La versione italiana della laicità è probabilmente la migliore e la più equilibrata fra gli ordinamenti internazionali, come mettono in rilievo le odierne discussioni sul gender, ma anche i rapporti fra Stato e religioni, di Giovanni Amico
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. la sezione Laicità e diritti umani.
Il Centro culturale Gli scritti (28/6/2021)
L'ex premier Conte nell'incontro con i rappresentanti delle
diverse comunità e religioni diverse dalla Chiesa Cattolica
in occasione della riapertura del culto dopo il lockdown
La scelta legislativa italiana di chiamare “unioni civili” le unioni fra persone dello stesso sesso - di modo che per la legislazione italiana tali “unioni” sono riconosciute nell’ordinamento giuridico come legittime, ma anche come differenti dal matrimonio, non comprendendo, ad esempio, la necessità della fedeltà, né, ancor più, la legittimità dell’adozione - differenzia il nostro paese sia dalle nazioni dell’est Europa dove le “unioni civili” non sono ammesse, sia dal nord Europa dove esse sono equiparate tout court al matrimonio e alla famiglia.
Come è noto ciò dipende dalla Costituzione della Repubblica Italiana che, agli articoli 29-31, recitano, fra l’altro: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» - per chi conosce e studia le discussioni in merito, avvenute ai tempi della Costituente, è evidente che comunisti, cattolici e liberali decisero di riconoscere il ruolo originario della famiglia costituta da un uomo e da una donna.
Ebbene tale tratto distintivo della nostra storia costituzionale e politica rende il nostro ordinamento “migliore”. Mentre per altri questo è il lato deteriore e bisogna combattere perché la Repubblica Italiana si adegui o ai modelli dell’est Europa o a quelli del nord Europa, per noi è invece un vanto che l’Italia sia eccellente per la sua visione politica e giuridica ed anzi si possa proporre come punto di riferimento man mano che gli altri ordinamenti scoprono i problemi irrisolti delle loro prospettive giuridiche.
Il diritto del più debole, il bambino, ad avere un padre e una madre è così da noi tutelate, così come la condanna della maternità surrogata/utero in affitto è un evidente tratto modernissimo rispetto a quegli ordinamenti giuridici che invece permettono una tale schiavitù della donna, contraria ad ogni dignità della donna: la protesta di molti gruppi femministi contro la pratica della maternità surrogata/utero in affitto è sempre più forte in Europa e si guarda con interesse alla posizione italiana che riconosce dignità alle unioni civili, ma non all’acquisto di bambini.
La condanna della prostituzione così come delle droghe anche leggere sono ulteriori tratti del nostro ordinamento giuridico di cui possiamo vantarci, comprendendo bene che ogni concessione in merito sarebbe invece un contributo al disprezzo della donna da un lato e a forme artificiali di vita che impediscono una crescita autentica dei giovani.
Allo stesso modo, la via italiana che sarà probabilmente scelta rifiutando l’impostazione della proposta di Legge Zan di equiparare tout court il genere al sesso, dichiarando implicitamente che è sufficiente che una persona si senta di un determinato sesso per godere delle condizioni e dei diritti di quel sesso cui ritiene di appartenere, tale rifiuto sarà una testimonianza di sapienza del nostro sistema giuridico.
La legislazione dovrà garantire piuttosto, come nel caso delle unioni civili, che sia esclusa e condannata ogni discriminazione nei confronti di transessuali, omosessuali o di persone di altro orientamento, mantenendo però fermo che non perché una persona si percepisce come donna implica che possa partecipare a gare riservate alle donne o possa celebrare un “matrimonio”. Tali competizioni agonistiche le resteranno vietate e non potrà celebrare un matrimonio, bensì un’unione civile, poiché tutto questo non rappresenta una discriminazione: la sapienza giuridica italiana saprà trovare ancora una volta una via sapiente per difendere dalle discriminazione e, al contempo, affermare che esistono delle differenze che sono nella realtà delle cose e che, pertanto, debbono essere riconosciute in via giurisdizionale.
Il nostro ordinamento è unico in Europa a lavorare al contempo su ciò che è uguale e su ciò che è diverso, senza confondere i livelli.
Proprio per questo il nostro ordinamento consente, a differenza di altri, di avere poi una precisa linea educativa anche nelle pubbliche scuole che permetta di distinguere cosa sia un matrimonio e cosa sia invece un’unione civile, così come mantiene ferma la necessità che gli educatori trasmettano l’esistenza della differenza che esiste fra la disponibilità a generare figli che è insita nel matrimonio e le unioni civili per le quali la generazione è esclusa. Senza disponibilità ad accogliere un figlio lo Stato si rifiuta saggiamente di celebrare un matrimonio o lo dichiara nullo in seguito, mentre un’unione civile prescinde da tale prospettiva che non solo non è condizione sine qua non, ma anzi è esclusa, perché sia tutelato il diritto dei bambini ad avere un padre e una madre.
Il fatto che in diverse nazioni dell’Europa del nord sia in atto un ripensamento ad un utilizzo del gender come categoria giuridica superiore al sesso mostra ancora una volta come la Repubblica Italiana sia un’eccellenza in materia e non un relitto del passato.
Anche la nostra storia risorgimentale che si costruì di fatto non contro la Chiesa, ma insieme ad essa, nonostante incomprensioni ed errori dell’una e dell’altra parte, è infinitamente più “dolce” – il termine è di Carlo Cardia che fu l’esperto per il rapporto con la Chiesa di Enrico Berlinguer e che è oggi il più sapiente storico che permette di comprendere appieno la stagione risorgimentale e i suoi nodi - delle storie conflittuali che si ebbero in altre nazioni europee: gli esiti di tale storia nella elaborazione giuridica sia dell’esistenza della Stato della Città del Vaticano, sia del Concordato, sono ancora una volta un esempio della sapienza tutta italiana di rispettare storia e modernità, valori fondanti e novità.
Fu proprio il Risorgimento a non poter concepire l'Italia senza Roma e a volere così che la Chiesa fosse chiaramente collocata ancora all'interno dell'identità italiana: Garibaldi, Mazzini o Cavour avrebbero potuto tenere fuori lo Stato Pontificio - almeno l'odierno Lazio - al di fuori degli ideali della Nazione per tenere così fuori del loro orizzonte la presenza del papa e della Chiesa, ma vollero, invece, che la dialettica del rapporto con il cattolicesimo fosse interna alla nazione stessa.
Infine, vale la pena ricordare come anche la sapiente valorizzazione del passato classico e artistico del paese permetta all’Italia di non cadere nell’assurdo di alcune grandi istituzioni universitarie europee nelle quali, con superficiali valutazioni, si utilizza il metro del gender per condannare gli autori che si vuole eliminare, mentre si mantengono altri che sono più alla moda, ricostruendo così un apparto censorio che, nel passato, si era invece dichiarato come contrario alla libertà di pensiero.
Si noti, infine, che il rapporto fra Repubblica Italiana e Chiesa è stato così fecondo che anche le altre religioni ne hanno seguito le orme. Ad esempio, l'8x1000 è oggi devolubile anche alla comunità ebraica come a quella buddista, ai valdesi come ai battisti e lo stesso vale per l'esenzione dell'IMU sugli edifici che non hanno un uso commerciale di cui godono anche l'ARCI, le diverse ONG, come le diverse confessioni e religioni che hanno sottoscritto un accordo con la Repubblica - d'altronde neanche i Centri Sociali, per gli stessi motivi, non pagano l'IMU.
L'Intesa fra Stato e Chiesa è stato ed è così fecondo che le altre religioni e confessioni, così come moltissime organizzazioni laiche che ne hanno compreso la bontà, si sono subito preoccupate di seguirne l'esempio.