1/ I nuovi estremismi. In Siria e Iraq il Daesh non è morto ma solo stordito. Baghdad e Damasco restano il terreno di mantenimento del gruppo L’Egitto è «emergente», mentre in Libia il jihadismo sembra, per ora, segnare il passo Il grande dubbio dell’Afghanistan, di Camille Eid 2/ I nuovi estremismi. I reduci della Siria dietro il jihad asiatico. La situazione nel Subcontinente preoccupa: con la nascita di una “Wilaya India”, gli eredi di al-Baghdadi si espandono. Spesso coinvolgendo nelle azioni mogli e figli dei membri, di Camille Eid

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 03 /05 /2021 - 22:55 pm | Permalink | Homepage
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1/ I nuovi estremismi. In Siria e Iraq il Daesh non è morto ma solo stordito. Baghdad e Damasco restano il terreno di mantenimento del gruppo L’Egitto è «emergente», mentre in Libia il jihadismo sembra, per ora, segnare il passo Il grande dubbio dell’Afghanistan, di Camille Eid 

Riprendiamo da Avvenire del 25/4/2021 un articolo di Camille Eid. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione La crisi dell’Islam moderno.

Il Centro culturale Gli scritti (3/5/2021)

Ansa

Ha perso una battaglia, ma non (ancora) la guerra. La sconfitta militare del Daesh all’interno dei suoi «territori metropolitani » in Siria e in Iraq e la successiva eliminazione del suo leader, Abu Bakr al-Baghdadi, non nasconde una verità amara: l’organizzazione si sta riattivando come logistica e reclutamento e potrebbe «risorgere improvvisamente laddove si pensava di averla sepolta per sempre», come affermano molti analisti. Le sei “sacche” del gruppo tuttora presenti nella Badiat al-Sham, il Deserto siriano, sono una prima piccola conferma di questa possibilità. L’altra è il ritmo crescente degli attacchi, che ha raggiunto la media di 110 al mese. Il generale Kenneth McKenzie Jr, a capo del CentCom americano, ha detto nella sua relazione di mercoledì scorso, che il Daesh aspira ancora a «ristabilire un Califfato fisico» e che promuove per farlo «una presenza informatica globale pur mantenendo una struttura cellulare che gli consente di svolgere attacchi locali». Si conferma così nei due Paesi mediorientali l’ago attuale del jihadismo, una volta – pensiamo in particolare all’epoca di al-Qaeda – puntato sull’Arabia Saudita e dintorni, come Yemen e Kuwait.

Il contagio jihadista si è fermato anche ai confini della Giordania, grazie alla vigilanza dell’intelligence che ha sventato almeno tre attentati contro obiettivi civili e militari. Nel contempo, si fanno sentire le filiali del gruppo sparse tra Asia e Africa, soprattutto quelle del Sinai e dell’Afghanistan, quest’ultima definita dal generale McKenzie come «una delle più letali filiali del network del Daesh».

Siria 

Il Daesh rialza la testa e, nei mesi scorsi, è riuscito a espandere il suo controllo di fatto su un territorio di oltre 4mila chilometri quadrati. Gli attentati sono soprattutto concentrati nelle province di Deir ez-Zor (metà dei 131 registrati nel terzo trimestre del 2020) e di Raqqa, la ex capitale del gruppo in Siria. I jihadisti controllano ancora cinque aree nel deserto siriano, nonostante i continui raid dei caccia russi (l’ultimo del 20 aprile a nordest di Palmira). Tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, i jihadisti hanno messo a segno due sanguinosi attacchi nella zona centrale del Paese, provocando circa 60 morti, in larga parte soldati governativi. Nel primo attacco è stato condotto il 30 dicembre contro un convoglio di cisterne di petrolio sulla strada che collega Palmira a Deir ez-Zor, sull’Eufrate. Il bilancio è stato di 39 soldati uccisi (25 civili, secondo il regime) della famigerata Quarta divisione dell’esercito, comandata da Maher al-Assad, il fratello del presidente siriano. Il secondo agguato è avvenuto quattro giorni dopo sulla strada che collega Damasco a Raqqa, ex capitale del Daesh in Siria. L’attacco, nel quale sono morte 15 persone (12 militari governativi e tre civili) ha preso di mira un pullman carico di soldati e civili che si dirigevano nel nord del Paese. Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani, solo nel 2020 il Daesh in Siria ha ucciso 819 militari e miliziani filo-governativi, contro almeno 507 jihadisti morti.

Iraq 

Il Daesh mantiene una grande presenza territoriale nel deserto di Ninive, non lontano dalla frontiera con la Siria. Ma gli attentati del gruppo raggiungono altre zone ancora, come dimostrano i ripetuti attacchi nelle province di Diyala e Salahuddin, nel centro del Paese, ma anche a Kirkuk e nella provincia occidentale di al-Anbar. Le forze di sicurezza irachene cercano di contrastare le attività di riorganizzazione del gruppo procedendo a retate contro sospetti simpatizzanti, ma anche a vere e proprie operazioni di rastrellamento, come quella che ha portato, nel marzo scorso, all’eliminazione di «200 nascondigli del Daesh» nelle zone montuose del nordest iracheno. Qui il Daesh ha inizialmente lanciato operazioni “mordi e fuggi” utilizzando armi leggere, ordigni esplosivi improvvisati e mortai. Ma a partire dal secondo trimestre del 2020, ha cominciato a organizzare attacchi più sofisticati che riflettono, secondo il Central Command Usa, «un’ampia pianificazione». Secondo gli esperti, i jihadisti agiscono in piccole cellule di 15 persone al massimo.

Egitto 

L’ombra del jihadismo è cambiata negli ultimi anni. Ora si potrebbe parlare, secondo l’analista Georges Fahmi, di un «mercato della violenza» ben sviluppato e gestito da differenti gruppi, ognuno dei quali cerca di ottimizzare le proprie quote sulla piazza. I movimenti jihadisti locali si dividono in tre categorie principali. La prima è composta dai gruppi salafiti affiliati al Daesh e includono sia quelli che operano nella penisola del Sinai (la cosiddetta Wilaya del Sinai, responsabile dell’80 per cento degli attentati registrati dal 2018 a oggi) sia quelli attivi nel resto del Paese (Il Cairo e Giza in particolare) sotto la denominazione di «Stato islamico in Egitto». La seconda categoria comprende altri gruppi salafiti, ma stavolta affiliati ad al-Qaeda, come Jund al-Islam (i Soldati dell’islam), presenti nel Deserto occidentale, e Ansar al-islam (i Partigiani dell’islam) che operano nel nord del Sinai. Infine, i gruppi riconducibili ai Fratelli musulmani come Hasm (acronimo arabo del Movimento delle braccia d’Egitto) e Liwa al-Thawra ( Stendardo della rivoluzione), emersi sulla scena a partire dal 2015, dopo la destituzione di Morsi, responsabili di vari attentati contro personalità religiose e della sicurezza vicine al regime.

Libia 

I jihadisti libici sembrano aver perso l’iniziativa. Dopo la disfatta, tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, dei gruppi jihadisti (dal Consiglio della gioventù islamica, poi aderito al Daesh, ad Ansar al-Sharia) e la perdita dei loro capisaldi a Sirte e Derna, si trovano principalmente concentrati nella regione del Fezzan, nel Sud del Paese. La strategia di reclutamento punta qui sulle comunità più vulnerabili economicamente, da sempre escluse dalla manna del petrolio, con la promessa di facili guadagni. Un importante sviluppo avvenuto nel 2020 è stata l’uccisione del leader locale del Daesh, tale Abu Moaz al-Iraqi, per mano dell’esercito fedele al generale Khalifa Haftar. Altre cellule del gruppo sarebbero sparse nelle principali città del Paese e mantengono un profilo basso. Anche i jihadisti vicini ad al-Qaeda, come la Brigata dei martiri di Abu Salim (dal nome di un noto centro di detenzione di prigionieri politici sotto Gheddafi), hanno cercato rifugio nel sud, dove si sono convertiti in bande che contrabbandano esseri umani, armi e droga.

Afghanistan 

«L’America rischia di consegnare l’Afghanistan ai taleban», metteva in guardia The Economist poche settimane fa, prima dell’ultimo annuncio del ritiro delle truppe statunitensi dal Paese, che dovrebbe finire entro l’11 settembre. L’impennata degli attentati negli ultimi mesi non lascia presagire nulla di buono. Il bilancio del 2020 parla di 2.248 militari (tra forze filo-governative e contingenti multinazionali) e 1.460 civili uccisi negli attentati e negli scontri. Un ritmo che sembra continuare anche quest’anno: circa 900 militari e 300 civili uccisi fino a oggi. Nel Paese asiatico si fanno sempre più allarmanti le connessioni del Daesh. Il governo afghano aveva proclamato, già nel novembre 2019, la «disfatta definitiva» del Daesh nel Khorasan – come la “filiale” locale si fa chiamare – in seguito a una grande operazione nella provincia di Nangarhar, sul confine con il Pakistan. Per essere smentito poco dopo. I terroristi del Califfato si sono resi responsabili degli attentati più sanguinosi, come l’attentato condotto da quattro kamikaze contro il tempio sikh di Kabul nel marzo 2020 e l’assalto condotto da attentatori suicidi contro l’Università di Kabul dello scorso novembre.

2/ I nuovi estremismi. I reduci della Siria dietro il jihad asiatico. La situazione nel Subcontinente preoccupa: con la nascita di una “Wilaya India”, gli eredi di al-Baghdadi si espandono. Spesso coinvolgendo nelle azioni mogli e figli dei membri, di Camille Eid 

Riprendiamo da Avvenire del 18/4/2021 un articolo di Camille Eid. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione La crisi dell’Islam moderno.

Il Centro culturale Gli scritti (3/5/2021)

Epa

L’attentato avvenuto nella Domenica del Palme contro la cattedrale di Makassar, capoluogo della provincia indonesiana del Sulawesi meridionale, ha riacceso i riflettori sul fenomeno jihadista in Asia. Che assume recentemente i connotati di un jihadismo “family style”, coinvolgendo anche donne e bambini dello stesso nucleo familiare. L’attentato in questione era stato condotto da due giovani coniugi, arrivati sul luogo in motocicletta prima di far esplodere una pentola a pressione imbottita di esplosivo. Il crollo militare del Daesh e la successiva morte del suo leader, Abu Bakr al-Baghdadi nell’ottobre 2019 hanno avuto una serie di conseguenze anche per il continente asiatico.

La prima è strettamente connessa al rientro in patria dei jihadisti partiti per il Medio Oriente. La maggior parte degli oltre 1.200 combattenti originari del Sud-est asiatico andati in Iraq e Siria a partire dal luglio 2014 era costituita da indonesiani. L’esperienza bellica di questi ha incrementato l’influenza del Daesh in una vasta area fino ad allora dominata dai gruppi radicali affiliati ad al-Qaeda, come la Jemaah Islamiyyah. Se, infatti, questo gruppo è stato responsabile della maggior parte degli attentati avvenuti in Indonesia negli anni 2000-2009, l’ago della militanza jihadista si è spostato ora a favore dei gruppi affiliati o vicini al Daesh, come Jamaah Ansharut Daulah ( Jad) e Mujahidin Indonesia Timur (Mit), responsabili dei 13 attentati avvenuti dal 2016 a oggi nel Paese.

Crescente preoccupazione anche in India, dove si moltiplicano le notizie di cellule smantellate dalle forze dell’ordine, dal Madhya Pradesh al Kerala e dal Karnataka a Hyderabad. Con la nascita, nel maggio 2019, di una “Wilaya dell’India”, il Daesh ha potuto inoltre inserirsi nel groviglio jihadista del Kashmir, da decenni al centro di una disputa territoriale tra India e Pakistan, come sta ultimamente cercando di strumentalizzare la questione dei profughi Rohingya, fuggiti dal Myanmar.

L’unico dato positivo sembra riguardare la Malaysia, dove gli arresti di sospetti terroristi sono calati dai 72 del 2019 a soltanto 7 lo scorso anno. Secondo il capo dell’antiterrorismo locale, Normah Ishak, dietro quella «camuffata benedizione» che ha ridotto la minaccia operativa del sedicente Stato islamico nel Paese sta però solo la pandemia che ha paralizzato ogni attività dietro le quali si può mascherare ed agire.

PAKISTAN Secondo il South Asia Terrorism Portal, il Pakistan ha registrato 319 incidenti legati al terrorismo nel 2020 con relativi 169 morti civili. Ciò rappresenta un calo rispetto al picco di circa 4.000 attentati avvenuti nel 2013, con oltre 2.700 morti civili. Questo calo è in gran parte dovuto alle operazioni dell’esercito pachistano contro i taleban pachistani – noti anche come Tehrik-e-Taliban Pakistan ( Ttp) –, responsabili della maggior parte delle vittime civili e militari dal 2007, anno in cui il Ttp si era formata come coalizione di vari gruppi radicali. Sebbene questi dati rappresentino un miglioramento, il Ttp si è riorganizzato dall’estate scorsa. Diverse fazioni hanno giurato fedeltà al gruppo lo scorso luglio, e ci sono notizie di un ritorno in almeno sei distretti di Khyber Pakhtunkhwa «con intimidazioni della gente del posto, uccisioni mirate e attacchi alle forze di sicurezza». Si calcola che il Ttp abbia ucciso almeno 40 agenti della sicurezza tra marzo e settembre 2020.

SRI LANKA Il governo di Colombo ha proseguito il suo smantellamento del gruppo National Thawheed Jamaath (Ntj), responsabile degli attacchi della domenica di Pasqua del 21 aprile 2019 contro tre chiese e quattro alberghi di lusso del Paese, in cui 259 persone sono state uccise e altre 500 ferite. Undici arresti di membri dell’Ntj si sono aggiunti nel 2020 ai 294 arresti effettuati nel 2019. Pochi mesi fa, sono state formulate le accuse ufficiali di terrorismo e supporto materiale al Daesh contro tre imputati in relazione agli attentati di Pasqua. Si tratta di Mohamed Naufar, il «secondo emiro» del gruppo “Daesh in Sri Lanka”, che ha guidato gli sforzi di propaganda reclutando altre persone e organizzando “corsi di formazione” jihadista; Mohamed Anwar Mohamed Riskan, che ha fabbricato gli ordigni esplosivi improvvisati (i cosiddetti Ied) usati negli attacchi; e Ahamed Milhan Hayathu Mohamed, che ha ucciso un agente di polizia per ottenere così un’arma da fuoco da utilizzare nell’azione e ha esplorato uno dei luoghi prescelti per gli attacchi. Il gruppo terroristico era stato accusato dalle autorità locali, l’anno precedente, di aver danneggiato diverse statue buddiste nell’isola.

La maggior parte dei 1.200 combattenti, originari del Sud-est e approdati nell’area siriana e in Iraq dal luglio 2014, era costituita da indonesiani. Il loro ritorno segna ora il predominio delle formazioni ispirate al Daesh

BANGLADESH Il governo di Dacca ribadisce spesso che mai tollererà divisioni religiose. «Questo Paese, ha affermato il premier Sheikh Hasina lo scorso 15 dicembre, è di tutti e non permetteremo a nessuno di creare divisioni e anarchia in nome della religione ». Tuttavia, il 26 marzo scorso, centinaia di musulmani radicali hanno attaccato i templi indù nella città di Brahmanbaria in segno di protesta contro la visita nel Paese del primo ministro indiano Narendra Modi, giunto a Dacca per le celebrazioni del 50esimo anniversario dell’indipendenza del Bangladesh. Almeno dieci le persone rimaste uccise negli scontri con la polizia durante le manifestazioni organizzate da gruppi islamisti che accusano Modi di discriminare la minoranza musulmana dell’India. Le proteste sono proseguite nei giorni successivi, con migliaia di attivisti islamisti che hanno sfilato per le strade di Chittagong e Dacca dietro l’invito veicolato dal gruppo radicale conosciuto come Hefazat-e-Islam.

INDONESIA Tra i gruppi radicali emergenti nel Paese, la Jamaah Ansharut Daulah ( Jad), responsabile di una quindicina di attentati contro chiese e altri obiettivi. Il gruppo si prefigge la «missione » di estendere i confini del Daesh nel Sud-Est asiatico facendo soprattutto leva su affiliati e fiancheggiatori giovani, e quindi facilmente manipolabili, da votare ai suoi ideali jihadisti. Una situazione, questa, che preoccupa particolarmente il governo di Jakarta che cerca di mettere il gruppo alle corte ricorrendo all’eliminazione fisica di diversi suoi esponenti e a retate dell’antiterrorismo. Ma non va sottovalutata la pericolosità della Jemaah Islamiyyah, affiliata ad al-Qaeda, che ha visto l’arresto, nel 2019, del suo leader, Para Wijayanto, oltre a diverse retate avvenute negli ultimi mesi. Molti analisti d’intelligence sostengono che la Jemaah conti ormai su almeno 6.000 membri ben armati distribuiti in punti strategici tra Giava, Sumatra e Sulawesi, ma che dal 2010 si trovi “paralizzata” in una fase di «preparazione» delle azioni militari piuttosto che in una situazione di concreta realizzazione di operazioni attive sul territorio in cui è presente.

FILIPPINE Il Jad è responsabile di altri attentati nelle Filippine. È infatti provata la sua responsabilità del doppio attentato suicida – anch’esso condotto da una coppia di coniugi indonesiani – contro la Cattedrale di Nostra Signora del Monte Carmelo a Jolo, il 27 gennaio 2019, con venti morti e 102 feriti. L’attentato ha rappresentato il primo segnale della rinnovata influenza del Daesh nel Paese, dato il coinvolgimento di elementi locali nei preparativi dell’attacco. In precedenza, fu il gruppo Maute a rappresentare la filiale locale del Daesh, insieme alla fazione Basilan del gruppo Abu Sayyaf. Le due fazioni avevano dato prova della loro pericolosità nel corso della loro lunga occupazione della città di Marawi, nell’isola di Mindanao, impegnando l’esercito filippino in un assedio durato dal maggio 2017 all’ottobre del 2019. Si ritiene che i gruppi radicali filippini siano riusciti a sopravvivere alle operazioni dell’antiterrorismo grazie alle relazioni stabilite con i gruppi attivi nei Paesi vicini e a una struttura di comando decentralizzata.