1/ Eugène Burnand, che seppe seguire quella corsa al sepolcro. Svizzero, protestante, pensava che il cristianesimo potesse dare all'arte ciò che le manca di più. Per rendere il senso teologico di quel momento, si svegliava all'alba, per vedere "quella" luce..., di Giuseppe Frangi 2/ Pietro e Giovanni corrono al sepolcro, di Nicola Rosetti
1/ Eugène Burnand, che seppe seguire quella corsa al sepolcro. Svizzero, protestante, pensava che il cristianesimo potesse dare all'arte ciò che le manca di più. Per rendere il senso teologico di quel momento, si svegliava all'alba, per vedere "quella" luce..., di Giuseppe Frangi
Riprendiamo dal sito clonline.org (https://it.clonline.org/news/cultura/2018/02/20/eugene-burnand-i-discepoli-giovanni-e-pietro-che-corrono-al-sepolcro-il-mattino-della-resurrezione) un articolo di Giuseppe Frangi, pubblicato il 20/2/2018. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Arte e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (4/4/2021)
Quante volte questo quadro è stato guardato, quante volte è stato meditato, quante volte ci ha fatto sussultare. Eppure davanti al nome del suo autore, Eugène Burnand, siamo istintivamente portati a chiederci: chi era costui? Ci sono infatti pochi casi paragonabili a questo, di un autore che si identifica sostanzialmente con una sua sola opera, oggi custodita in uno dei più frequentati musei d’Europa, il Musée d’Orsay a Parigi. Quando Burnand dipinse questo quadro aveva quasi 50 anni: lo presentò nel 1898 al Salon, l’annuale rassegna parigina che radunava la produzione degli artisti più vicini al gusto ufficiale. Riscosse un successo clamoroso, tanto che lo Stato lo acquistò, destinandolo al Musée du Luxembourg. Da allora è sempre rimasto nelle raccolte pubbliche francesi, passando anche per il Louvre per approdare poi all’attuale sede.
Prima di arrivare al quadro però è utile sapere qualcosa in più del suo autore: sono informazioni che aiutano a comprendere meglio questa sua opera. Burnand (1850-1921) era nato nella Svizzera francese, da una famiglia protestante. Restò protestante per tutta la vita, e questo è un primo motivo di sorpresa. Infatti la Riforma, specie nella sua declinazione calvinista e svizzera, aveva violentemente contrastato l’uso e la produzione di immagini sacre. Le chiese, in particolare alla fine del 1500, erano state svuotate e agli artisti restava solo lo spazio per immagini devozionali private, spesso di piccolo formato.
Eugène Burnand, "Autoritratto", 1915
I discepoli Giovanni e Pietro corrono al sepolcro
il mattino della Resurrezione, 1898
Burnand però arrivò in un momento di grande ripresa dell’arte religiosa in Europa, un fervore che contagiò anche la cultura protestante. Proprio nel 1898 un giornale militante riformato La Foi et la Vie aveva consacrato un suo numero a questo tema: il protestantesimo è incompatibile con l’arte? Al dibattito venne invitato lo stesso Burnand, che aveva risposto in questi termini: «Il protestantesimo è semplicemente il cristianesimo in tutta la sua purezza; è il principio capace di dare all’arte ciò che le manca di più: l’ispirazione alta, la sincerità, l’emozione persuasiva». In quel dibattito era intervenuto anche André Michel, conservatore del Louvre, che aveva cercato di dimostrare come Calvino, Lutero e Zwingli non fossero “iconofobi”.
Insomma, anche per un artista di profonda fede protestante la strada era spianata. Tanto che Burnand nei primi decenni del nuovo secolo continuerà a produrre immagini religiose anche molto impegnative (come La preghiera sacerdotale o Il riposo a Betania), senza però mai sfiorare il successo e il fascino di quell’opera “unica”.
Preghiera sacerdotale, 1900-1901
Lui aveva seguito una linea che si distingueva da quella estetizzante o simbolista che costituivano le linee maestre dell’arte religiosa a cavallo del secolo. In una lettera del 1897 sintetizzava bene il suo credo artistico: «Il misticismo per me consiste più nell’intensità e profondità della visione che nell’immaginazione liberata a se stessa. Io sono realista per natura e per destino».
Quest’applicazione alla realtà è alla base anche del metodo seguito per realizzare quest’opera di cui va sempre tenuto presente il titolo completo, I discepoli Giovanni e Pietro corrono al sepolcro il mattino della Resurrezione: la corsa e il mattino sono infatti elementi cruciali. «Mi alzo all’alba per studiare nel brillio dell’occhio del mio modello il riflesso ardente del sole che spunta all’orizzonte», scrive in una lettera all’amico Paul Robert. Poi spiega che nella “condensazione luminosa” convergono il senso teologico, il realismo atmosferico e il rispetto cronologico del momento in cui quel fatto era accaduto. La luce del sole nascente in effetti brilla, in particolare nella pupilla sgranata di Pietro: ed è uno dei dettagli più belli dell’opera.
Poi c’è la corsa: i due stanno correndo, come suggerisce sia quel loro inclinarsi in avanti, sia l’aria che sembrano solcare e che scompiglia i loro capelli. Si lasciano alle spalle, lontane e piccole all’orizzonte, le tre croci, per andare ad abbracciare quella speranza inattesa. Sono ancora increduli, pieni di uno stupore al limite dello sconcerto (il che rende lo stupore ancora più verosimile). Sono un giovane e un uomo che Burnand ha cercato di rispettare anche nell’identità antropologica di palestinesi di quel preciso momento della storia. Persone semplici (guardate le mani di Pietro), i cui volti sono definiti da ciò che stanno guardando. Del resto la bellezza stessa di questo quadro non è data dall’abilità di chi lo ha dipinto, ma piuttosto dal suo seguire, in quell’attimo, la corsa dei due discepoli.
2/ Pietro e Giovanni corrono al sepolcro, di Nicola Rosetti
Riprendiamo dal sito ancoraonline.org (http://www.ancoraonline.it/2018/03/19/pietro-giovanni-corrono-al-sepolcro/) un articolo di Giuseppe Frangi, pubblicato il 19/3/2018. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Arte e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (4/4/2021)
Per gusto personale sono sempre stato un po’ distante dall’arte religiosa contemporanea, incerta nel tratto, poco definita nei contorni e spesso di non facile lettura per il grande pubblico. Per tale motivo, ho sempre snobbato, pur conoscendolo da anni, il quadro I discepoli Pietro e Giovanni corrono al sepolcro la mattina della Resurrezione, opera dipinta nel 1898 dal pittore svizzero Eugène Burnand. Quando alcuni amici, appassionati di arte sacra come me, mi proponevano quell’immagine, non nascondo di aver pensato più di una volta: “Ma che ci troveranno di bello in questo quadro!?”.
In effetti, di primo acchito, si vedono solo due persone nell’atto di correre… e cosa avrebbe di artistico, e a maggior ragione di religioso, una tale immagine? Eppure, col passare degli anni, mi sono dovuto profondamente ricredere, perché, a ben vedere, l’opera ha una grande profondità teologica e offre più di una suggestione a chi si sofferma a meditarlo, più che a guardarlo.
Burnand si è ispirato al passo evangelico Gv 20,3-10. È forse la prima volta nella storia dell’arte che i due discepoli Pietro e Giovanni vengono rappresentati non nel sepolcro, ma mentre corrono verso di esso. Giovanni, in maniera fedele al testo, è dipinto più vicino alla meta. Infatti, l’evangelista Giovanni narra che egli fu il primo a giungere nel luogo dove Gesù era stato sepolto. Giovanni, il discepolo amato dal Signore, è rappresentato, come da tradizione, come un uomo molto giovane e sbarbato. Ha le mani giunte – un richiamo alla sua indole mistica – e indossa una tunica bianca. La sua figura contrasta con l’altro discepolo, Pietro, che invece è rappresentato come un uomo anziano che indossa una tunica rossa e blu. Giovanni incarna il misticismo della Chiesa, mentre Pietro il suo aspetto istituzionale.
Nonostante questo dicotomia, i due apostoli sono rappresentati come un tutt’uno. Essi sono l’immagine dell’intera Chiesa che raduna al suo interno personaggi assai diversi, a volte completamente opposti, sia per carattere sia per temperamento, eppure così uniti, proprio come Pietro e Giovanni. Come è possibile questo? Cosa genera un tale “miracolo”? Come avviene una così grande conciliatio oppositorum?
La risposta viene se ci si concentra sui loro sguardi: Pietro e Giovanni sono uniti, non perché si guardano l’uno con l’altro, non perché cerchino un accordo o un compromesso fra le loro personalità così agli antipodi, ma perché guardano tutti e due verso la stessa direzione, verso la stessa meta: Cristo morto e risorto. È lui a generare l’unità fra chi lo riconosce Signore. Pietro e Giovanni sono pieni della stessa cosa.
È molto significativo che il loro sguardo sia rivolto verso qualcosa che sta oltre la cornice e che il pittore ha sapientemente omesso. La resurrezione infatti è un evento metastorico, che deborda la nostra esperienza sensoriale e che introduce Cristo in quell’infinito che è l’oggetto del battito del cuore di ogni uomo. Il dipinto mette dunque a tema la funzione e la missione della Chiesa, cioè di indicare all’uomo dove guardare per vedere compiuto il suo desiderio di infinito.
I colori delle tuniche, richiamano evidentemente il mistero della persona di Cristo. Pietro ha una tunica rossa e blu, la stessa che nella tradizione iconografica è indossata da Gesù in centina di dipinti, affreschi e mosaici. Il rosso, colore del sangue, significa la sua umanità, mentre il blu indica la sua divinità. Giovanni veste un abito bianco che allude alle resurrezione di Cristo.
È chiaro dunque l’intento del pittore, quello di mostrarci il compito della Chiesa (simboleggiata proprio dai due apostoli), quella di essere testimone nel tempo e nello spazio del mistero di Cristo morto e risorto, tanto più se si nota che la scena suggerisce un movimento spazio-temporale, attraverso la corsa (nello spazio) dei discepoli e il sorgere del sole (tempo).