San Pietro in Gallicantu. «...e, uscito fuori, pianse amaramente», di Frédéric Manns

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 18 /03 /2021 - 15:01 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 12/3/2021 un articolo di Frédéric Manns. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione I luoghi della Terra Santa. Vedi inoltre il primo articolo della serie, Dominus flevit: lì dove il Signore pianse, di Alessandro Coniglio.

Il Centro culturale Gli scritti (18/3/2021)

Il nome Gallicantu deriva dal ricordo dell’episodio evangelico del pianto di Pietro dopo aver sentito il gallo cantare (Luca 22, 56-62). Aveva negato per tre volte di conoscere Gesù.

Per il giubileo del 2000 i padri assunzionisti hanno fatto fare una ricostruzione di Gerusalemme in epoca bizantina, prima della sua distruzione da parte dei Persiani nel 614. Sono rappresentate sette chiese, tra cui quella del Gallicantu. Questo modello permette ai pellegrini di visualizzare i luoghi della Passione di Gesù.

Una scala dell’epoca romana passa a pochi metri dalla chiesa. È forse uno dei pochi posti dove potrebbe essere passato Gesù, recandosi dal luogo dell’ultima cena cantando l’Hallel al Getsemani. Questa scala faceva parte di un’antica strada, scoperta nel 1897, che collegava i quartieri della città alta ai quartieri popolari della città bassa, dove si trovava lo sorgente del Gihon. Nella cripta della chiesa del Gallicantu i pellegrini possono vedere una grande cisterna. Sulla sua bocca tre croci furono scolpite dai bizantini e un ambiente adiacente potrebbe essere una prigione antica.

L’importanza di queste scoperte è evidente. Il terreno del Gallicantu fu acquistato nel 1884 dal conte Amedeo de Piellat (1852-1925). Dal 1888 vi furono effettuati numerosi scavi archeologici. Sondando il luogo fino alla roccia gli archeologi scoprirono una serie di silos e magazzini, diversi bagni rituali ebraici e numerose cisterne. Una serie di pesi trovati sul luogo era di tipo diverso da un’altra serie di pesi. Si supponeva che si trattasse di un tipo speciale adottato nel Tempio. Ma questa ipotesi rimane discussa. In maniera analoga non ci fu accordo su una iscrizione rinvenuta sul posto e ormai andata cancellata: comprendeva la parola ebraica korban.

I reperti archeologici scoperti a San Pietro in Gallicantu furono trasportati ed esposti al museo di Notre-Dame de France che fu distrutto e saccheggiato durante la guerra del 1948. Alcuni di questi pezzi, spesso rotti, furono trasferiti a San Pietro dopo il 1967. Sono ora presentati nel museo inaugurato il 28 giugno 2018.

Dal 1993, nuovi scavi effettuati da Diez, archeologo di Salamanca, hanno portato alla luce, a nord della scala, i resti di case risalenti al periodo ebraico, romano, bizantino, arabo e crociato. Mentre a nord c’è un quartiere di piccole case, a sud un grande complesso residenziale potrebbe essere ricondotto al palazzo del sommo sacerdote Caifa. Sono stati scoperti, infine, anche mosaici dell’epoca di Eudossia.

Fin dal quarto secolo la tradizione della Chiesa ha collocato la casa di Caifa nella vicinanza della santa Sion. Come altri luoghi sacri, il Palazzo di Caifa è stato oggetto di dibattiti tra gli archeologi. Le testimonianze dei primi pellegrini confermano però la sua collocazione presso il santuario del Gallicantu. Così scriveva l’Anonimo Pellegrino di Bordeaux, giunto in Terra Santa nel 333: «Lasciando Gerusalemme per salire a Sion, a sinistra, in fondo alla città, vicino alle mura, c’è la piscina chiamata Siloe […]. Di lì siamo saliti a Sion ed ecco il luogo dove si trovava la casa del sacerdote Caifa: c’è ancora la colonna su cui flagellarono Cristo» (Itinerarium, 591).

San Cirillo di Gerusalemme nella sua Catechesi 13, predicata nel 348, scongiurò i suoi neofiti di non abbandonare Cristo: «Non rinnegate il Crocifisso; se lo neghi, accuserà te la casa di Caifa, che con la sua attuale devastazione attesta la presenza di colui che è stato giudicato lì» (PG 33, 817).

Un anonimo, intorno al 530, scrisse nel Breviarius de Hierosolyma: «Poi vai alla santa basilica di Sion dove si trova la colonna su cui fu colpito Gesù. Da lì vai alla casa di Caifa, dove Pietro rinnegò, dove si trova la grande basilica di San Pietro» (Tobler, Descriptiones, 58-59).

Nello stesso periodo, l’arcidiacono Teodosio fece un pellegrinaggio ai luoghi santi lasciandoci un ricordo del suo viaggio. L’autore inizia con una descrizione di Gerusalemme. La sua prima visita è alla basilica del Santo Sepolcro. Poi va al monte Sion: «Dal Golgota alla santa Sion, che è la madre di tutte le chiese, ci sono duecento gradini. Questa chiesa, Nostro Signore Gesù Cristo, la fondò con i suoi apostoli. La colonna che era nella casa di Caifa è ora nella santa Sion... Dalla santa Sion alla casa di Caifa, che ora è la chiesa di San Pietro, ci sono più o meno 50 gradini» (De situ TS 7, in Geyer, CSCL 39).

In un elenco delle chiese di Terra Santa, redatto all’epoca di Carlo Magno, il Commemoratorium de casis Dei vel monasteriis, la basilica di San Pietro è così menzionata: «Alla Santa Sion, sacerdoti e chierici 17. A San Pietro, dove pianse il glorioso apostolo, sacerdoti e chierici, 5».

L’ebreo fedele recita ogni mattina questa benedizione: «Benedetto sei tu Signore che hai dato al gallo l’intelligenza». Quando Pietro sentì il canto del gallo, si ricordò la parola del Signore. Mentre il gallo distingue la luce dalle tenebre, egli che aveva tradito Gesù, non era più in grado di distinguere il vero dal falso. Flevit amare.