1/ Beatrice, una presenza amata [al punto che la figlia di Dante, Antonia, si fece suora col nome di suor Beatrice], di Franco Nembrini 2/ [Beatrice è talmente importante per Dante che sua figlia, fattasi suora, prende il nome di suor Beatrice] Antonia Alighieri, suor Beatrice (dall’Enciclopedia Dantesca)
1/ Beatrice, una presenza amata [al punto che la figlia di Dante, Antonia, si fece suora col nome di suor Beatrice], di Franco Nembrini
Riprendiamo sul nostro sito un capitoletto dal volume, scritto per i piccoli, di F. Nembrini, Dante. Una vita d’amore e d’avventura. Beatrice, i lupi e le stelle, San Giuliano Milanese, Piccola Casa editrice, pp. 56-57. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza on-line non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Dante Alighieri.
Il Centro culturale Gli scritti (18/3/2021)
Suor Beatrice? Sì, la figlia Antonia si è fatta suora, e ha scelto proprio questo nome. Un fatto che forse ci permette di far luce su un aspetto importante della vita di Dante, a cui finora abbiamo accennato solo di sfuggita: Gemma Donati, sua moglie.
A qualcuno infatti sarà venuto da domandarsi: ma come? Lui ama Beatrice, parla sempre di Beatrice, e intanto ha una moglie? Come avrà fatto Dante a parlare di Beatrice e a voler bene a Gemma? E come avrà fatto Gemma a sopportare un marito che parla sempre di un’altra? Di Gemma, invece, non parla proprio mai. Così molti studiosi hanno immaginato sul loro rapporto le cose più strane.
Eppure Antonia sceglie il nome di Beatrice. Scegliere il nome con cui si diventa frati e suore è una cosa seria: vuol dire che la persona che ha portato quel nome è stata importante, fondamentale per la vita di chi lo adotta. Se Beatrice fosse stata in casa motivo di discordia, se per la madre fosse stata una presenza fastidiosa, Antonia lo avrebbe saputo, ne avrebbe sofferto e non lo avrebbe certo scelto.
Invece, fra tanti nomi illustri di santi a disposizione, proprio Beatrice. Perché? L’unica spiegazione plausibile è che Beatrice fosse, a casa Alighieri, una presenza amata. Cioè che Gemma e i figli abbiano capito che, se Dante era un buon padre, un buon marito, era grazie all’influsso che Beatrice aveva avuto su di lui.
Per dir la stessa cosa con altre parole: quell’amore che Dante imparava da Beatrice doveva averlo poi vissuto con chi gli stava intorno. Ecco che cosa vuol dire che lei lo aveva «tratto a libertate»: gli ha insegnato ad amare tutti. Ed ecco perché Antonia entra in convento con il nome di “suor Beatrice”.
O donna in cui la mia speranza vige, […]
tu m’hai di servo tratto al libertate
per tutte quelle vie, per tutt’i modi
che di ciò fare avrei la potestate.
Commedia, Paradiso, canto XXXI
Sono le ultime parole che Dante rivolge a Beatrice quando, in cima al paradiso, lei lo affida a San Bernardo: «O donna che rendi salda la mia speranza, tu mi hai condotto, da schiavo che ero, fino alla libertà, usando tutti i modi, tutti i sistemi che potevi adoperare». È il grande inno di gratitudine con cui Dante riconosce che a Beatrice deve la propria salvezza.
2/ [Beatrice è talmente importante per Dante che sua figlia, fattasi suora, prende il nome di suor Beatrice] Antonia Alighieri, suor Beatrice (dall’Enciclopedia Dantesca)
Riprendiamo sul nostro sito l’articolo “Alighieri, Antonia (suor Beatrice)” dall’edizione on-line dell’Enciclopedia Dantesca (1970). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Dante Alighieri.
Il Centro culturale Gli scritti (18/3/2021)
Santo Stefano degli Ulivi a Ravenna
dove Antonia Alighieri si consacrò
con il nome di suor Beatrice
Alighieri, Antonia (suor Beatrice).
Figlia di Dante e di Gemma Donati, nata presumibilmente a Firenze tra gli ultimi anni del sec. XIII e i primissimi del XIV, quasi certamente minore di Pietro e Iacopo. Poiché le figlie non erano giuridicamente coinvolte nella condanna del padre, è da ritenere che restasse con la madre a Firenze anche dopo l'estensione del bando ai fratelli; ma non mancano autorevoli studiosi, come il Barbi, che ritengono probabile che Gemma seguisse in un secondo momento la sorte del marito, e quindi è altrettanto plausibile l'ipotesi che prima del 1315 A. fosse già presso il padre.
Della sua esistenza abbiamo conferma in un documento del 3 e 6 novembre 1332, stilato dal notaio ser Salvi di Dino, nel quale Iacopo s'impegna, anche a nome di Pietro, a far avere entro due mesi il consenso della madre e della sorella A. a una vendita.
Per antica tradizione s'identifica A. con la suor Beatrice, monaca nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi a Ravenna, a cui il Boccaccio avrebbe dovuto recare nel 1350 dieci fiorini d'oro da parte dei capitani della compagnia di Orsanmichele. Il documento relativo era in un libro di entrata e uscita ora perduto, ma esaminato nel sec. XVIII da Domenico Maria Manni, un secolo dopo da Giuseppe Pelli. L'esistenza del documento era stata fortemente messa in dubbio, ad es. dall'Imbriani, che negò l'esistenza di una Beatrice Alighieri, ma a fine secolo il Bernicoli pubblicava un documento tratto dai memoriali dell'archivio notarile di Ravenna; in esso era detto che il 21 settembre 1371 maestro Donato (degli Albanzani), casentinese ma dimorante a Ravenna, consegnava, da parte di un amico che desiderava restare sconosciuto, tre ducati al monastero di Santo Stefano, in qualità (il monastero) di erede " sororis Beatrisiae f. cd. Dandi Aldegerii et ol. sororis monasterii antedicti".
Il Ricci ha avanzato l'ipotesi che l'amico sconosciuto fosse lo stesso Boccaccio, che vent'anni prima non avrebbe adempiuto all'incarico assunto presso la compagnia di Orsanmichele; ma l'ambasceria ravennate del Boccaccio oggi non viene messa in discussione. Per poter identificare suor Beatrice con A. non desta eccessiva perplessità la circostanza che nel documento del 1332 non si faccia allusione alla condizione religiosa di A., essendo questa un'obbligazione all'interno della famiglia; anzi la proroga di due mesi si giustifica proprio con la necessità di provvedersi di un'autorizzazione da parte di persona lontana da Firenze. Né è pensabile che D. potesse avere due figliuole, anche perché nel citato documento si allude solo ad Antonia. Del resto suor Beatrice, benché religiosa, doveva possedere ancora beni se il monastero sarà designato suo erede. E il nome scelto nell'entrare nella vita monastica chiaramente attesta il riconoscimento di A. per il simbolo fondamentale dell'opera paterna.
La figura di suor Beatrice è stata nel sec. XIX tema di romanzi, come la Beatrice Alighieri di Ifigenia Zauli Saiani (Torino 1853), e di drammi, come quelli di Luigi Biondi (ibid. 1837) e di Tito Mammoli (Rocca San Casciano 1883), oltre a comparire in tutte le opere romanzesche e teatrali che hanno come argomento gli ultimi anni di vita di Dante. Nel muro esterno del monastero ravennate (che fu soppresso nel 1882) si legge una lapide, dettata da Filippo Mordani.
Bibl. - D. M. Manni, Storia del Decamerone, Firenze 1742, 3; I. Del Lungo, Dell'esilio di D., ibid. 1881, 161; V. Imbriani, La B. A., in " Giornale napoletano della domenica " I (1882) n. 1; S. Bernicoli, La figliuola di D.A., in "Giorn. d." VII (1899) 337-340; N. Zingarelli, I figli di D., Firenze 1923; Barbi, Problemi II 357; Piattoli, Codice 153, 196, 230; C. Ricci, L'ultimo rifugio di D., nuova ediz. a c. di E. Chiarini, Ravenna 1965, 165, 236-238.