello stesso verbo, a volte Paolo si sofferma su «coloro che amano» Dio (cfr. Rm 8,28; 1Cor 2,9; 8,3), ma si tratta di rilevanze consequenziali e meno consistenti rispetto al percorso inverso in cui la centralità è conferita all'amore divino.

3) Un ampio uso del vocabolario sull'agape è riscontrabile nelle sezioni propriamente esortative dell'epistolario paolino, al punto che non è improprio sostenere la presenza di un'etica agapica[50]. In tale contesto è bene distinguere ulteriori specificazioni: a) La citazione di Lv 19,18 (LXX) sull'agape in Gal 5,13-14 e in Rm 13,8-10[51]. La presenza di tale citazione dimostra la dipendenza di Paolo dalla LXX, per cui si può pensare a una «settuagintizzazione» dell'agape paolina; b) L’agape citata nelle liste paoline delle virtù, dove occupa una posizione di primo piano[52]; c) L’agape come istanza esortativa fondamentale, dalla quale deriva una serie di esortazioni[53]; d) L'agape comunitaria e in qualsiasi altra relazione umana[54].

4) L'altro ambito, tipicamente epistolare dedicato all’agape, è quello conclusivo dei post-scritti, soprattutto nella parte dedicata ai saluti finali[55].

5) L'elogio dell’agape di 1Cor 12,31-13,13 occupa un posto autonomo, sia rispetto al modello epistolare, sia per quello retorico-letterario paolino: non ha una portata kerygmatica, a causa della mancanza di riferimenti teologici, né semplicemente aretalogica o esortativa.

Le classificazioni delineate dimostrano come, tranne in 1Cor 12,31-13,13, l’agape rappresenti un ponte fondamentale di collegamento tra sezioni kerygmatiche ed etiche: l’agape di Cristo o di Dio rappresenta la ragione fondamentale che induce i credenti a improntare le loro relazioni sull'amore. Per questo, al di fuori di contesti problematici, in cui Paolo è costretto a esaltare l’agape al di sopra della fede e della speranza, come in 1Cor 13,13, la stessa fede non è semplicemente teorica ma è «operante nell’agape» (Gal 5,6).

5. Chi ama chi?

Nell'analisi di 1Cor 12,31-13,13 abbiamo lasciato in sospeso una questione di capitale importanza: chi ama chi?[56] In altri termini di quale agape si tratta? Quella di Dio, di Cristo, dello Spirito? In questione è l’agape che i credenti hanno per Dio o per Cristo? Oppure, in base al contesto di 1Cor 12-14, si tratta dell’agape interpersonale dei credenti? O, in ultima istanza, è affrontata l’agape che chiunque, credente e non, è invitato a scegliere come modello da perseguire?

A prima vista, saremmo orientati all'amore di Dio e di Cristo per i credenti che diventa ragione di quello interpersonale, in prospettiva escatologica. Tuttavia il percorso figurativo dell'agape in 1Corinzi e nell'unica lettera che la precede, 1Tessalonicesi, dimostra che non è inusuale l'assolutizzazione dell'agape in 1Cor 13. Prima dell'elogium Paolo ha già segnalato la sua venuta a Corinto «con il bastone o con agape e con spirito di dolcezza» (cfr. 1Cor 4,21). Lo stesso elogium è anticipato dalla lapidaria sentenza di 1Cor 8,1, nel contesto degli idolotiti: «La scienza gonfia, invece l'amore edifica». La dimensione assoluta dell'agape è identificabile anche in 1Ts 1,3; 5,8 mentre in 1Ts 3,6.12 si accenna all'agape comunitaria.

Per questo non deve sorprendere più di tanto se in 1Cor 13, Paolo non accenna ancora alle dimensioni teologiche dell'agape, adducendo tale dato a fondamento per la natura interpolata dell'elogio[57]: queste sopraggiungono in un momento successivo del suo epistolario, soprattutto in 2Cor 5, in Gal 2,20 e in Rm 5-8.

Dunque, se il contesto di 1Cor 12-14 orienta decisamente verso la dimensione comunitaria o interpersonale dell'agape, come via o criterio per l'espressione dei carismi, l'encomio paolino assume una portata generale e universale che travalica gli stessi orizzonti comunitari, come una via prioritaria per tutti e come meta da raggiungere, anche se le sue condizioni sono molto alte, quasi irraggiungibili.

Non di meno, anche in 1Cor 13 permane sullo sfondo l'origine divina dell’agape, soprattutto attraverso l'uso del linguaggio sulla «conoscenza»: «Allora conoscerò perfettamente come sono stato conosciuto» (1Cor 13,12). Il soggetto sottinteso del verbo epegnosthen è divino e non semplicemente antropologico: soltanto chi è già stato conosciuto, in quanto amato da Dio, in Cristo e attraverso l'evento della croce, può essere nelle condizioni di assumere le esigenze impegnative dell'amore elogiato da Paolo.

Pertanto, all'origine dell'elogio di 1Cor 13 c'è da una parte l'agape originaria di Dio, per Paolo e per tutti coloro che ha scelto (cfr. 1Cor 1,26-30), dall'altra la situazione divisa della comunità di Corinto. Di fatto la fede e la speranza non sono state capaci di conservare il tessuto unitario della comunità; anzi i fraintendimenti comunitari, in materia di fede (cfr. 1Cor 1-4) e di speranza (cfr. 1Cor 15), hanno creato insanabili fratture. Non resta che la via dell'amore, la sola che permetta di andare oltre tutte le fazioni comunitarie e sia capace di ristabilire l'unione originaria per la fede in Cristo in vista della comunione fra i credenti.

6. Conclusione

Durante gli esercizi preliminari o i progymnasmata nelle scuole di retorica antica, uno dei compiti più diffusi, affidati agli studenti, era quello dell'elogium o dell'encomio per una persona, una virtù o un valore. Forse nessuno avrebbe deciso di intessere l'elogio dell'amore: non avrebbe retto il confronto con gli elogi della sapienza, della virtù eroica, dell'eros e dell'amicizia.

Quasi certamente, Paolo non ha partecipato a nessun corso di retorica antica, ma con audacia intesse l'elogio dell’agape, presentandola con i tratti di una persona di fronte alla quale confrontarsi. Un elogio capace di assumere anche gli orizzonti dell'amore passionale e di quello interrelazionale, proprio dell'amicizia. L'elogium paolino non nasce a tavolino, ma emerge dalla personalizzazione storica dell'amore di Dio e di Cristo[58], dalle situazioni di crisi sulla fede e sulla speranza escatologica delle sue comunità, dalle fazioni venutesi a creare, soprattutto a causa della ricerca dei carismi più esaltanti, come la glossolalia e la profezia.

Di fatto l’agape paolina si esprime come elezione, preferenza, conoscenza, espressione dell'alleanza divina[59], passione profonda per i fratelli, esigenza di contraccambio; non si limita a una gratuità senza risposta, a conferma che diventa capace di assorbire anche elementi propri dell'eros e della philia e, ancor più, di esprimersi con i loro connotati.

Se dovessimo scegliere un versante di differenziazione o di contrasto rispetto all'agape dovremmo orientarci verso la sfera edonistica dei vizi elencati da Paolo, come l'impurità, la fornicazione e il libertinaggio (cfr. 1Cor 6,8; 10,8; Gal 5,19; Rm 13,13), ma non nei confronti dell'eros o della philia che non costituiscono mai il versante di paragone dell’agape[60].

Mai, come in questo caso, ciò che non si può definire si può soltanto descrivere! E forse, proprio a causa della sua ricchezza semiotica, Paolo ha scelto di elogiare l’agape, considerandola molto più di una semplice virtù[61], fosse anche la migliore delle altre.

Note al testo

[1] Cfr. anche l'esaltazione dell'amicizia in CICERONE, De amicitia; FILONE ALESSANDRINO, De Virtutibus 51-174; FLAVIO GIUSEPPE, Contra Apionem 2,209-210; PLUTARCO, Moralia 478-492.

[2] Cfr. anche l'elogio di TIRTEO per l'eroismo del guerriero nel Frammento 9 e di FILONE per l'impegno faticoso in De sacrificiis Abelis et Caini 35.

[3] Così R. PENNA, Solo l'amore non avrà mai fine. Una lettura di 1Cor 13 nella sua pluralità di senso, in IDEM, L'apostolo Paolo: studi di esegesi e teologia. Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1991, p. 239.

[4] Cfr. l'analisi sinottica di D. WENHAM, Paul: Follower of Jesus or founder of Christianity?, Grand Rapids, Michigan and Cambridge 1995, pp. 81-85, che richiama ulteriori collegamenti con la tradizione sinottica in 1Cor 13,1-3.

[5] Sull'agape nel NT cfr. G. QUELL - E. STAUFFER, Agapao, agape, agapetos, in GLNT I, pp.58-146; T.J. DEIDUN, Agape in the New Covenant Perspective, in New Covenant morality in Paul, "Analecta Biblica" 89, Editrice Pontificio Istituto Biblico, Roma 1981, pp. 104-149; C. SPICQ, Agape dans le Nouveau Testament, II, Gabalda, Paris 31966.

[6] Le frequenze specifiche paoline sono così distribuite: 5x in 1Tessalonicesi (1Ts 1,3; 3,6.12; 5,8.13); 14x in 1Corinzi (1Cor 4,21; 8,1; 13,1.2.3.4.4.4.8.13.13; 14,1; 16,14.24), 9x in 2Corinzi (2Cor 2,4.8; 5,14; 6,6; 8,7.8.24; 13,11.13), 3x in Galati (Gal 5,6.13.22), 9x in Romani (Rm 5,5.8; 8,35.39; 12,9; 13,10.10; 14,15; 15,30), 4x in Filippesi(Fil 1,9.16; 2,1.2), 3x in Filemone(Pm 5.7.9), 3x in 2Tessalonicesi (2Ts 1,3; 2,10; 3,4), 5x in Colossesi (Col 1,4.8.13; 2,2; 3,14), 10x in Efesini (Ef 1,4.15; 2,4; 3,17.18; 4,2.15.16; 5,2; 6,23), 5x in 1Timoteo (1Tm 1,5.14; 2,15; 4,12; 6,1), 1x in Tito (Tt 2,2) e 4x in 2Timoteo (2Tm 1,7.13; 2,22; 3,10).

[7] Cfr. 1Ts2,8; 1Cor 4,14.17; 10,14; 15,58; 2Cor 7,1; 12,19; Rm 1,7; 11,28; 12,19; 16,5.8.9.12; Fil 2,12; 4,1.1; Fm 1.16; 1Tm 6,2; 2Tm 1,2.

[8] Cfr. 1Ts 1,4; 4,9; lCor2,9; 8,3; 2Cor9,7; 11,11; 12,15.15; Gal 2,20; 5,14; Rm 8,28.37; 9,13.25.25; 13,8.8.9; 2Ts 2,13.16; Col 3,12.19; Ef 1,6; 2,4; 5,2.25.25.28.28.28.33; 6,24; 2Tm 4,8.10.

[9] Sull'importanza del vocabolario dell'agape nelle lettere paoline cfr. H. BOERS, Agape and charis in Paul's Thought, in CBQ 59(1997)4, pp.696-697.

[10] Soltanto al v. 4 (he agape ou perpereuetai) la lezione è dubbia: il sostantivo manca in B, 33, 104, 629, 1175, 264, mentre è presente in ﬡ, A, C, D, F, G, Ψ, 048, 1739,1881; dall'importante P46 è attestata la disposizione inversa del sintagma. A causa della maggiore autorevolezza dei codici, il comitato del GNT4 e di N-A27 ha ritenuto opportuno riportare la lezione con il sostantivo, anche se tra virgolette. Cfr. B.M. METZGER, Textual Commentary in the Greek New Testament, Stuttgart 21994, p. 408. Riteniamo che questa sia la lezione da preferire perché la più difficile da versante della critica interna, in quanto interrompe la sequenza verbale dei vv. 4-7.

[11] Cfr. anche l'uso del verbo soprattutto nel vangelo di Giovanni (Gv 5,20; 11,3.36; 12,25; 15,19; 16,27.27; 20,2; 21,15.16.17.17.17; anche Mc 14,44; Lc 20,46.47; Mt 6,5; 10,37.37; 23,6; 26,48; Ap 3,19; 22,15).

[12] Cfr. anche Eb 13,1; 1Pt 1,22; 2Pt 1,7.

[13] Cfr. i classici contributi di A. NYGREN, Eros e agape. La nozione cristiana dell'amore e le sue trasformazioni. II Mulino, Bologna 1971 (orig. ted. 1955), pp. 118-122 che in particolare oppone lagnosi-eros all'agape paolina; e di SPICQ, Agape. Così anche G. BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi,"SOC" 16, EDB, Bologna 1996, pp. 698-699; B. WITHERINGTON III, Conflict and Community in Corinth: A Socio-Rhetorical Commentary on l and 2 Corinthians, Grand Rapids, Eerdmans 1995, p. 269.

[14] Cfr. anche il biasimo dell'eros impuro greco nella propaganda giudaica di Oracoli Sibillini 3,171; Testamento di Beniamino 8,2; e l'esaltazione dell'agape nel Testamento di Gad 4,7; 5,2 e nel Testamento di Ruben 6,8-10.

[15] A parte la dubbia presenza di agape al v.4, a cui abbiamo già accennato, la maggiore questione testuale riguarda il v.3, sul verbo kauchesomai, attestato da pochi codici ma importanti (il P46, ﬡ, A, B, 048, 33, 1739*) e preferito dall'edizioni critiche di N-A27 e GNT4. Diversi testimoni riportano il verbo kauthesomai (cfr. C, D, F, G, L, 6, 81, 104, 630, 945, 1175, 1881*) oppure kauthesomai (cfr. il Ψ, 1739c, 1881c). Poiché è più facile il passaggio da kauchesomai («possa vantarmi») a kauthesomai («sia bruciato») e non l’inverso, soprattutto a causa del martirio dei primi cristiani, riteniamo preferibile la lezione con kauchesomai, che d'altro canto è tipico del linguaggio paolino. Così anche METZGER, Textual Commentary, PP- 497-498. Invece a favore di kauthesomai cfr. SIGOUNTOS, The Genre of 1Corinthians 13, in NTS 40 (1994), pp. 246-260, p. 254.

[16] Su 1Cor 13 cfr. M. ADINOLFI, 1Cor 13,4-7 e le diatribe di Epitteto, in L. PADOVESE (ed.), V Simposio di Tarso su S. Paolo apostolo, s. e.,Roma 1998, pp. 15-28; J.E. AGUILAR CHIU, 1 Cor 12-14 Literary Structure and Theology, "AnBib" 166, Pontificio Istituto Biblico, Roma 2007, pp. 195-201; G. BORNKAMM, Der köstliche Weg. 1 Kor 13, in Ende des Gesezes. Paulusstudien, München 1966, pp. 93-112; É. CUVILLIER, Entre theólogie de la Croix et étique de l'excés: Une lecture de 1 Corinthiens 13, in "Études Theologiques et Religieuses" 75(2000)3, pp. 349-362; C.R. HOLLADAY, 1 Corinthians 13 Paul as Apostolic Paradigm, in D.L. BLACK - E. FERGUSON - W.A. MEEKS (edd.), Greeks, Romans, and Christians, FS. A.J. Malherbe, Minneapolis 1990, pp. 80-98; R. KIEFFER, Le primat de l'amour. Commentaire épistémologique de 1 Corinthiens 13, "LD" 85, Editions du Cerf, Paris 1975; R. MORTON, Gifts in the Context of Love: Reflections on 1 Corinthians 13, in Ashland Theological Journal 3l(1999)1, pp. 11-24; R. PENNA, Solo l'amore non avrà mai fine. Una lettura di 1Cor 13 nella sua pluralità di senso, in IDEM, L'apostolo Paolo. Studi di esegesi e teologia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1991, pp. 223-239; J.G. SIGOUNTOS, The Genre of 1Corinthians 13, in "NTS" 40(1994)2, pp. 246-260; J.F.M. SMIT, The Genre of 1 Corinthians 13 in the Light of Classical Rhetoric, in "NT" 33(1991)3, pp. 193-216; IDEM, Two Puzzle: 1 Corinthians 12.31 and 13.3. A Rhetorical Solution, in "NTS" 39(1993)2, pp. 246-264; B. STANDAERT, 1 Corinthiens 13, in L. DE LORENZI (ed.), Charisma und Agape (1 Ko 12-14), "MRB" 7, Abtei von St Paul vor den Mauern, Rom 1983, pp. 127-139; W.O. WALKER, Is First Corinthians 13 a Non-Pauline Interpolation?, in "CBQ" 60(1998)3, pp. 484-499; O. WISCHMEYER, Der höchste Weg. Das 13 Kapitel des 1. Korintherbriefes, "SNT" 13, G. Mohn, Gütersloh 1981. Der hochste Weg. Dos 13 Kapitel des 1. Korintherbriefes, "SNT" 13, G. Mohn, Gütersloh 1981.

[17] Contrariamente all'edizione di Nestle-Aland27, 462 che separa il 12,31 in due parti, attribuendo la prima alla pericope precedente e la seconda alla seguente, riteniamo più opportuno conservare l'unità del verso, caratterizzato da una sequenza chiastica del tipo a-b-c-c'-b'-a': verbo-oggetto-apposizione comparativa; apposizione comparativa-oggetto-verbo. Così SMIT, Thè Genre, p. 201. Il tenore ironico del verso prosegue anche in 1Cor 13,1-3 Sull'unità retorico-letteraria di 1Cor 12,31-13,13 cfr. G. BARBAGLIO, Prima Corinzi, p. 686; S.F.M. SMIT, The Genre, p. 196; W.C. VAN UNNIK, The Meaning of 1 Corinthians 12:31, in NT 35(1993)2, p. 158.

[18] Alcuni, come BARBAGLIO, Prima Corinzi, p. 689, includono anche la prima parte di 1Cor 14,1 nell'elogium paolino. A causa della natura esortativa del verso, riteniamo più opportuno considerarlo come inizio della pericope successiva.

[19] Cfr. TOMMASO D'AQUINO, Super primam epistolam ad Corinthios Lectura, in Super Epistolas S. Pauli Lectura, Torino 1953, p. 759; così anche G.D. Fee, The First Epistle to the Corinthians, GrandRapids, Eerdmans 1987, Grand Rapids 1987, p. 628; R. PENNA, Solo l'amore, pp. 225-226. G. BARBAGLIO, Prima Corinzi, p. 692 preferisce distinguere le tre parti della sezione in «comparazione-descrizione-comparazione».

[20] Così anche SIGOUNTOS, The Genre, p. 248.

[21] Con buona pace di SIGOUNTOS, The Genre, p. 248 che identifica l'epilogo dell'encomio con il v.13. A ben vedere, il v. 13 non può definirsi tale, soprattutto per la sua consistenza e per la sua relazione con i vv. 8-12, mentre non riprende la tipologia dei vv.1-7.

[22] Sulle figure retoriche principali della pericope cfr. SMIT, Genre, pp. 199-205.

[23] Cfr. il parallelismo ascensionale dei vv. 1-3.

[24] Cfr. i chiasmi di 1Cor 12,31;13,4.

[25] Cfr. le anafore di 1Cor 13,1-3 introdotte con ean (se), di 13,4b-6 con la negazione ou (non), del v. 7 con panta (tutto) e del v. 8 con eite (sia).

[26] Cfr. l'epifora del v. 11 con la ripetizione dell'espressione «come fanciullo».

[27] Cfr. l'iperbole sull'essere nulla senza l'amore in 1Cor 13,1-3.

[28] Cfr. la climax o la gradatio dei vv. 1-3 e del v. 13.

[29] Cfr. l'allitterazione nella lista dei verbi in 1Cor 13,4-7.

[30] Cfr. gli hapax legomena chresteuomai («essere benevolo», v. 4), perpereuomai («vantarsi», v.4), paraxynomai («adirarsi», v. 5) e ainigma («enigma», v. 12).

[31] Cfr. NYGREN, Eros e agape, p. 110; QUELL - STAUFFER, agapao, p. 138.

[32] Cfr. anche le annotazioni in CICERONE, Orator 11,37-12,38; 23,75-25,86; QUINTILIANO, Institutio Oratoria 8,3,12.

[33] Cfr. ARISTOTELE, Rhetorica l,9,1268a; QUINTILIANO, Institutio Oratoria 3,7,6.

[34] Cfr. fra i contributi più recenti quello di N.O. WALKER, Non-Pauline Interpolation?, p. 496.

[35] Cfr. l'originale contributo di C.R. HOLLADAY, Apostolic Paradigm, pp. 94-95.

[36] Con buona pace di N.O. WALKER, Non-Pauline Interpolation, pp. 497-498.

[37] In tal senso cfr. anche J.E. AGUILAR CHIU, 1Cor 12-14, p. 291.

[38] Sulla relazione tra 1Cor 12-13 e Rm 12,3-21 cfr. A. PITTA, Lettera ai Romani. Nuova versione, introduzione e commento, Milano 20093, pp. 423-431.

[39] Così anche G. BARBAGLIO, Prima Corinzi, p. 689.

[40] Sulla natura e la funzione della digressio cfr. QUINTILIANO, Institutio Oratoria 3,7,1-4; Retorica ad Herennium 3,8,15.

[41] G. BARBAGLIO, Prima Corinzi, p. 699; W. SCHRAGE, Etica del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1999, p. 255. Sull'intreccio argomentativo di 1Cor 12-14 cfr. B. STANDAERT, Analyse rhétorique de capitres 12 à 14 de 1Co, in DE LORENZI (ed.). Carisma und Agape, pp. 23-50.

[42] O. WISHMEYER, Der höchste Weg, p. 205.

[43] Cfr. ARISTOTELE, Rhetorica l ,3, l 358a.

[44] S.F.M. SMIT, Two Puzzle, p. 251.

[45] M. PESCE, Le due fasi della predicazione di Paolo. Dall'evangelizzazione alla guida delle comunità, EDB, Bologna 1994, pp. 149-150.

[46] Così anche WITHERINGTON, Conflict, p. 265. Sul genere epidittico nella manualistica della retorica classica cfr. ARISTOTELE, Rhetorica, 1,3,1358; 1,9,1368; CICERONE, De Oratore 2,10,43; QUINTILIANO, Institutio Oratoria 3,4,11-13; 3,8,63.

[47] La classificazione operata da O. WISHMEYER, Der höchste Weg, pp. 228-229 segue criteri contenutistici e non in base alla disposizione dell'epistolario paolino; può essere, comunque, considerata valida. L'autore distingue le frequenze dell'agape in relazione all'adempimento della Torah; quelle in rapporto allo Spirito; in contesti in cui si parla dell'amore oblativo di Cristo; l'amore di Dio e quello per Dio; esortazioni sull'amore.

[48] Cfr. Gai 2,20; Rm 8,37; Ef 2,4; 5,2.25.

[49] A. NYGREN, Eros e agape, p. 120.

[50] Cfr. A. PITTA, Relazioni tra esortazione morale e kerygma paolino, in Il Paradosso della croce. Saggi di teologia paolina, Casale Monferrato 1998, 360-362; T. SÖDING, Das Liebesgebot bei Paulus. Die Mahnung zur Agape im Rahmen der paulinischen Ethik, Aschendorff, Münster 1995, pp. 68-272. La centralità dell'agape è posta in discussione da R.B. HAYS, La visione morale del Nuovo Testamento. Problematiche etiche contemporanee alla luce del messaggio evangelico. Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 2000, pp. 307-313 a favore delle «categorie portanti della croce e della nuova creazione» (p. 313). In realtà, le due opzioni non si escludono a vicenda, ma possono essere compresenti, almeno per l'epistolario paolino.

[51] Oltre alla citazione di Lv 19,18, l'epistolario paolino contempla altre citazioni dell'AT, non con il sostantivo bensì con il verbo agape: cfr. Rm 9,13.25.25 con le citazioni di Mal 1,2-3 e di Os 2,25.

[52] Cfr. 1Ts 5,8-13; Gal 5,22; Fil 2,1-2; Col 3,14; 1Tm 2,15; 4,12; 6,11; Tt 2,2; 2Tm 2,22; 3,10; al di fuori del contesto paracletico conclusivo cfr. anche la lista di 2Cor 6,6.

[53] Cfr. Rm 12,9-21; Fil 2,1-5.

[54] Cfr. 1Ts 3,6.12; 1Cor 16,14; Rm 14,15; Ef 3,17; 4,2. Al di fuori del contesto paracletico cfr. l’agape di Paolo per i destinatari e l'inverso in 2Cor 8,7.8.24.

[55] Cfr. 1Cor 16,24; 2Cor 13,11.13; Rm 15,30; Ef 6,23.

[56] La questione è posta, con acume, da R. PENNA, Solo l'amore, p 229.

[57] Sull'astrazione dell'agape senza riferimenti relazionali, nelle lettere paoline cfr. M. WINGER, From Grace to Sin: Names and Abstractions in Paul's Letters, in NT41(1999)1, pp. 161-165.

[58] Dal versante autobiografico paolino, per A. NYGREN, Eros e agape, pp. 88-89, è decisivo l'evento di Damasco, ma in una prospettiva che, erroneamente, negativizza del tutto la visione paolina della Legge, un dato che non trova riscontri nell'epistolario paolino. Sulla complessa visione paolina della Legge cfr. A. PITTA, Paolo, la Scrittura e la Legge, EDB, Bologna 2008.

[59] DEIDUN, New Covenant, pp. 135-149.

[60] Cfr. l'analisi sul vocabolario antiedonistico di R. PENNA, Osservazioni sull'anti-edonismo nel Nuovo Testamento in rapporto al suo ambiente culturale, in IDEM (ed.). Vangelo e inculturazione. Studi sul rapporto tra rivelazione e cultura nel Nuovo Testamento, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 2001, pp.770-794.

[61] R. PENNA, Solo l'amore, p. 229.