Anche Charles de Foucauld fu testimone, sulle montagne siriane, del genocidio armeno e ne dette notizia in Francia: «Per ordine del sultano, hanno massacrato circa 140.000 cristiani da qualche mese. Nella città più vicina, a Marache, la guarnigione ha ucciso 4.500 cristiani in due giorni. Vengo a chiamarti in nostro soccorso, per aiutarci ad alleviare, ad impedire di morire di fame parecchie migliaia di cristiani sfuggiti ai massacri e rifugiati nelle montagne: non osano uscire dai loro nascondigli per paura di essere massacrati, non hanno nessuna risorsa». Breve nota di Andrea Lonardo
Riprendiamo su nostro sito un testo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Armeni e L’impero ottomano.
Il Centro culturale Gli scritti (10/3/2021)
Anche Charles de Foucauld fu testimone del genocidio armeno. Negli anni in cui fu trappista, con il nome di fratel Marie-Albéric che prese nel 1890, visse per un certo periodo tra le montagne della Siria ottomana, in zona prevalentemente curda, nella Trappa di Cheikhlé nei pressi di Akbès.
Di là scrisse al cognato Raymond de Blic, il 3 maggio 1896[1], queste parole chiarissime:
«Ti scrivo per chiederti un’offerta, non per noi, Dio ce ne guardi, perché non sarò mai abbastanza povero, ma per le vittime delle persecuzioni. Per ordine del sultano, hanno massacrato circa 140.000 cristiani da qualche mese… Nella città più vicina, a Marache, la guarnigione ha ucciso 4.500 cristiani in due giorni… Gli Europei sono protetti dal governo turco, per cui noi siamo sicuri: hanno messo un picchetto di soldati alla nostra porta, per impedire che ci facciano il minimo male. È doloroso stare così bene con quelli che sgozzano i nostri fratelli, sarebbe meglio soffrire con loro che essere protetti dai persecutori. È vergognoso per l’Europa: con una parola avrebbe potuto impedire questi orrori, e non l’ha fatto. È vero che il mondo ha conosciuto assai poco quel che succedeva qui, dal momento che il governo turco ha comprato la stampa, ha dato somme enormi a certi giornali, per non pubblicare altro che i dispacci da lui emananti. Ma i governi sanno tutta la verità dalle ambasciate e dai consolati. Che castighi di Dio si preparano per simile ignominia! Vengo a chiamarti in nostro soccorso, per aiutarci ad alleviare, ad impedire di morire di fame parecchie migliaia di cristiani sfuggiti ai massacri e rifugiati nelle montagne: non osano uscire dai loro nascondigli per paura di essere massacrati, non hanno nessuna risorsa. È nostro dovere imperioso privarci di tutto per loro, ma qualunque cosa facciamo non potremmo bastare a tali bisogni».
De Foucauld scrisse anche successivamente di quel frangente[2]:
«Non c’è vocazione al mondo grande come quella del prete. […] Che vocazione, caro fratello, e come benedico Dio di avergliela data! Una volta ho rimpianto di non averla ricevuta, rimpianto di non essere rivestito di questo santo carattere: era nel momento cruciale della persecuzione armena. Avrei voluto essere prete, sapere la lingua dei poveri cristiani perseguitati, e poter andare, di villaggio in villaggio, a dar loro coraggio nel morire per il loro Dio. Non ne ero degno».
Note al testo
[1] La lettera è citata nel Bollettino Amitiés Charles de Foucauld, n° 123, luglio 1996, p. 5-6 ed è parzialmente disponibile on-line, con il brano in questione, al link http://www.piccolifratellidigesu.com/alla-trappa-1890-97/.
[2] Cahiers Charles de Foucauld, Arthaud, Paris 1946, pp. 54-55.