«Dov’è silenzio e tenebre la gloria che passò»: l’“Ei fu” e il Cinque maggio, Napoleone e Manzoni. La grande poesia non colloca l’uomo solo dinanzi al fluire della storia, ma anche dinanzi al tempo della natura: è questo ciò che fa Manzoni, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. la sezione Letteratura.
Il Centro culturale Gli scritti (19/5/2021)
Nel tornare a leggere il Cinque maggio, un lampo: tutti collocano Napoleone dinanzi agli eventi storici, alle sue imprese, per esaltarlo gli uni, per denigrarlo gli altri. E la frase più ripetuta diviene così: “Ai posteri l’ardua sentenza”, quasi che l’unico vero tribunale della vita e delle coscienze umane dovesse essere la storia delle generazioni future.
Ma non è questa la forza dell’ode manzoniana, non è questa il suo culmine poetico. Ciò che è commovente è la domanda sull’immobilità della morte dell’imperatore, sul suo essere ormai immemore, incapace di ricordare la storia. La domanda sulla terra che è muta, muta perché comprende che il vero discrimen non è se l’epopea napoleonica sia stata positiva o terribile, bensì piuttosto a cosa serva l’umana storia se anche un colosso come l’imperatore non ha altro destino che la solitudine – prima - in un’isola lontanissima e poi la morte.
Il pensiero del novecento ha abituato ad acquietare le coscienze sul fatto che la storia è l’unico orizzonte dell’uomo e ciò che conta sono le sue azioni, il suo operato storico e il bene che ha apportato ad altri esseri che, come lui, dovranno morire.
Manzoni eleva, invece, tale sguardo a domandarsi se “fu vera gloria”, se esista solo la gloria terrena, se abbia senso muovere il mondo per poi morirvi e vedere morire il mondo con noi: «Dov’è silenzio e tenebre la gloria che passò».
Questo è commovente. Che si guardi a Napoleone per domandarsi cosa sia la vita e se valga la pena affannarsi, se poi si deve terminare la vita su di un letto di morte, con al capezzale qualche caro che ci è rimasto vicino nel decorrere del tempo.
Ovviamente Manzoni dà poi la sua riposta, quando afferma che è la fede “ai trionfi avvezza” che illumina e consola: Napoleone si convertì in punto di morte e negli ultimi mesi assisteva alla celebrazione del prete cattolico che il pontefice gli aveva mandato su sua richiesta e volle anche da lui l’estrema unzione. Per Manzoni, è la fede che trionfa e permette, dunque, anche a Napoleone ormai immobile, a motivo del sospiro umano che non è immortale, di tornare a “trionfare” grazie alla vita eterna.
Ma anche per chi non è credente, la forza poetica dell’ode manzoniana sta nei meravigliosi versi inziali nei quali ogni uomo, dinanzi alla morte di una tale uomo, si accorge di essere percossa, attonita e di non avere più le parole per comprendere la vita una volta che essa non è posta solo dinanzi alla storia, ma anche dinanzi alla natura che tutto divora della storia umana, essendo infinitamente più grande e duratura.
Per ascoltare brani del 5 maggio di Alessandro Manzoni con il commento di Andrea Lonardo, cfr. il video Napoleone e Roma: storia di un sogno: