1/ La sepoltura della madre di Napoleone, Letizia Ramolino, e dello zio, il cardinal Fesch, a Tarquinia, di Andrea Lonardo 2/ La Cappella gentilizia di Luciano Bonaparte a Canino
1/ La sepoltura della madre di Napoleone, Letizia Ramolino, e dello zio, il cardinal Fesch, a Tarquinia, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito un testo di Andrea Lonardo, basato, per i dati sul cardinal Fesch, sulla voce “Fesch, Joseph” del Dizionario biografico degli italiani della Treccani, disponibile on-line.. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Il settecento, la rivoluzione francese e Napoleone.
Il Centro culturale Gli scritti (11/7/2021)
A Tarquinia – allora chiamata con l’antico nome di Corneto, portato ancora dalla meravigliosa chiesa di Santa Maria di Corneto -, presso la Cappella del monastero di clausura delle suore passioniste, vennero sepolti prima la madre di Napoleone, Letizia Ramolino[1], e poi il fratello di lei, per parte di madre, il cardinal Fesch, zio dell’imperatore.
Il padre di Napoleone Carlo Buonaparte e la madre Maria Letizia Ramolino condivisero gli ideali dell’indipendentismo corso, contro i francesi. Letizia non imparò mai il francese e parlò solo l’italiano in tutta la sua vita.
Nella lapide che ricorda la sepoltura nella chiesa delle passioniste, scritta durante il periodo fascista, si ricorda il “grande italiano” Napoleone Buonaparte, con la “u” di “buona” che venne cancellata da Napoleone quando scelse un cognome più francesizzante, quello di Bonaparte, per apparire più “francese”.
Alla caduta in disgrazia del figlio, Letizia chiese asilo a Pio VII: il pontefice, più volte umiliato da Napoleone, non solo lo concesse, ma anche fu l’unico delle autorità del tempo a soccorrere Napoleone a Sant’Elena. Fu la madre a far pervenire al pontefice la richiesta, fra l’altro, d’un un prete che celebrasse la messa domenicale per l’imperatore e con il quale egli potesse parlare di teologia.
Sulla “petite caravane”, la piccola spedizione dei 5 uomini che raggiunsero Sant’Elena, inviati da Letizia Ramolino e dal cardinal Fesch in accordo con Pio VII, per rispondere alla richiesta di Napoleone che chiedeva un prete che gli celebrasse la messa cattolica e con cui discorrere di teologia, cfr. Macé Jacques, Buonavita et Vignali, destins croisés (https://www.napoleon.org/histoire-des-2-empires/articles/buonavita-et-vignali-destins-croises/ che ripresenta on-line l’articolo già pubblicato su “Revue du Souvenir napoléonien”, n. 487, avril-mai-juin 2011, pp. 18-31). Furono due i sacerdoti a partire, Antonio Buonavita e Angelo Paolo Vignali – quest’ultimo rimase con l’imperatore fino in punto di morte, amministrandogli, su diretta richiesta di Napoleone, l’Estrema Unzione (oggi Unzione degli Infermi), mentre il Buonavita lasciò l’isola per motivi di salute). Con loro fu inviato in aiuto dell’imperatore anche un medico, Francesco Antommarchi, un maître d’hôtel, Jacques Coursot, che era al servizio di Letizia, e un cuoco, Jacques Chandelier, che era al servizio di Paolina Borghese. Nell’isola, che era possedimento inglese, c’era fino a quel momento solo un pastore anglicano, per cui papa Pio VII nominò, per giustificarne la presenza, il Buonavita protonotario apostolico e prefetto apostolico di Sant’Elena.
Letizia visse a Roma, prima presso Villa Falconieri insieme al fratello, il cardinale Fesch, poi a Palazzo Bonaparte.
Alla sua morte, nel 1836, il clima politico era cambiato e il cardinale Fesch suggerì di seppellire Letizia presso la cappella delle suore passioniste di Corneto dove si ritirava ogni tanto.
Le esequie vennero così celebrate in Roma presso Santa Maria in via Lata, dove Letizia e gli altri membri della famiglia Bonaparte erano soliti assistere alla messa, ma poi il corpo venne portato per la sepoltura a Corneto/Tarquinia.
Nel 1851, poi, il nipote Napoleone III chiese ed ottenne che il suo corpo venisse traslato ad Ajaccio.
Nella stessa cappella venne sepolto, come si è detto, anche il fratello di Letizia, il cardinale Joseph Fesch[2].
Egli, aveva aderito da giovane al movimento rivoluzionario e aveva accettato, da sacerdote, la costituzione civile del clero. L’adesione a tale visione che implicava la perdita della libertà da parte della Chiesa fu dovuta proprio ai rapporti di parentela con Napoleone: Fesch divenne il parente tramite il quale il futuro imperatore veniva a conoscere ciò che avveniva nel clero e cercava di indirizzarne gli sviluppi futuri. Ben presto il Fesch ebbe, pertanto, anche un crescente ruolo politico.
In Corsica si trovò a lottare con Pasquale Paoli che voleva l’indipendenza dell’isola.
Quando i Bonaparte furono accusati di robespierrismo e di aver appoggiato il Terrore e Napoleone fu arrestato e Giuseppe congedato dall'esercito, Fesch si rifugiò in Svizzera.
Dopo che nel 1801 venne firmato il Concordato fra Stato e Chiesa Fesch, che aveva contribuito alla sua realizzazione, divenne arcivescovo di Lione. Napoleone riuscì a farlo nominare cardinale da Pio VII nel 1803.
Da cardinale venne inviato come ambasciatore della Francia a Roma e nel 1804 fu lui a convincere a Roma il papa a partecipare all’incoronazione imperiale e, successivamente, ad accompagnare il papa da Roma a Parigi, nel 1804.
Ma, pian piano, Napoleone divenne sempre più ostile al pontefice giungendo nuovamente all’annessione dei domini pontifici e alla deportazione del papa nel 1809, poiché questi non accettava la nuova perdita di libertà della Chiesa, con lo Stato napoleonico che pretendeva di nominare i vescovi.
Crebbe allora anche il dissenso del Fesch con Napoleone. Nonostante questo fu il Fesch a celebrare le nozze di Napoleone con Maria d’Austria nel 1810 e a battezzare nel 1811 il loro figlio, l’erede.
Nel 1811 divenne ancora più forte il veto alla Chiesa sulla nomina dei vescovi e ancor più Fesch si distaccò dalla politica imperiale.
Alla caduta dell’imperatore Fesch, insieme a Maria Letizia, ottenne un salvacondotto per lasciare la Francia alla volta dell'Italia, incontrandosi con Pio VII a Cesena che poteva finalmente ritornare in patria.
Tornò in Francia nel periodo dei Cento giorni, ma, alla sconfitta definitiva del nipote, chiese nuovamente di trasferirsi in Italia, quando gli fu negato di rientrare come arcivescovo di Lione.
Morì a Roma nel 1839, venne sepolto a Corneto, ma le sue ceneri vennero poi traslate ad Ajaccio insieme a quello della sorella Letizia nel 1851.
2/ La Cappella gentilizia di Luciano Bonaparte a Canino
Riprendiamo dal sito Rai Cultura (https://www.raicultura.it/arte/articoli/2020/06/La-Cappella-gentilizia-dei-Bonaparte-a-Canino-d28bbf46-7aab-404d-ac6a-293aea57a6d7.html) un articolo senza indicazioni di autore e di data. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Il settecento, la rivoluzione francese e Napoleone.
Il Centro culturale Gli scritti (11/7/2021)
Nella Chiesa Collegiata di Canino, in provincia di Viterbo, ha sede una Cappella gentilizia dei Bonaparte che accoglie il Monumento funebre del Principe Luciano. Il luogo custodisce esemplari sculture neoclassiche che fungono da memoria della famiglia, dal padre Carlo alla moglie Alexandrine, fino al piccolo figlio Giuseppe morto prematuro.
L'animata vicenda di Luciano Bonaparte (1775–1840), terzogenito di Carlo e Letizia Ramolino, inizia nell'epoca della Rivoluzione Francese. Giovane raffinato, diplomatico e di interessi culturali multiformi, rispetto al fratello maggiore Napoleone, Luciano abbandona presto gli studi clericali e asseconda le inclinazioni politiche: diventa un fervente giacobino.
Fin da giovanissimo, Luciano riveste importanti incarichi militari e politici che favoriscono l’ascesa del fratello, con il quale tuttavia, nutre profondi dissensi sul piano personale e pubblico, in primis il progetto totalitario.
Ministro degli interni, Ambasciatore a Madrid, Luciano si muove abilmente negli ambienti del potere; proficua sarà l'amicizia con Papa Pio VII, per il quale il Bonaparte presta la sua sottigliezza nel concordato tra Francia e Chiesa (1801).
Rimasto vedovo di Christine Boyer, figlia di un oste, nel 1803 sposa Alexandrine de Bleschamp (1778–1855), anche lei vedova e figlia di un banchiere. Napoleone che aveva altri piani di conquista, non gradì la scelta del fratello escluso così dal trono per sempre. Fu questa la prima importante rottura con il futuro imperatore che, nel 1804, lo costrinse all’esilio a Roma.
Qui, grazie a Pio VII, nel 1808 acquista i feudi di Canino e Musignano dove prende dimora, dividendo la vita tra Roma e l'antico feudo, un tempo dominio dei Farnese. Quando nel 1809, lo Stato Pontificio finisce sotto l’autorità imperiale francese e Napoleone imprigiona Pio VII in Francia (fino al 1814), ancora una volta Luciano diventa per il fratello una presenza poco gradita. Cerca rifugio negli Stati Uniti con la famiglia, ma la nave finisce in mano agli inglesi e Luciano rimane in libertà vigilata, in Inghilterra, per quattro anni (1810-1814).
Con l'esilio di Napoleone all’Isola d’Elba (1814), il fratello torna a Roma dove il ritrovato amico Pio VII lo accoglie con un dono prezioso: Luciano diventa Principe di Canino e Musignano. Ma appena Napoleone fugge dall’Elba (1815), lui va in suo soccorso a Parigi per sostenerlo nella rivincita dei 100 giorni. Con Waterloo arriva la fine del sogno imperiale di Napoleone; Luciano torna in una Roma che lo addita con grande sospetto.
La seconda vita di Luciano Bonaparte finisce a Canino: oltre alla grande famiglia, qui il Principe asseconda le grandi passioni, scrive le sue "Mémoires" e si dedica ad attività archeologiche di scavo, non proprio conformi al nascente concetto neoclassico di tutela del patrimonio. Negli anni dell'Impero, Luciano era stato un convinto protagonista del ritorno all’antichità classica, era collezionista, intenditore d'arte e proteggeva artisti.
La sfarzosa vita condotta da Luciano fu causa di ingenti debiti, spesso ripagati con la vendita di proprietà importanti, ma non sempre. Nel 1828, nelle sue tenute di Vulci, vennero effettuati ritrovamenti archeologici etruschi di grande interesse e valore. Subito Luciano studia e documenta gli scavi, pensando anche di ricavarne profitto e organizza un traffico spudorato di reperti di tombe etrusche, una dispersione di patrimonio che continua la moglie dopo la sua morte, avvenuta a 65 anni. Alexandrine, nel suo testamento, lasciava alla comunità di Canino una cospicua somma di denaro, un gesto che convertì la Principessa in benefattrice.
Il Monumento funebre nella Cappella gentilizia della Collegiata, fu voluto da Alexandrine dopo la morte del marito. Nel 1853, il primogenito Carlo Luciano Bonaparte che aveva ereditato il patrimonio del padre, afflitto dai debiti vendeva tutto a Don Alessandro Torlonia, compresi titoli, diritti onorifici e cappella funebre. Per tanto, un anno dopo, Alexandrine riesce a traslare le ceneri di Luciano in una nuova cappella, sempre alla Collegiata, assieme a due cenotafi e un bassorilievo, prima collocati nella chiesa privata del castello di Musignano.
La cappella gentilizia è un ambiente rettangolare sobrio. Sul fondo, il Monumento sepolcrale del Principe Luciano (1846), realizzato dall'artista neoclassico fiorentino, Luigi Pampaloni (1791–1847), molto apprezzato nelle corti europee e già impiegato dalla famiglia Bonaparte. La struttura architettonica del monumento è chiusa ai lati da paraste scanalate che sostengono una trabeazione; due lesene poggiano direttamente su plinti decorati con lo stemma di famiglia. All’interno di una cornice ad arco, il bassorilievo di Luciano sul letto di morte, con la moglie inginocchiata al fianco e attorno quattro figure, simboli delle virtù del Principe. Accanto alle ceneri di Luciano, nel 1855, furono deposte anche le spoglie di Alexandrine.
[N.B. de Gli scritti Estremamente significativo è che sia san Pietro ad accogliere Luciano in cielo, segno della riconoscenza dei Bonaparte per il pontefice, successore del primo degli apostoli].
Sulla parete sinistra, un sarcofago sostiene una bellissima statua in memoria della prima moglie Christine Boyer e sulla parete destra, il monumento funerario del padre, Carlo Bonaparte entrambi di Massimiliano Laboureur (1767-1861), un artista romano che, nel 1812, era diventato docente di scultura con Thorwaldsen e Canova, presso la Pontificia Accademia di San Luca. Infine, il monumento dedicato al figlioletto Giuseppe, un altorilievo attribuito alla scuola di Canova.
Monumento al padre di
Napoleone e di Luciano, Carlo
Sepoltura del figlio di Luciano Bonaparte
Note al testo
[1] Per approfondimenti sulla sua figura, cfr. la voce Ramolino, Letizia del Dizionario biografico degli italiani della Treccani, disponibile on-line dal quale abbiamo tratto quanto riportato nel nostro testo.
[2] Per approfondimenti sulla sua figura, cfr. la voce Fesch, Joseph del Dizionario biografico degli italiani della Treccani, disponibile on-line dal quale abbiamo tratto quanto riportato nel nostro testo.