Agostino, Galilei e i sette giorni della creazione. Per l’esegesi ebraica e per quella cristiana i sette giorni della creazione non sono dei computi reali, come insegna Agostino - e, sulla sua scorta, Galilei -, anche se taluni moderni sembrano ignorare le minime regole già note all’esegesi antica. “Potrebbe Dio aver riposato un giorno?” - argomenta Agostino. “No, ciò è ovviamente impossibile e per questo quei giorni debbono essere compresi in un senso non letterale”, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 11 /04 /2021 - 23:36 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Leggere la Bibbia e Genesi e Pentateuco, oltre all’articolo citato nel testo Galilei fu il fondatore degli studi biblici moderni, più che il padre dell’eliocentrismo. Una nuova prospettiva sull’astronomo pisano, di Andrea Lonardo e Presentare Genesi 1-2, di Andrea Lonardo.

Il Centro culturale Gli scritti (11/4/2021)

Quando pseudo-esegeti credenti o atei disquisiscono dei sette giorni della creazione di Genesi quasi fossero giorni reali, per avvalorarne la verità o per negarla come una burletta, tradiscono ogni minima regola esegetica e scientifica e con essa i sapienti di Israele e della Chiesa che invece le hanno sempre applicate: quei supponenti pseudo-esegeti sia credenti che atei si dimostrano così poco scientifici, ignari delle competenze esegetiche e interpretative che dovrebbero invece avere.

Si prenda, ad esempio, Agostino e il suo commento a Genesi De Genesi ad litteram[1].

Agostino sa bene che il numero di sette giorni non può essere preso alla lettera. Afferma, infatti, che «dobbiamo prima scacciare dal nostro spirito ogni congettura d’interpretazione carnale»[2].

I sette giorni non possono “reali”, in primo luogo da un punto di vista teologico, per due motivi di un’importanza straordinaria.

Innanzitutto perché la creazione è un unico atto che egli caratterizza come evento simultaneo e fuori dal tempo (secondo quella visione che sarà poi precisata, in chiave filosofica, come creazione dal nulla, ex nihilo): «Riguardo alle cose che furono create simultaneamente, nessuno vede che cosa si sarebbe dovuto fare “prima” o “poi” se non lo scopre nella Sapienza, per mezzo della quale sono state create tutte le cose simultaneamente nell’ordine prestabilito»[3]

In secondo luogo perché Dio crea non in un solo istante, ma sempre[4] e le creature sono tali proprio perché vengono create in questo momento presente: per Agostino è chiaro che la creazione è un processo continuo. Il Concilio Vaticano II riprende tale intuizione tipica della teologia cristiana affermando che «Dio crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo» (DV 3).

Da un punto di vista teologico, dunque, per Agostino la creazione non può essere avvenuta in sette giorni, sia perché la creazione è un atto unico, sia perché la creazione si prolunga ben oltre sette giorni e si protrae dal suo inizio fino all’eternità.

Più volte Agostino esclama, dinanzi a chi legge quei testi alla lettera: «Nessuno è così pazzo da osar dire che Dio… »[5], «Ma ragionar così è una grande pazzia… »[6], per indicare che sarebbe follia pensare che la fede richieda di credere ad una creazione avvenuta in sette giorni e non concepita altrimenti.

Ma poi la sua analisi sottile si sofferma sulle incongruenze del testo biblico che sarebbero non appianabili se lo si leggesse alla lettera.

Innanzitutto Agostino fa notare come i giorni non possono essere considerati alla nostra stregua, poiché il sole e la luna vengono creati solo al quarto giorno: e allora cosa sarebbero i primi tre giorni, dato che non c’era ancora il levarsi e il calare del sole? Scrive in proposito Agostino: «In quei primi sei giorni la sera e il mattino, come la luce e le tenebre, ossia il giorno e la notte, non davano origine ai nostri giorni attraverso i giri del sole: ciò siamo certamente costretti ad ammettere, almeno per i primi tre giorni ricordati e nominati prima della creazione dei luminari del cielo»[7].

Inoltre – argomenta Agostino con acutezza contro ogni interpretazione letterale – Dio è eterno e certamente non ha riposato il settimo giorno alla stregua dei nostri giorni settimanali! Il settimo giorno significa piuttosto che in Dio «il riposo è più importante dell’azione»[8] e che Dio è beato in se stesso e «non che sarebbe stato più beato facendo»[9] questa o quest’altra cosa.

Per Agostino deve essere evidente che «dove mai si riposa Dio se non in se stesso? E quando, se non sempre?»[10]. Agostino fa poi notare come il settimo giorno non abbia sera[11]: ed esclama: «Non si deve credere affatto che in quel mattino, successivo alla sera del sesto giorno, cominciasse il riposo di Dio – saremmo, in questo caso, sospettati d’immaginarci in modo sciocco e temerario che un bene temporale potesse sopraggiungere all’Eterno e all’Immutabile»[12].

Questo è l’argomento su cui saggiamente insiste di più per insegnare che quei giorni sono dei giorni “intelligibili”, cioè vengono utilizzati dall’autore di Genesi per indicare che ogni cosa venne creata “con misura, numero e peso”, cioè con ordine e secondo leggi. Il riferimento costante è qui a Sap 11,21 che Agostino riprende per dire che l’utilizzo di numeri e di numeri perfetti (come è per lui il numero sei) significa non una creazione in sei giorni, bensì una creazione fatta con ordine e con ordine matematico[13].

Agostino ipotizza così diversi significati “spirituali”, “allegorici”, innanzitutto dei contenuti delle diverse opere create nei diversi giorni, ad esempio affermando che la luce potrebbe essere la creatura spirituale e la notte quella materiale, o lasciando intuire che la “luce primigenia” potrebbe avere a che fare con gli angeli che non sono altrove menzionati nel racconto – interessantissimo è anche l’argomento ex silentio che i padri adottavano per spiegare che la creazione non era avvenuta così come descritta, a partire dal fatto che non si fa menzione degli angeli, che pure esistono e sono creati[14].

Ma poi cerca di immaginare quale possa essere il significato dei diversi giorni stessi, sempre affermando che dobbiamo accettare di rimanere nell’ignoranza ed accettare l’incertezza di tali ipotesi, ad esempio affermando che la sera e la mattina dei diversi giorni potrebbero significare la necessità di vedere le cose in se stesse e poi di contemplarle in Dio[15].

Certamente egli, più volte, lascia intendere che tutto è come un “unico giorno” e così lo contempleremo anche noi alla Resurrezione in Paradiso[16].

«Nel succedersi di tutti quei giorni v’è un giorno solo, da non concepirsi come siamo soliti concepire i nostri giorni che vediamo calcolati e pensati in base al percorso del sole ma secondo un certo altro modo d’essere, applicabile anche ai tre giorni menzionati prima della creazione degli astri del cielo. Questa natura speciale del “giorno” si estese non solo fino al quarto “giorno” a partire dal quale potremmo immaginare gli altri come quelli attuali, ma si prolungò fino al sesto e al settimo giorno. Per conseguenza il “giorno” e la “notte” che Dio distinse tra loro bisogna intenderli in modo del tutto diverso dal nostro “giorno” e dalla nostra “notte” che, secondo la sua parola, dovevano essere distinti dagli astri del cielo ch’egli aveva creati allorché disse: Distinguano il giorno e la notte. Fu allora in realtà ch’Egli creò il giorno attuale quando creò il sole, la cui presenza produce il giorno stesso, mentre il “giorno” creato all’origine delle cose si era già ripetuto tre altre volte quando, al suo quarto ripetersi, furono creati questi corpi luminosi del firmamento»[17].

Per questo, prosegue Agostino, «non dobbiamo avere il minimo dubbio ch’essi [i giorni della nostra settimana] non sono simili a quelli [i giorni della creazione] bensì molto diversi»[18].

Ecco allora che quei giorni debbono essere presi in un modo che rispetti la lettera, ma che sia al contempo figurato o allegorico. Sono giorni “intelligibili” di cui è difficile dare un’interpretazione precisa: «Può darsi che trovi anch’io un’altra spiegazione forse più appropriata a quelle parole della Scrittura. Poiché questa mia interpretazione io non la difendo in modo talmente fermo da sostenere che non se ne possa trovare un’altra che si debba preferire, sebbene io sostenga fermamente che la Sacra Scrittura non ha voluto rivelarci che il riposo di Dio fosse dovuto alla stanchezza o alla pena sofferta nell’occupazione»[19].

Agostino ritorna continuamente sui suoi passi per spiegare meglio e approfondire. Subito dopo, infatti, si sofferma a domandarsi se le cose non possano essere state create tutte insieme, piuttosto che in modo cronologicamente dispiegato. E subito sottolinea che Dio ha inserito nelle cose create le “ragioni causali”, per le quali le cose stesse si sviluppano e producono altre cose. Quindi la creazione potrebbe essere stata, per certi aspetti, simultanea, in un attimo senza tempo, ma successiva nel dispiegarsi delle cose causate le une dalle altre, una volta iniziata la creazione: «Se noi adesso vediamo le creature muoversi attraverso vari periodi di tempo per compiere le azioni proprie della natura di ciascuna di esse, ciò deriva dalle ragioni [causali] che Dio ha inserito in esse e che ha sparso a guisa di semi (seminaliter) nell’istante della creazione, quando disse e le cose furono fatte, comandò e le cose furono create»[20].

Anzi Agostino riflette sul fatto che le cose avrebbero avuto bisogno di molto più di sette giorni, se si fosse inteso con ciò la crescita ordinaria delle piante e delle altre creature umane, a conferma ulteriore che non è di questo che si tratta, ma si intende piuttosto trattare in Genesi delle “ragioni seminali” e non con “giorni” che vadano letti alla maniera dei nostri giorni[21].

Agostino conclude poi affermando che i passi della Scrittura vanno letti gli uni alla luce degli altri e come esistano altri brani in cui si parla della creazione come di un unico evento, non scandito in tempi: «Ogni cosa fu creta anche simultaneamente, poiché è verace non solo il testo della Scrittura che narra le opere di Dio durante i suddetti giorni, ma anche quello che afferma che Dio creò tutte le cose nello stesso tempo e ambedue i passi sono l’unica e medesima Scrittura, poiché essa fu composta sotto l’ispirazione dell’unico e medesimo Spirito di Verità»[22].

Ecco allora che, da un lato, tutto deve essere visto come simultaneo nell’atto creativo di Dio, mentre la successione delle cose create dipende dalla connessione delle creature fra di loro e il modo in cui debbano essere compresi i diversi giorni resta un’impresa esegetica di non facile decifrazione, per la quale Agostino stesso ritiene di non essere giunto a risultati certi: «[La conoscenza angelica delle cose create nel Verbo] non avvenne attraverso una successione di intervalli di tempo, ma “prima” e “dopo” solo in relazione alle singole creature, sebbene tutto sia simultaneo nell’atto creativo di Dio»[23].

Le lunghe citazioni agostiniane di Galileo Galilei vanno nella stessa direzione

Galileo Galilei conosceva bene il commento di Agostino a Genesi e lo cita nella sua lettera a Madama Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana[24], proprio perché concorda pienamente con Agostino quando afferma che non bisogna rivolgersi a Genesi per cercarvi indicazioni di astronomia o precisazioni sulle modalità della creazione, quasi che in Genesi fosse possibile cogliere le tappe del processo creativo in maniera chiara e definita. Questi gli straordinari passaggi agostiniani del De Genesi ad litteram che Galilei cita e che i detrattori moderni di Genesi ignorano, ignorando al contempo sia Agostino che Galilei!

«Accade infatti assai spesso che, riguardo alla terra, al cielo, agli altri elementi di questo mondo, al moto e alla rivoluzione o anche alla grandezza e distanza degli astri, intorno alle eclissi del sole e della luna, al ciclo degli anni e delle stagioni, alla natura degli animali, delle piante, delle pietre e di tutte le altre cose di tal genere, anche un pagano abbia tali conoscenze da sostenerle con ragionamenti indiscutibili e in base ad esperienza personale. Orbene, sarebbe una cosa assai vergognosa e dannosa e da evitarsi a ogni costo, se quel pagano sentisse quel tale parlare di questi argomenti conforme - a suo parere - al senso delle Scritture cristiane dicendo invece tali assurdità che, vedendolo sbagliarsi - come suol dirsi - per quanto è largo il cielo, non potesse trattenersi dal ridere. Ma è spiacevole non tanto il fatto che venga deriso uno che sbaglia, quanto il fatto che da estranei alla nostra fede si creda che i nostri autori [sacri] abbiano sostenuto tali opinioni e, con gran rovina di coloro, della cui salvezza noi ci preoccupiamo, vengano biasimati come ignoranti e rigettati. Quando infatti, riguardo ad argomenti ben noti ad essi, i pagani sorprendono un cristiano che sbaglia e difende una sua opinione erronea appoggiandola ai nostri Libri sacri, in qual modo potranno prestar fede a quei Libri quando trattano della risurrezione dei morti, della speranza della vita eterna e del regno dei cieli, dal momento che penseranno che questi scritti contengono errori relativi a cose che hanno potuto già conoscere per propria esperienza o in base a sicuri calcoli matematici? Non può dirsi abbastanza qual pena e tristezza rechino ai fratelli assennati questi cristiani temerari e presuntuosi quando, allorché vengono criticati e convinti d'errore a proposito delle loro erronee e false opinioni da parte di coloro che non sono vincolati dall'autorità dei nostri Libri sacri. Costoro inoltre, al fine di sostenere ciò che affermano con sventatissima temerarietà e chiarissima falsità, si sforzano di addurre i medesimi Libri sacri con cui provare le loro opinioni e arrivano perfino a citare a memoria molti passi da loro ritenuti come valide testimonianze in proprio favore, senza comprendere né quel che dicono né ciò che danno per sicuro.
Considerando questa presunzione e al fine di guardarmene, io stesso ho cercato di spiegare in diversi sensi - per quanto sono stato capace - e di proporre [diverse] interpretazioni delle frasi del libro della Genesi, enunciate in modo oscuro per tenerci in [continua] riflessione. Per questa ragione non ho voluto sostenere alla leggera un'unica interpretazione con pregiudizio d'un'altra spiegazione forse migliore, in modo che, ciascuno possa scegliere secondo la propria capacità il senso ch'è in grado di capire»[25].

Galilei non si scaglia mai contro la Genesi e la accoglie, proprio perché sa che essa deve essere letta alla maniera in cui ha imparato a leggerla da Agostino.

Per l’astronomo pisano è evidente che i sette giorni non sono sette giorni e che quei passaggi hanno bisogno di un’esegesi adeguata, illuminata dalla filosofia, dalla teologia e dall’astronomia, esattamente come pensava Agostino.

La novità che Galilei propone è quella di allargare tale modalità di interpretazione di Genesi anche al passo di Giosuè sul “Fermati, o sole” che era stato fin lì letto in maniera letterale e non allegorico-spirituale.

Come ho già scritto in un testo a cui tengo moltissimo - Galilei fu il fondatore degli studi biblici moderni, più che il padre dell’eliocentrismo. Una nuova prospettiva sull’astronomo pisano, di Andrea Lonardo – ad un’analisi attenta dei termini della questione galileiana, come si posero al suo tempo, appare evidente che la Chiesa del tempo non avesse alcun problema ad accogliere le nuove tecnologie scientifiche e l’approccio “empirico-scientifico” galileiano, tanto è vero che subito vennero accolti i rilievi in merito alle fasi di Venere e ai “satelliti” di Giove visti anche dai gesuiti, fin da allora, col cannocchiale di Galilei. Il punto di riferimento al tempo di Galilei divenne subito Brahe e non più Copernico. Brahe era l’astronomo che cercava di conciliare le nuove osservazioni – tutti i pianeti girano intorno al sole – ad eccezione della terra, per la quale sola sembrava che la Scrittura dicesse il contrario.

Il pontefice, a torto, chiese a Galilei di ingegnare l’eliocentrismo in relazione alla terra, e non solo agli altri pianeti per i quali non c’era problema, solo come ipotesi. Degli altri pianeti si poteva dire che essi giravano intorno al sole, ma non della terra della quale si doveva dire che era solo un’ipotesi – e si tenga presente che le prove galileiane sulla rotazione della terra intorno al sole non erano adeguate, poiché egli ne deduceva il moto dalle maree, mentre solo successivamente fu possibile avvalersi del Pendolo di Foucault o delle osservazioni della parallasse.

Galilei, insomma, pretendeva a ragione di poter dichiarare che la terra girava intorno al sole, convinto di averne le prove ma in realtà non avendone, e invitava ad allargare le regole che aveva letto nel commento di Agostino a Genesi anche dinanzi al libro di Giosuè.

Fu quindi, non solo scienziato, ma anche esegeta cattolico[26] e, come tale, aiutò ad allargare le osservazioni di Agostino sul fatto che i sette giorni di creazione non debbono essere letti alla lettera (e ovviamente per Agostino tale prospettiva vale per molti altri particolari di Genesi 1 e 2), a tutto il restante materiale biblico.

Note al testo

[1] Agostino, De Genesi ad litteram, testo latino con traduzione, Roma, Città Nuova, 1989, pubblicazione nell’edizione dell’Opera Omnia agostiniana.

[2] Agostino, De Genesi ad litteram 4,8,15.

[3] Agostino, De Genesi ad litteram 4,34,54.

[4] Agostino, De Genesi ad litteram 4,11,21; 4,12,22.

[5] Agostino, De Genesi ad litteram 4,2,6.

[6] Agostino, De Genesi ad litteram 4,8,16.

[7] Agostino, De Genesi ad litteram 4,18,33.

[8] Agostino, De Genesi ad litteram 4,14,25.

[9] Agostino, De Genesi ad litteram 4,15,26.

[10] Agostino, De Genesi ad litteram 4,17,30.

[11] Agostino, De Genesi ad litteram 4,18,32.

[12] Agostino, De Genesi ad litteram 4,18,34.

[13] Cfr. Agostino, De Genesi ad litteram 4,3,7.

[14] Cfr. Agostino, De Genesi ad litteram 4,21,38.

[15] Cfr. Agostino, De Genesi ad litteram 4,25,43.

[16] Cfr. Agostino, De Genesi ad litteram 4,25,42.

[17] Agostino, De Genesi ad litteram 4,26,43.

[18] Agostino, De Genesi ad litteram 4,27,44.

[19] Agostino, De Genesi ad litteram 4,28,45.

[20] Agostino, De Genesi ad litteram 4,33,51.

[21] Cfr. Agostino, De Genesi ad litteram 4,33,52.

[22] Agostino, De Genesi ad litteram 4,34,53.

[23] Agostino, De Genesi ad litteram 4,35,56.

[24] G. Galilei, Lettera a Cristina di Lorena, Genova-Milano, Marietti 1820, 2009, pp. 132-133.

[25] Agostino, De Genesi ad litteram 1,19.39-20,4.

[26] Recentemente è stato Pesce a sottolineare la novità dell’approccio esegetico di Galilei, cfr. M. Pesce, L’ermeneutica biblica di Galilei e le due strade della teologia cristiana, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2005, anche se egli non si è accorto che la Chiesa del tempo non rifiutò il metodo scientifico, come invece segnaliamo nel nostro studio sopra citato, e che proprio la sua conoscenza del commentario agostiniano lo indirizzò sulla strada giusta.