«Cara sorella, caro fratello, forse guardi le tue mani e ti sembrano vuote, forse nel tuo cuore serpeggia la sfiducia e non ti senti ripagato dalla vita. Se è così, non temere: le Beatitudini sono per te, per te che sei afflitto, affamato e assetato di giustizia, perseguitato». Omelia di papa Francesco nella Cattedrale Caldea a Baghdad . «La migrazione è un diritto doppio: diritto a non migrare e diritto a migrare. Questa gente non ha nessuno dei due, perché non possono non migrare, non sanno come farlo. E non possono migrare perché il mondo ancora non ha preso coscienza che la migrazione è un diritto umano. Ho voluto ricevere il papà di Aylan Kurdi, quel bambino... È un simbolo che va oltre un bambino morto nella migrazione: un simbolo di civiltà morte, di civiltà che muoiono, che non possono sopravvivere, un simbolo di umanità. Ci vogliono urgenti misure perché la gente abbia lavoro nel proprio Paese e non abbia bisogno di migrare. E anche misure per custodire il diritto di migrazione. È vero che ogni Paese deve studiare bene la capacità di ricevere. Perché non è soltanto riceverli e lasciarli sulla spiaggia; è riceverli, accompagnarli, farli progredire e integrarli. L’integrazione dei migranti è la chiave» Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno dall’Iraq

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 10 /03 /2021 - 22:37 pm | Permalink | Homepage
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1/ «Cara sorella, caro fratello, forse guardi le tue mani e ti sembrano vuote, forse nel tuo cuore serpeggia la sfiducia e non ti senti ripagato dalla vita. Se è così, non temere: le Beatitudini sono per te, per te che sei afflitto, affamato e assetato di giustizia, perseguitato». Omelia di papa Francesco nella Cattedrale Caldea a Baghdad

Riprendiamo sul nostro sito l’omelia di papa Francesco nella Cattedrale Caldea di “San Giuseppe” a Baghdad, il 6/3/2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Islam e cristianesimo, Laicità e diritti e Dialogo fra le religioni.

Il Centro culturale Gli scritti (10/3/2021) 

La Parola di Dio ci parla oggi di sapienza, testimonianza e promesse.

La sapienza in queste terre è stata coltivata da tempi antichissimi. La sua ricerca da sempre affascina l’uomo; spesso, però, chi ha più mezzi può acquisire più conoscenze e avere più opportunità, mentre chi ha meno viene messo da parte. È una disuguaglianza inaccettabile, che oggi si è dilatata. Ma il Libro della Sapienza ci sorprende, ribaltando la prospettiva. Dice che «gli ultimi meritano misericordia, ma i potenti saranno vagliati con rigore» (Sap 6,6). Per il mondo, chi ha di meno è scartato e chi ha di più è privilegiato. Per Dio no: chi ha più potere è sottoposto a un esame rigoroso, mentre gli ultimi sono i privilegiati di Dio.

Gesù, la Sapienza in persona, completa questo ribaltamento nel Vangelo: non in un momento qualunque, ma all’inizio del primo discorso, con le Beatitudini. Il capovolgimento è totale: i poveri, quelli che piangono, i perseguitati sono detti beati. Com’è possibile? Beati, per il mondo, sono i ricchi, i potenti, i famosi! Vale chi ha, chi può, chi conta! Per Dio no: non è più grande chi ha, ma chi è povero in spirito; non chi può tutto sugli altri, ma chi è mite con tutti; non chi è acclamato dalle folle, ma chi è misericordioso col fratello. A questo punto può venire un dubbio: se vivo come Gesù chiede, che cosa ci guadagno? Non rischio di farmi mettere i piedi in testa dagli altri? La proposta di Gesù conviene? O è perdente? Non è perdente, ma sapiente.

La proposta di Gesù è sapiente perché l’amore, che è il cuore delle Beatitudini, anche se pare debole agli occhi del mondo, in realtà vince. Sulla croce si è dimostrato più forte del peccato, nel sepolcro ha sconfitto la morte. È lo stesso amore che ha reso i martiri vittoriosi nella prova, e quanti ce ne sono stati nell’ultimo secolo, più che nei precedenti! L’amore è la nostra forza, la forza di tanti fratelli e sorelle che anche qui hanno subito pregiudizi e offese, maltrattamenti e persecuzioni per il nome di Gesù. Ma mentre la potenza, la gloria e la vanità del mondo passano, l’amore rimane: come ci ha detto l’Apostolo Paolo, «non avrà mai fine» (1 Cor 13,8). Vivere le Beatitudini, allora, è rendere eterno quello che passa. È portare il Cielo in terra.

Ma come si praticano le Beatitudini? Esse non chiedono di fare cose straordinarie, di compiere imprese che vanno oltre le nostre capacità. Chiedono la testimonianza quotidiana. Beato è chi vive con mitezza, chi pratica la misericordia lì dove si trova, chi mantiene il cuore puro lì dove vive. Per diventare beati non bisogna essere eroi ogni tanto, ma testimoni ogni giorno. La testimonianza è la via per incarnare la sapienza di Gesù. È così che si cambia il mondo: non con il potere o con la forza, ma con le Beatitudini. Perché così ha fatto Gesù, vivendo fino alla fine quel che aveva detto all’inizio. Tutto sta nel testimoniare l’amore di Gesù, quella stessa carità che San Paolo descrive splendidamente nella seconda Lettura di oggi. Vediamo come la presenta.

Per prima cosa dice che «la carità è magnanima» (v. 4). Non ci aspettavamo questo aggettivo. Amore sembra sinonimo di bontà, generosità, opere di bene, eppure Paolo dice che la carità è anzitutto magnanima. È una parola che, nella Bibbia, racconta la pazienza di Dio. Lungo la storia l’uomo ha continuato a tradire l’alleanza con Lui, a cadere nei soliti peccati e il Signore, anziché stancarsi e andarsene, ogni volta è rimasto fedele, ha perdonato, ha ricominciato. La pazienza di ricominciare ogni volta è la prima qualità dell’amore, perché l’amore non si sdegna, ma riparte sempre. Non si intristisce, ma rilancia; non si scoraggia, ma resta creativo. Di fronte al male non si arrende, non si rassegna. Chi ama non si chiude in sé stesso quando le cose vanno male, ma risponde al male con il bene, ricordando la sapienza vittoriosa della croce. Il testimone di Dio fa così: non è passivo, fatalista, non vive in balìa delle circostanze, dell’istinto e dell’istante, ma è sempre speranzoso, perché fondato nell’amore che «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (v. 7).

Possiamo chiederci: e io, come reagisco alle situazioni che non vanno? Di fronte alle avversità ci sono sempre due tentazioni. La prima è la fuga: scappare, voltare le spalle, non volerne più sapere. La seconda è reagire da arrabbiati, con la forza. È quello che accadde ai discepoli nel Getsemani: davanti allo sconcerto, molti si diedero alla fuga e Pietro prese la spada. Ma né la fuga né la spada risolsero qualcosa. Gesù, invece, cambiò la storia. Come? Con la forza umile dell’amore, con la sua testimonianza paziente. Così siamo chiamati a fare noi; così Dio realizza le sue promesse.

Promesse. La sapienza di Gesù, che si incarna nelle Beatitudini, chiede la testimonianza e offre la ricompensa, contenuta nelle promesse divine. Vediamo infatti che a ogni Beatitudine segue una promessa: chi le vive avrà il regno dei cieli, sarà consolato, saziato, vedrà Dio… (cfr Mt 5,3-12). Le promesse di Dio assicurano una gioia senza eguali e non deludono. Ma come si compiono? Attraverso le nostre debolezze. Dio fa beati coloro che percorrono fino in fondo la via della loro povertà interiore. La strada è questa, non ce n’è un’altra. Guardiamo al patriarca Abramo. Dio gli promette una grande discendenza, ma lui e Sara sono anziani e senza figli. Proprio nella loro anzianità paziente e fiduciosa Dio opera meraviglie e dona loro un figlio. Guardiamo a Mosè: Dio gli promette che libererà il popolo dalla schiavitù e per questo gli chiede di parlare al faraone. Mosè fa presente di essere impacciato nel parlare; eppure Dio realizzerà la promessa attraverso le sue parole. Guardiamo alla Madonna, che proprio quando per la Legge non può avere figli viene chiamata a diventare madre. E guardiamo a Pietro: rinnega il Signore e Gesù chiama proprio lui a confermare i fratelli. Cari fratelli e sorelle, a volte possiamo sentirci incapaci, inutili. Non crediamoci, perché Dio vuole compiere prodigi proprio attraverso le nostre debolezze.

Egli ama fare così e stasera, per ben otto volte, ci ha detto ţūb’ā [beati], per farci comprendere che con Lui lo siamo davvero. Certo, siamo provati, cadiamo spesso, ma non dobbiamo dimenticare che, con Gesù, siamo beati. Quanto il mondo ci toglie non è nulla in confronto all’amore tenero e paziente con cui il Signore compie le sue promesse. Cara sorella, caro fratello, forse guardi le tue mani e ti sembrano vuote, forse nel tuo cuore serpeggia la sfiducia e non ti senti ripagato dalla vita. Se è così, non temere: le Beatitudini sono per te, per te che sei afflitto, affamato e assetato di giustizia, perseguitato. Il Signore ti promette che il tuo nome è scritto nel suo cuore, nei Cieli! E io oggi Lo ringrazio con voi e per voi, perché qui, dove nell’antichità è sorta la sapienza, in questi tempi si sono levati tanti testimoni, spesso trascurati dalle cronache, ma preziosi agli occhi di Dio; testimoni che, vivendo le Beatitudini, aiutano Dio a realizzare le sue promesse di pace.

2/ «Se Dio è il Dio della vita – e lo è –, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è –, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è –, a noi non è lecito odiare i fratelli. La vera identità di questa città è quella della convivenza armoniosa tra persone di origini e culture diverse. Per questo, accolgo con grande favore il Suo invito alla comunità cristiana a tornare a Mosul e ad assumere il ruolo vitale che le è proprio». La preghiera di papa Francesco in suffragio delle vittime della guerra a Mosul

Riprendiamo sul nostro sito le parole di papa Francesco presso Hosh al-Bieaa (piazza della Chiesa) a Mosul
nella preghiera in suffragio delle vittime della guerra, il 7/3/2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Islam e cristianesimo, Laicità e diritti e Dialogo fra le religioni.

Il Centro culturale Gli scritti (10/3/2021) 

SALUTO PRIMA DELLA PREGHIERA

Cari fratelli e sorelle,
cari amici!

Ringrazio l’Arcivescovo Najeeb Michaeel per le sue parole di benvenuto e sono particolarmente grato a Padre Raid Kallo e al Sig. Gutayba Aagha per le loro toccanti testimonianze.

Grazie tante, Padre Raid. Lei ci ha raccontato dello sfollamento forzato di molte famiglie cristiane dalle loro case. Il tragico ridursi dei discepoli di Cristo, qui e in tutto il Medio Oriente, è un danno incalcolabile non solo per le persone e le comunità interessate, ma per la stessa società che si lasciano alle spalle. In effetti, un tessuto culturale e religioso così ricco di diversità è indebolito dalla perdita di uno qualsiasi dei suoi membri, per quanto piccolo. Come in uno dei vostri tappeti artistici, un piccolo filo strappato può danneggiare l’insieme. Lei, Padre, ha parlato dell’esperienza fraterna che vive con i musulmani, dopo essere ritornato a Mosul. Lei ha trovato accoglienza, rispetto, collaborazione. Grazie, Padre, per aver condiviso questi segni che lo Spirito fa fiorire nel deserto e per averci indicato che è possibile sperare nella riconciliazione e in una nuova vita.

Signor Aagha, Lei ci ha ricordato che la vera identità di questa città è quella della convivenza armoniosa tra persone di origini e culture diverse. Per questo, accolgo con grande favore il Suo invito alla comunità cristiana a tornare a Mosul e ad assumere il ruolo vitale che le è proprio nel processo di risanamento e di rinnovamento.

Oggi, tutti eleviamo le nostre voci in preghiera a Dio Onnipotente per tutte le vittime della guerra e dei conflitti armati. Qui a Mosul le tragiche conseguenze della guerra e delle ostilità sono fin troppo evidenti. Com’è crudele che questo Paese, culla di civiltà, sia stato colpito da una tempesta così disumana, con antichi luoghi di culto distrutti e migliaia e migliaia di persone – musulmani, cristiani, gli yazidi, che sono stati annientati crudelmente dal terrorismo, e altri – sfollati con la forza o uccisi!

Oggi, malgrado tutto, riaffermiamo la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra. Questa convinzione parla con voce più eloquente di quella dell’odio e della violenza; e mai potrà essere soffocata nel sangue versato da coloro che pervertono il nome di Dio percorrendo strade di distruzione.

PAROLE INTRODUTTIVE DEL SANTO PADRE

Prima di pregare per tutte le vittime della guerra in questa città di Mosul, in Iraq e nell’intero Medio Oriente, vorrei condividere con voi questi pensieri:

Se Dio è il Dio della vita – e lo è –, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome.
Se Dio è il Dio della pace – e lo è –, a noi non è lecito fare la guerra
nel suo nome.
Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è –, a noi non è lecito odiare i fratelli.

Ora preghiamo insieme per tutte le vittime della guerra, perché Dio Onnipotente conceda loro vita eterna e pace senza fine, e le accolga nel suo amorevole abbraccio. E preghiamo anche per tutti noi, perché, al di là delle appartenenze religiose, possiamo vivere in armonia e in pace, consapevoli che agli occhi di Dio siamo tutti fratelli e sorelle.

PREGHIERA

Altissimo Dio, Signore del tempo e della storia, Tu per amore hai creato il mondo e non smetti mai di riversare sulle tue creature le tue benedizioni. Tu, al di là dell’oceano della sofferenza e della morte, al di là delle tentazioni della violenza, dell’ingiustizia e dell’iniquo guadagno, accompagni i tuoi figli e le tue figlie con tenero amore di Padre.

Ma noi uomini, ingrati per i tuoi doni e distolti dalle nostre preoccupazioni e dalle nostre ambizioni troppo terrene, spesso abbiamo dimenticato i tuoi disegni di pace e di armonia. Ci siamo chiusi in noi stessi e nei nostri interessi di parte e, indifferenti a Te e agli altri, abbiamo sbarrato le porte alla pace. Si è così ripetuto quanto il profeta Giona udì dire di Ninive: la malvagità degli uomini è salita fino al cielo (cfr Gn 1,2). Non abbiamo alzato al Cielo mani pure (cfr 1 Tm 2,8), ma dalla terra è salito ancora una volta il grido del sangue innocente (cfr Gen 4,10). Gli abitanti di Ninive, nel racconto di Giona, ascoltarono la voce del tuo profeta e trovarono salvezza nella conversione. Anche noi, Signore, mentre ti affidiamo le tante vittime dell’odio dell’uomo contro l’uomo, invochiamo il tuo perdono e supplichiamo la grazia della conversione:

Kyrie eleison! Kyrie eleison! Kyrie eleison!

[breve silenzio]

Signore Dio nostro, in questa città due simboli testimoniano il perenne desiderio dell’umanità di avvicinarsi a Te: la moschea Al-Nouri con il suo minareto Al Hadba e la chiesa di Nostra Signora dell’orologio. È un orologio che da più di cent’anni ricorda ai passanti che la vita è breve e il tempo prezioso. Insegnaci a comprendere che Tu hai affidato a noi il tuo disegno di amore, di pace e di riconciliazione, perché lo attuassimo nel tempo, nel breve volgere della nostra vita terrena. Facci comprendere che solo mettendolo in pratica senza indugi si potranno ricostruire questa città e questo Paese, e si potranno risanare i cuori straziati dal dolore. Aiutaci a non trascorrere il tempo al servizio dei nostri interessi egoistici, personali o di gruppo, ma al servizio del tuo disegno d’amore. E quando andiamo fuori strada, fa’ che possiamo dare ascolto alla voce dei veri uomini di Dio e ravvederci per tempo, per non rovinarci ancora con distruzione e morte.

Ti affidiamo coloro, la cui vita terrena è stata accorciata dalla mano violenta dei loro fratelli, e ti imploriamo anche per quanti hanno fatto del male ai loro fratelli e alle loro sorelle: si ravvedano, toccati dalla potenza della tua misericordia.

Requiem æternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis.

Requiescant in pace. Amen.

3/ «Con grande tristezza, ci guardiamo attorno e vediamo i segni del potere distruttivo della violenza, dell’odio e della guerra. Quante cose sono state distrutte! E quanto dev’essere ricostruito! Questo nostro incontro dimostra che il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola. L’ultima parola appartiene a Dio e al suo Figlio. Avete davanti a voi l’esempio dei vostri padri e delle vostre madri nella fede, che hanno adorato e lodato Dio in questo luogo. Hanno perseverato con ferma speranza nel loro cammino terreno. Abbracciate questa eredità! Questa eredità è la vostra forza! Non siete soli! La Chiesa intera vi è vicino». Discorso di papa Francesco, in visita alla comunità cristiana di Qaraqosh

Riprendiamo sul nostro sito il discorso di papa Francesco nella Chiesa dell'“Immacolata Concezione” a Qaraqosh, in visita alla comunità cristiana di Qaraqosh, il 7/3/2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Islam e cristianesimo, Laicità e diritti e Dialogo fra le religioni.

Il Centro culturale Gli scritti (10/3/2021) 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Sono grato al Signore per l’opportunità di essere in mezzo a voi questa mattina. Ho atteso con impazienza questo momento. Ringrazio Sua Beatitudine il Patriarca Ignace Youssif Younan per le sue parole di saluto, come pure la Signora Doha Sabah Abdallah e padre Ammar Yako per le loro testimonianze. Guardandovi, vedo la diversità culturale e religiosa della gente di Qaraqosh, e questo mostra qualcosa della bellezza che la vostra regione offre al futuro. La vostra presenza qui ricorda che la bellezza non è monocromatica, ma risplende per la varietà e le differenze.

Allo stesso tempo, con grande tristezza, ci guardiamo attorno e vediamo altri segni, i segni del potere distruttivo della violenza, dell’odio e della guerra. Quante cose sono state distrutte! E quanto dev’essere ricostruito! Questo nostro incontro dimostra che il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola. L’ultima parola appartiene a Dio e al suo Figlio, vincitore del peccato e della morte. Anche in mezzo alle devastazioni del terrorismo e della guerra, possiamo vedere, con gli occhi della fede, il trionfo della vita sulla morte. Avete davanti a voi l’esempio dei vostri padri e delle vostre madri nella fede, che hanno adorato e lodato Dio in questo luogo. Hanno perseverato con ferma speranza nel loro cammino terreno, confidando in Dio che non delude mai e che sempre ci sostiene con la sua grazia. La grande eredità spirituale che ci hanno lasciato continua a vivere in voi. Abbracciate questa eredità! Questa eredità è la vostra forza! Adesso è il momento di ricostruire e ricominciare, affidandosi alla grazia di Dio, che guida le sorti di ogni uomo e di tutti i popoli. Non siete soli! La Chiesa intera vi è vicina, con la preghiera e la carità concreta. E in questa regione tanti vi hanno aperto le porte nel momento del bisogno.

Carissimi, questo è il momento di risanare non solo gli edifici, ma prima ancora i legami che uniscono comunità e famiglie, giovani e anziani. Il profeta Gioele dice: “I tuoi figli e le tue figlie profetizzeranno, i tuoi vecchi sogneranno e i tuoi giovani avranno visioni” (cfr Gl 3,1). Quando gli anziani e i giovani si incontrano, che cosa succede? Gli anziani sognano, sognano un futuro per i giovani; e i giovani possono raccogliere questi sogni e profetizzare, portarli avanti. Quando gli anziani e i giovani si uniscono, preserviamo e trasmettiamo i doni che Dio dà. Guardiamo i nostri figli, sapendo che erediteranno non solo una terra, una cultura e una tradizione, ma anche i frutti vivi della fede che sono le benedizioni di Dio su questa terra. Vi incoraggio a non dimenticare chi siete e da dove venite! A custodire i legami che vi tengono insieme, vi incoraggio a custodire le vostre radici!

Sicuramente ci sono momenti in cui la fede può vacillare, quando sembra che Dio non veda e non agisca. Questo per voi era vero nei giorni più bui della guerra, ed è vero anche in questi giorni di crisi sanitaria globale e di grande insicurezza. In questi momenti, ricordate che Gesù è al vostro fianco. Non smettete di sognare! Non arrendetevi, non perdete la speranza! Dal Cielo i santi vegliano su di noi: invochiamoli e non stanchiamoci di chiedere la loro intercessione. E ci sono anche “i santi della porta accanto” «che, vivendo in mezzo a noi, riflettono la presenza di Dio» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 7). Questa terra ne ha molti, è una terra di tanti uomini e donne santi. Lasciate che vi accompagnino verso un futuro migliore, un futuro di speranza.

Una cosa che ha detto la Signora Doha mi ha commosso: ha detto che il perdono è necessario da parte di coloro che sono sopravvissuti agli attacchi terroristici. Perdono: questa è una parola-chiave. Il perdono è necessario per rimanere nell’amore, per rimanere cristiani. La strada per una piena guarigione potrebbe essere ancora lunga, ma vi chiedo, per favore, di non scoraggiarvi. Ci vuole capacità di perdonare e, nello stesso tempo, coraggio di lottare. So che questo è molto difficile. Ma crediamo che Dio può portare la pace in questa terra. Noi confidiamo in Lui e, insieme a tutte le persone di buona volontà, diciamo “no” al terrorismo e alla strumentalizzazione della religione.

Padre Ammar, ricordando gli orrori del terrorismo e della guerra, ha ringraziato il Signore che vi ha sempre sostenuto nei tempi buoni e in quelli cattivi, nella salute e nella malattia. La gratitudine nasce e cresce quando ricordiamo i doni e le promesse di Dio. La memoria del passato plasma il presente e ci porta avanti verso il futuro.

In ogni momento, rendiamo grazie a Dio per i suoi doni e chiediamogli di concedere pace, perdono e fraternità a questa terra e alla sua gente. Non stanchiamoci di pregare per la conversione dei cuori e per il trionfo di una cultura della vita, della riconciliazione e dell’amore fraterno, nel rispetto delle differenze, delle diverse tradizioni religiose, nello sforzo di costruire un futuro di unità e collaborazione tra tutte le persone di buona volontà. Un amore fraterno che riconosca «i valori fondamentali della nostra comune umanità, valori in nome dei quali possiamo e dobbiamo cooperare, costruire e dialogare, perdonare e crescere» (Enc. Fratelli tutti, 283).

Mentre arrivavo con l’elicottero, ho visto la statua della Vergine Maria su questa chiesa dell’Immacolata Concezione, e ho affidato a lei la rinascita di questa città. La Madonna non solo ci protegge dall’alto, ma con tenerezza materna scende verso di noi. La sua effigie qui è stata persino ferita e calpestata, ma il volto della Madre di Dio continua a guardarci con tenerezza. Perché così fanno le madri: consolano, confortano, danno vita. E vorrei dire grazie di cuore a tutte le madri e a tutte le donne di questo Paese, donne coraggiose che continuano a donare vita nonostante i soprusi e le ferite. Che le donne siano rispettate e tutelate! Che vengano loro date attenzione e opportunità! E ora preghiamo insieme la nostra Madre, invocando la sua intercessione per le vostre necessità e i vostri progetti. Vi pongo tutti sotto la sua protezione. E vi chiedo, per favore, di pregare per me.

4/ «San Paolo ci ha ricordato che «Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Cor 1,24). Gesù ha rivelato questa potenza e questa sapienza soprattutto con la misericordia e il perdono. Non ha voluto farlo con dimostrazioni di forza o imponendo dall’alto la sua voce. Com’è facile cadere nella trappola di pensare che dobbiamo dimostrare agli altri che siamo forti, che siamo sapienti… Nella trappola di farci immagini false di Dio che ci diano sicurezza». Omelia di papa Francesco a Erbil e saluto al termine della Messa

Riprendiamo sul nostro sito l’omelia di papa Francesco nello Stadio “Franso Hariri” a Erbil il 7/3/2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Islam e cristianesimo, Laicità e diritti e Dialogo fra le religioni.

Il Centro culturale Gli scritti (7/3/2021) 

San Paolo ci ha ricordato che «Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Cor 1,24). Gesù ha rivelato questa potenza e questa sapienza soprattutto con la misericordia e il perdono. Non ha voluto farlo con dimostrazioni di forza o imponendo dall’alto la sua voce, né con lunghi discorsi o esibizioni di scienza incomparabile. Lo ha fatto dando la sua vita sulla croce. Ha rivelato la sua sapienza e potenza divina mostrandoci, fino alla fine, la fedeltà dell’amore del Padre; la fedeltà del Dio dell’Alleanza, che ha fatto uscire il suo popolo dalla schiavitù e lo ha guidato nel cammino della libertà (cfr Es 20,1-2).

Com’è facile cadere nella trappola di pensare che dobbiamo dimostrare agli altri che siamo forti, che siamo sapienti… Nella trappola di farci immagini false di Dio che ci diano sicurezza… (cfr Es 20,4-5). In realtà, è il contrario, tutti noi abbiamo bisogno della potenza e della sapienza di Dio rivelata da Gesù sulla croce. Sul Calvario, Lui ha offerto al Padre le ferite dalle quali noi siamo stati guariti (cfr 1 Pt 2,24). Qui in Iraq, quanti dei vostri fratelli e sorelle, amici e concittadini portano le ferite della guerra e della violenza, ferite visibili e invisibili! La tentazione è di rispondere a questi e ad altri fatti dolorosi con una forza umana, con una sapienza umana. Invece Gesù ci mostra la via di Dio, quella che Lui ha percorso e sulla quale ci chiama a seguirlo.

Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato (Gv 2,13-25), vediamo come Gesù scacciò dal Tempio di Gerusalemme i cambiavalute e tutti coloro che compravano e vendevano. Perché Gesù ha fatto questo gesto così forte, così provocatorio? L’ha fatto perché il Padre lo ha mandato a purificare il tempio: non solo il tempio di pietra, ma soprattutto quello del nostro cuore. Come Gesù non tollerò che la casa del Padre suo diventasse un mercato (cfr Gv 2,16), così desidera che il nostro cuore non sia un luogo di subbuglio, disordine e confusione. Il cuore va pulito, va ordinato, va purificato. Da che cosa? Dalle falsità che lo sporcano, dalle doppiezze dell’ipocrisia. Tutti noi ne abbiamo. Sono malattie che fanno male al cuore, che infangano la vita, la rendono doppia. Abbiamo bisogno di essere ripuliti dalle nostre ingannevoli sicurezze che mercanteggiano la fede in Dio con cose che passano, con le convenienze del momento. Abbiamo bisogno che siano spazzate via dal nostro cuore e dalla Chiesa le nefaste suggestioni del potere e del denaro. Per ripulire il cuore abbiamo bisogno di sporcarci le mani: di sentirci responsabili e non restare a guardare mentre il fratello e la sorella soffrono. Ma come purificare il cuore? Da soli non siamo capaci, abbiamo bisogno di Gesù. Lui ha il potere di vincere i nostri mali, di guarire le nostre malattie, di restaurare il tempio del nostro cuore.

A conferma di ciò, come segno della sua autorità dice: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (v. 19). Gesù Cristo, Lui solo, può purificarci dalle opere del male, Lui che è morto e risorto, Lui che è il Signore! Cari fratelli e sorelle, Dio non ci lascia morire nel nostro peccato. Anche quando gli voltiamo le spalle, non ci abbandona mai a noi stessi. Ci cerca, ci insegue, per chiamarci al pentimento e per purificarci. «Com’è vero che io vivo – dice il Signore per bocca di Ezechiele –, io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva» (33,11). Il Signore vuole che siamo salvati e che diventiamo tempio vivo del suo amore, nella fraternità, nel servizio e nella misericordia.

Gesù non solo ci purifica dai nostri peccati, ma ci rende partecipi della sua stessa potenza e sapienza. Ci libera da un modo di intendere la fede, la famiglia, la comunità che divide, che contrappone, che esclude, affinché possiamo costruire una Chiesa e una società aperte a tutti e sollecite verso i nostri fratelli e sorelle più bisognosi. E nello stesso tempo ci rafforza, perché sappiamo resistere alla tentazione di cercare vendetta, che fa sprofondare in una spirale di ritorsioni senza fine. Con la potenza dello Spirito Santo ci invia, non a fare proselitismo, ma come suoi discepoli missionari, uomini e donne chiamati a testimoniare che il Vangelo ha il potere di cambiare la vita. Il Risorto ci rende strumenti della pace di Dio e della sua misericordia, artigiani pazienti e coraggiosi di un nuovo ordine sociale. Così, per la forza di Cristo e del suo Spirito, avviene quello che l’Apostolo Paolo profetizza ai Corinzi: «Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1 Cor 1,25). Comunità cristiane composte da gente umile e semplice diventano segno del Regno che viene, Regno di amore, di giustizia e di pace.

«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19). Parlava del tempio del suo corpo, dunque anche della sua Chiesa. Il Signore ci promette che, con la potenza della sua Risurrezione, può far risorgere noi e le nostre comunità dalle macerie causate dall’ingiustizia, dalla divisione e dall’odio. È la promessa che celebriamo in questa Eucaristia. Con gli occhi della fede, riconosciamo la presenza del Signore crocifisso e risorto in mezzo a noi, impariamo ad accogliere la sua sapienza liberatrice, a riposare nelle sue ferite e a trovare guarigione e forza per servire il suo Regno che viene nel nostro mondo. Dalle sue piaghe siamo stati guariti (cfr 1 Pt 2,24); nelle sue piaghe, cari fratelli e sorelle, troviamo il balsamo del suo amore misericordioso; perché Egli, Buon Samaritano dell’umanità, desidera ungere ogni ferita, guarire ogni ricordo doloroso e ispirare un futuro di pace e di fraternità in questa terra.

La Chiesa in Iraq, con la grazia di Dio, ha fatto e sta facendo molto per proclamare questa meravigliosa sapienza della croce diffondendo la misericordia e il perdono di Cristo, specialmente verso i più bisognosi. Anche in mezzo a grande povertà e difficoltà, molti di voi hanno generosamente offerto aiuto concreto e solidarietà ai poveri e ai sofferenti. Questo è uno dei motivi che mi hanno spinto a venire in pellegrinaggio tra di voi a ringraziarvi e confermarvi nella fede e nella testimonianza. Oggi, posso vedere e toccare con mano che la Chiesa in Iraq è viva, che Cristo vive e opera in questo suo popolo santo e fedele.

Cari fratelli e sorelle, affido voi, le vostre famiglie e le vostre comunità alla materna protezione della Vergine Maria, che fu associata alla passione e alla morte del suo Figlio e partecipò alla gioia della sua risurrezione. Interceda per noi e ci conduca a Lui, potenza e sapienza di Dio.

Saluto al termine della Messa

Saluto con affetto Sua Santità Mar Gewargis III, Catholicos-Patriarca della Chiesa Assira dell’Oriente, che risiede in questa città e ci onora con la sua presenza. Grazie, grazie, caro Fratello! Insieme a lui abbraccio i cristiani delle varie confessioni: in tanti qui hanno versato il sangue sullo stesso suolo! Ma i nostri martiri risplendono insieme, stelle nello stesso cielo! Da lassù ci chiedono di camminare insieme, senza esitare, verso la pienezza dell’unità.

Al termine di questa Celebrazione, ringrazio l’Arcivescovo Mons. Bashar Matti Warda, come pure Mons. Nizar Semaan e gli altri miei fratelli Vescovi, che tanto hanno lavorato per questo viaggio. Sono grato a tutti voi che lo avete preparato e accompagnato con la preghiera e mi avete accolto con affetto. Saluto in particolare la cara popolazione curda. Esprimo viva riconoscenza al Governo e alle autorità civili per il loro indispensabile contributo; e ringrazio tutti coloro che, in molti modi, hanno collaborato all’organizzazione di tutto il viaggio in Iraq, le autorità irachene – tutte – e i tanti volontari. Grazie a tutti!

In questi giorni passati in mezzo a voi, ho sentito voci di dolore e di angoscia, ma ho sentito anche voci di speranza e di consolazione. E questo è merito, in buona parte, di quella instancabile opera di bene che è stata resa possibile grazie alle istituzioni religiose di ogni confessione, grazie alle vostre Chiese locali e alle varie organizzazioni caritative, che assistono la gente di questo Paese nell’opera di ricostruzione e rinascita sociale. In modo particolare, ringrazio i membri della ROACO e le agenzie che essi rappresentano.

Ora, si avvicina il momento di ripartire per Roma. Ma l’Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore. Chiedo a tutti voi, cari fratelli e sorelle, di lavorare insieme in unità per un futuro di pace e prosperità che non lasci indietro nessuno e non discrimini nessuno. Vi assicuro le mie preghiere per questo amato Paese. In modo particolare, prego perché i membri delle varie comunità religiose, insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, cooperino per stringere legami di fraternità e solidarietà al servizio del bene e della pace. Salam, salam, salam! Shukrán! [Grazie] Dio benedica tutti! Dio benedica l’Iraq! Allah ma’akum! [Dio sia con voi]

5/ «La migrazione è un diritto doppio: diritto a non migrare e diritto a migrare. Questa gente non ha nessuno dei due, perché non possono non migrare, non sanno come farlo. E non possono migrare perché il mondo ancora non ha preso coscienza che la migrazione è un diritto umano. Ho voluto ricevere il papà di Aylan Kurdi, quel bambino... È un simbolo che va oltre un bambino morto nella migrazione: un simbolo di civiltà morte, di civiltà che muoiono, che non possono sopravvivere, un simbolo di umanità. Ci vogliono urgenti misure perché la gente abbia lavoro nel proprio Paese e non abbia bisogno di migrare. E anche misure per custodire il diritto di migrazione. È vero che ogni Paese deve studiare bene la capacità di ricevere. Perché non è soltanto riceverli e lasciarli sulla spiaggia; è riceverli, accompagnarli, farli progredire e integrarli. L’integrazione dei migranti è la chiave. Due aneddoti: a Zaventem, in Belgio, i terroristi erano belgi, nati in Belgio ma emigrati islamici ghettizzati, non integrati. L’altro esempio, quando sono andato in Svezia, a congedarmi dal Paese è stata la ministra: era giovanissima e aveva una fisionomia speciale, non tipica degli svedesi. Era figlia di un migrante e di una svedese: così integrata che è diventata ministro!» Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno dall’Iraq

Riprendiamo sul nostro sito le parole della Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno dall’Iraq l’8/3/2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Islam e cristianesimo, Laicità e diritti e Dialogo fra le religioni.

Il Centro culturale Gli scritti (7/3/2021) 

N.B. de Gli scritti Sulla triste storia di Alan Kurdi, cfr. le chiare parole del papà, che si trovò circondato dai ribelli anti-siriani nell’enclave di Kobane, senza che né i turchi, né i ribelli anti-Assad permettessero alcun aiuto ai civili. Fuggiti da Mobane, la famiglia giunse in Turchia e lì fece naufragio, sulle coste turche, appena messo piede in una barca. Su questo, cfr. 1/ Turchia - Siria. Per i cristiani l'incubo di una nuova persecuzione, di Camille Eid 2/ Siria. «Noi cristiani abbiamo paura della Turchia, ma i curdi ci usano», di Leone Grotti 3/ Un video per comprendere la vera storia della morte di Aylan Kurdi e dei profughi di Kobane (in particolare il video con le dichiarazioni del padre di Aylan Kurdi)

Matteo Bruni:

Buongiorno, Santità. Buongiorno a tutti voi. Grazie per questo viaggio straordinario che ha toccato la storia di questo Paese, tanti luoghi e anche il cuore di tanti iracheni e di tanti che hanno potuto seguire questi giorni, anche grazie al lavoro dei colleghi giornalisti. Qui c’è anche Mons. Dieudonné Datonou, che ha lavorato per la realizzazione di questo viaggio… “il nuovo sceriffo”! Ringraziamo anche lui per il suo lavoro, sapendo che ha potuto contare sull’esperienza dell’Ufficio viaggi della Segreteria di Stato e anche sull’esperienza di tanti pezzi della struttura della Santa Sede che partecipano all’organizzazione del viaggio. E adesso, se vuole, una parola di saluto e poi ci sono un po’ di domande da parte dei giornalisti, su questi giorni.

Papa Francesco:

Prima di tutto, grazie per il vostro lavoro e la vostra compagnia… e per la vostra stanchezza!

Poi, oggi è il giorno della donna: complimenti alle donne. La festa della donna… Dicevamo: perché non c’è la festa degli uomini… Anche nell’incontro con la Signora del Presidente [della Repubblica d’Iraq], ho detto: “Perché noi uomini siamo sempre in festa, noi!”. Ci vuole una festa per le donne. La moglie del Presidente ha parlato bene delle donne, mi ha detto cose belle oggi: quella fortezza che hanno le donne nel portare avanti la vita, la storia, la famiglia… tante cose.

E complimenti a tutti!

E terzo: oggi è il compleanno della giornalista della Cope, non l’altro giorno! Tanti auguri! E dobbiamo festeggiarlo… Poi vedremo come… Adesso la parola è vostra.

Matteo Bruni:

La prima domanda, Santo Padre, viene proprio dal mondo arabo, da Imad Atrach, giornalista di Sky News Arabia.

Imad Abdul Karim Atrach (Sky News Arabia):

Santità, due anni fa ad Abu Dhabi c’è stato l’incontro con l’Imam al-Tayyeb di al-Azhar e la firma della Dichiarazione sulla fratellanza. Tre giorni fa Lei si è incontrato con al-Sistani: si può pensare a qualcosa di simile anche con il versante sciita dell’Islam? E poi una seconda cosa: il Libano, che San Giovanni Paolo II diceva è più che un Paese, è un messaggio. Questo messaggio, purtroppo, io, da libanese, Le dico che sta scomparendo. Pensiamo a una futura, imminente visita Sua in Libano? Grazie.

Papa Francesco:

Il documento di Abu Dhabi del 4 febbraio [2019] è stato preparato con il grande Imam in segreto, durante sei mesi, pregando, riflettendo, correggendo il testo. È stato, io dirò – è un po’ presuntuoso, prendetela come una presunzione – un primo passo di questo che Lei mi domanda. Possiamo dire che questo [con al-Sistani] sarebbe il secondo. E ce ne saranno altri. È importante, il cammino della fratellanza. Poi, i due documenti: quello di Abu Dhabi ha lasciato in me l’inquietudine della fratellanza, ed è uscita [l’Enciclica] Fratelli tutti. Ambedue i documenti si devono studiare perché vanno nella stessa direzione, cercano… sulla fratellanza. L’Ayatollah al-Sistani ha una frase che cerco di ricordare bene: gli uomini sono o fratelli per religione o uguali per creazione. La fratellanza e l’uguaglianza, ma al di sotto dell’uguaglianza non possiamo andare. Credo che sia una strada anche culturale. Pensiamo a noi cristiani, alla guerra dei Trent’anni, alla notte di San Bartolomeo, per fare un esempio. Pensiamo a questo. Come fra noi cambia la mentalità. Perché la nostra fede ci fa scoprire che è questo, la rivelazione di Gesù è l’amore e la carità ci porta a questo. Ma quanti secoli per attuarlo!

Questa è una cosa importante, la fratellanza umana, che come uomini siamo tutti fratelli, e dobbiamo andare avanti con le altre religioni. Il Concilio Vaticano II ha fatto un passo grosso in questo; poi anche le istituzioni, il Consiglio per l’unità dei cristiani e il Consiglio per il dialogo interreligioso: il Cardinale Ayuso ci accompagna oggi. Tu sei umano, tu sei figlio di Dio, sei mio fratello, punto. Questa sarebbe l’indicazione più grande, e tante volte si deve rischiare per fare questo passo. Lei sa che ci sono alcune critiche: che il Papa non è coraggioso, è un incosciente, che sta facendo dei passi contro la dottrina cattolica, che è a un passo dall’eresia… Ci sono dei rischi. Ma queste decisioni si prendono sempre in preghiera, in dialogo, chiedendo consiglio, in riflessione. Non sono un capriccio, e sono anche la linea che il Concilio ha insegnato. Questo riguardo alla Sua prima domanda.

La seconda: il Libano è un messaggio. Il Libano soffre, il Libano è più di un equilibrio, ha la debolezza delle diversità, alcune ancora non riconciliate, ma ha la fortezza del grande popolo riconciliato, come la fortezza dei cedri. Il Patriarca Raï mi ha chiesto per favore, in questo viaggio, di fare una sosta a Beirut, ma mi è sembrato un po’ poco. Una briciola davanti a un problema, a un Paese che soffre come il Libano. Gli ho scritto una lettera, ho fatto la promessa di fare un viaggio. Ma il Libano in questo momento è in crisi, ma in crisi – non voglio offendere – in crisi di vita. Il Libano è tanto generoso, nell’accoglienza dei profughi… Questo è il secondo viaggio.

Matteo Bruni:

Grazie, Santità. La seconda domanda viene da Johannes Neudecker, dell’agenzia di stampa tedesca Dpa:

Johannes Claus Neudecker (agenzia di stampa tedesca Dpa):

Grazie, Santo Padre. La mia domanda è pure sull’incontro con al-Sistani. In che misura l’incontro con al-Sistani è stato un messaggio anche ai capi religiosi dell’Iran?

Papa Francesco:

Io credo che sia stato un messaggio universale. Ho sentito il dovere, in questo pellegrinaggio di fede e di penitenza, di andare a trovare un grande, un saggio, un uomo di Dio. E solo ascoltandolo si percepisce questo. Parlando di messaggi, io direi: è un messaggio per tutti, è un messaggio per tutti. E lui è una persona che ha quella saggezza… e anche la prudenza. Lui mi diceva: “Da dieci anni – credo, mi ha detto così – non ricevo gente che viene a visitarmi con altri scopi, politici e culturali, no, soltanto religiosi”. E lui è stato molto rispettoso, molto rispettoso nell’incontro, e io mi sono sentito onorato. Anche nel saluto: lui mai si alza, e si è alzato, per salutarmi, per due volte. È un uomo umile e saggio. A me ha fatto bene all’anima, questo incontro. È una luce. E questi saggi sono dappertutto, perché la saggezza di Dio è stata sparsa per tutto il mondo. Succede lo stesso anche con i santi, che non sono solo quelli che stanno sugli altari. Sono i santi di tutti i giorni, quelli che io chiamo “della porta accanto”, i santi – uomini e donne – che vivono la loro fede, qualunque sia, con coerenza, che vivono i valori umani con coerenza, la fratellanza con coerenza. Io credo che dovremmo scoprire questa gente, evidenziarla, perché ci sono tanti esempi… Quando ci sono scandali, anche nella Chiesa, tanti, e questo non aiuta… Ma facciamo vedere la gente che cerca la strada della fratellanza, i santi della porta accanto, e troveremo gente della nostra famiglia, sicuramente: qualche nonno, qualche nonna… Sicuramente!

Matteo Bruni:

La terza domanda viene proprio da Eva Maria Fernández Huescar, di Cope, a cui facciamo ancora gli auguri.

Eva Maria Fernández Huescar (Cadena Cope 31H):

Santo Padre, che bello riprendere le conferenze stampa! È troppo bello!

In questi giorni, il suo viaggio in Iraq ha avuto un’enorme ripercussione in tutto il mondo. Lei pensa che questo possa essere il viaggio del Suo Pontificato? Si è detto anche che sia stato il più rischioso: ha avuto paura, in qualche momento del viaggio? E ora che riprendiamo con i viaggi e Lei è in procinto di compiere l’ottavo anno di pontificato, Lei continua a pensare che sarà corto? E poi, la grande domanda di sempre, Santo Padre, la grande domanda: tornerà mai in Argentina? E visto che ci sono, io sono spagnola: verrà mai il giorno in cui il Papa verrà in Spagna? Grazie, Santo Padre!

Papa Francesco:

Grazie, Eva. Ti ho fatto festeggiare due volte il compleanno: una in anticipo e un’altra in ritardo.

Comincio dall’ultima, che è una domanda…, la capisco…, perché c’è quel libro del mio amico giornalista Nelson Castro, medico: lui aveva fatto un libro sulla malattia dei presidenti e io una volta gli dissi, [quando ero] già a Roma: tu devi farne uno sulla malattia dei Papi, perché sarà interessante conoscere le malattie dei Papi, almeno di alcuni degli ultimi tempi. Ha incominciato a farlo; mi ha fatto un’intervista; è uscito il libro. Mi dicono che è buono, io non l’ho visto. Lui mi ha fatto una domanda: “Se Lei si dimette – se muoio o se mi dimetto –, se Lei si dimette, tornerà in Argentina o rimarrà qui?” – “Io non tornerò in Argentina – così ho detto – ma rimarrò qui, nella mia diocesi”. Ma su quella ipotesi – questo va unito alla domanda su quando vado in Argentina o perché non ci vado – io rispondo sempre un po’ ironicamente: sono stato 76 anni in Argentina, è sufficiente no?

Ma c’è una cosa che, non so perché, non si dice: era stato programmato un viaggio in Argentina nel novembre del 2017. Si cominciava a lavorare: si faceva Cile, Argentina e Uruguay. Ma poi – sarebbe stato per la fine di novembre – ma poi, in quel tempo il Cile era in campagna elettorale, perché in quei giorni, a dicembre, è stato eletto il successore di Michelle Bachelet, e io dovevo andare prima che cambiasse il governo, non potevo andare oltre. Ma andare a gennaio in Cile e poi a gennaio in Argentina e Uruguay non era possibile, perché gennaio è come l’agosto nostro, luglio-agosto, per i due Paesi. Ripensando la cosa, è stato fatto il suggerimento: perché non prendere il Perù? Perché il Perù era stato scavalcato nel viaggio Ecuador-Bolivia-Paraguay, era rimasto da parte. E da lì è nato il viaggio di gennaio in Cile e Perù. Questo voglio dirlo, perché non si facciano fantasie di “patriafobia”. Quando ci sarà l’opportunità si dovrà fare, perché c’è l’Argentina, l’Uruguay e il sud del Brasile, che è un composto culturale molto grande.

Inoltre, sui viaggi: per prendere una decisione sui viaggi, io ascolto; gli inviti sono tanti. Ascolto il consiglio dei consiglieri e anche della gente. A volte viene qualcuno e dico: cosa pensi, devo andare in quel posto? A me fa bene ascoltare, questo mi aiuta a prendere più avanti le decisioni. Ascolto i consiglieri e alla fine prego, prego, rifletto tanto, su alcuni viaggi ho riflettuto tanto. E poi la decisione viene da dentro: si faccia! Quasi spontanea, ma come un frutto maturo. È un percorso lungo. Alcuni sono più difficili, altri più facili.

La decisione su questo viaggio viene da prima: il primo invito dall’Ambasciatrice precedente, medico pediatra che era Ambasciatrice dell’Iraq: brava, brava, ha insistito. Poi è venuta l’Ambasciatrice in Italia, che è una donna di lotta. Poi è venuto il nuovo Ambasciatore in Vaticano, che ha lottato. Prima, era venuto il Presidente. Tutte queste cose sono rimaste dentro. Ma c’è una cosa in precedenza, che vorrei menzionare: una di voi mi ha regalato l’edizione spagnola de L’ultima ragazza [di Nadia Mourad]. Io l’ho letto in italiano. Poi l’ha consegnato a Elisabetta Piqué perché lo leggesse. L’hai letto? Più o meno… C’è la storia degli yazidi. E Nadia Mourad lì racconta quella cosa terrificante, terrificante… Vi consiglio di leggerlo. In alcuni punti, siccome è biografico, potrà sembrare un po’ pesante, ma per me questo è il telone [il motivo] di fondo della mia decisione. Quel libro lavorava dentro, dentro... E anche quando ho ascoltato Nadia, che è venuta qui a raccontarmi le cose… Terribile! Poi, con il libro, tutte queste cose insieme hanno fatto la decisione, pensandole tutte, tutte le problematiche, tante… Ma alla fine è venuta la decisione e l’ho presa.

Poi, l’ottavo anno del pontificato. Non so se i viaggi si rallenteranno o no, solo vi confesso che in questo viaggio mi sono stancato molto di più che negli altri. Gli 84 [anni] non vengono da soli! È una conseguenza... Ma vedremo. Adesso [in settembre] dovrò andare in Ungheria alla Messa finale del Congresso Eucaristico Internazionale. Non una visita al Paese, alla Messa. Ma Budapest è a due ore di macchina da Bratislava: perché non fare una visita agli slovacchi? Non so… E così incominciano le cose...

Aaron Patrick Harlan (The Washington Post):

Grazie, Santo Padre! Questo viaggio ha avuto ovviamente uno straordinario significato per le persone che hanno potuto vederLa, ma è stata occasione di eventi che hanno creato le condizioni per una diffusione del virus, in particolare nei riguardi di persone non vaccinate, ammassate, mentre cantavano. Quando ha valutato il viaggio e quello che avrebbe comportato, si è preoccupato anche del fatto che le persone che sarebbero venute a vederLa avrebbero potuto ammalarsi e perfino morire? Ci può spiegare le sue riflessioni e le sue previsioni?

Papa Francesco:

Come ho detto recentemente, i viaggi si “cucinano” nel tempo nella mia coscienza, e questa è una delle cose che più mi faceva forza, forza [mi premeva]... Ho pensato tanto, ho pregato tanto su questo e alla fine ho preso la decisione, liberamente, che veniva da dentro. E io ho detto: Colui che mi dà di decidere, si occupi della gente. E così ho preso la decisione, così, ma dopo la preghiera e dopo la consapevolezza dei rischi. Dopo tutto.

Matteo Bruni:

Grazie. La prossima domanda viene da Philippine De Saint Pierre, M.C. KTO.

Philippine de Saint Pierre (M.C. KTO):

Santità, abbiamo visto il coraggio, il dinamismo dei cristiani iracheni, abbiamo visto anche le sfide che devono affrontare, la minaccia della violenza islamista, l’esodo e la testimonianza della fede nel loro ambiente. Queste sono le sfide dei cristiani in tutta la regione. Abbiamo parlato del Libano, ma anche la Siria, la Terra Santa... Dieci anni fa si è svolto un Sinodo per il Medio Oriente, ma il suo sviluppo è stato interrotto dall’attacco alla cattedrale di Baghdad. Pensa di realizzare qualcosa per l’intero Medio Oriente, un sinodo regionale o qualsiasi altra iniziativa?

Papa Francesco:

Non sto pensando a un Sinodo. Le iniziative sì, sono aperto a tante, ma un Sinodo non mi è venuto. Lei ha buttato il primo seme, vediamo, vediamo cosa succede.

La vita dei cristiani in Iraq è una vita travagliata, ma non solo quella dei cristiani... Ho appena parlato degli yazidi…, e altre religioni che non si sottomettevano al potere di Daesh. E questo, non so perché, ma questo ha dato loro una forza molto grande. C’è il problema che Lei dice della migrazione. Ieri mentre tornavamo in macchina da Qaraqosh a Erbil, [c’era] tanta gente, giovani, l’età è molto molto bassa. Tanta gente giovane. E la domanda che qualcuno mi ha fatto: ma qual è il futuro per questi giovani? Dove andranno? In tanti dovranno lasciare il Paese, tanti. Prima di partire per il viaggio, l’altro giorno, venerdì, sono venuti a salutarmi dodici iracheni profughi: uno aveva una protesi alla gamba perché era scappato sotto i camion e si era incidentato... Scappati, tanti, tanti. La migrazione è un diritto doppio: diritto a non migrare e diritto a migrare. Questa gente non ha nessuno dei due, perché non possono non migrare, non sanno come farlo. E non possono migrare perché il mondo ancora non ha preso coscienza che la migrazione è un diritto umano.

Mi diceva un sociologo italiano, parlando dell’inverno demografico in Italia: “Entro quarant’anni dovremo ‘importare’ stranieri perché lavorino e paghino le tasse delle nostre pensioni”. Voi francesi siete stati più furbi, siete andati avanti di dieci anni con la legge a sostegno della famiglia, il vostro livello di crescita è molto grande. Ma la migrazione la si vive come un’invasione. Ieri ho voluto – perché lui lo ha chiesto – ricevere, dopo la Messa, il papà di Aylan Kurdi, quel bambino... È un simbolo, Alan Kurdi è un simbolo; per questo ho regalato la scultura alla FAO. È un simbolo che va oltre un bambino morto nella migrazione: un simbolo di civiltà morte, di civiltà che muoiono, che non possono sopravvivere, un simbolo di umanità. Ci vogliono urgenti misure perché la gente abbia lavoro nel proprio Paese e non abbia bisogno di migrare. E anche misure per custodire il diritto di migrazione. È vero che ogni Paese deve studiare bene la capacità di ricevere. Perché non è soltanto riceverli e lasciarli sulla spiaggia; è riceverli, accompagnarli, farli progredire e integrarli. L’integrazione dei migranti è la chiave. Due aneddoti: a Zaventem, in Belgio, i terroristi erano belgi, nati in Belgio ma emigrati islamici ghettizzati, non integrati. L’altro esempio, quando sono andato in Svezia, a congedarmi dal Paese è stata la ministra: era giovanissima e aveva una fisionomia speciale, non tipica degli svedesi. Era figlia di un migrante e di una svedese: così integrata che è diventata ministro! Guardiamo queste due cose, ci faranno pensare tanto, tanto, tanto. Integrare. Sulla migrazione, che credo sia il dramma della regione. Vorrei anche ringraziare i Paesi generosi, i Paesi che ricevono i migranti: il Libano, il Libano è stato generoso con i migranti, due milioni di siriani lì, credo... [un milione e mezzo di siriani più 400mila palestinesi]; la Giordania –purtroppo non passeremo [con il volo] sopra la Giordania – il Re è così gentile, il Re Abdullah, voleva farci un omaggio con gli aerei al nostro passaggio, lo ringrazio adesso; la Giordania è generosissima: più di un milione e mezzo di migranti. E tanti altri Paesi, per menzionarne due soltanto. Grazie a questi Paesi generosi! Grazie, grazie tante!

Matteo Bruni:

Grazie Santità. La prossima domanda è in italiano dalla giornalista Stefania Falasca, di Avvenire.

Stefania Falasca (Avvenire):

Lei, in tre giorni, in questo Paese, che è un Paese chiave del Medio Oriente, ha fatto quello che i potenti della terra discutono da trent’anni. Lei ha già spiegato qual è la genesi interessante dei suoi viaggi, come nascono le scelte dei suoi viaggi, ma adesso in questa contingenza, pensando anche al Medio Oriente, Lei può mettere in conto anche un viaggio in Siria? Quali possono essere gli obiettivi da qui a un anno di altri luoghi in cui è richiesta la sua presenza?

Papa Francesco:

Sul Medio Oriente la sola ipotesi, e anche la promessa, è il Libano. Non ho pensato a un viaggio in Siria, non l’ho pensato perché non mi è venuta l’ispirazione. Ma sono tanto vicino alla martoriata e amata Siria, come io la chiamo. Ricordo all’inizio del pontificato quel pomeriggio di preghiera in Piazza San Pietro, c’era l’adorazione del Santissimo, si pregava il rosario... Ma quanti musulmani, quanti musulmani con il tappeto pregavano con noi per la pace in Siria, per fermare i bombardamenti, in quel momento in cui si diceva che ci sarebbe stato un bombardamento feroce. La porto nel cuore la Siria. Ma pensare un viaggio, non mi è venuto in mente in questo momento. Grazie.

Matteo Bruni:

La prossima domanda viene da Sylwia Wysocka PAP - POLSKA AGENCJA PRASOWA.

Sylwia Wysocka (PAP - Polska Agencja Prasowa):

Santità, in questi 12 mesi molto difficili anche la sua attività è stata molto limitata. Ieri ha avuto il primo contatto diretto molto vicino con la gente a Qaraqosh: che cosa ha provato? La mia prima domanda. E poi, la seconda. Secondo lei, adesso, con tutto il regime sanitario, si possono ricominciare le udienze generali con la gente, con fedeli, come erano prima?

Papa Francesco:

Io mi sento diverso quando sono lontano dalla gente nelle udienze. Vorrei ricominciare le udienze generali al più presto. Speriamo che ci siano le condizioni, in questo io seguo le norme delle autorità. Loro sono i responsabili e loro hanno la grazia di Dio per aiutarci in questo. Sono i responsabili a dare le norme. Ci piaccia o non ci piaccia, ma i responsabili sono loro e devono fare così. Adesso ho ricominciato in piazza l’Angelus, con le distanze si può fare. C’è una proposta di piccole udienze generali, ma non ho deciso finché non si rende chiaro lo sviluppo della situazione. Ma dopo questi mesi di prigione, perché davvero mi sentivo un po’ imprigionato, questo è per me rivivere. Rivivere perché è toccare la Chiesa, toccare il santo popolo di Dio, toccare tutti i popoli. Un prete si fa prete per servire, al servizio del popolo di Dio, non per carrierismo, non per i soldi. Questa mattina nella Messa c’era la [lettura] della guarigione di Naaman il siro, e dice che questo Naaman voleva dare dei doni dopo la guarigione, ma il profeta Eliseo rifiutò. La Bibbia continua: e l’assistente del profeta Eliseo, poi, quando se n’erano andati, sistemò bene il profeta e di corsa seguì Naaman e gli chiese dei doni. E Dio disse: “La lebbra che aveva Naaman adesso sarà con te” (cfr 2 Re 5,1-27). Io ho paura che noi, uomini e donne di Chiesa, soprattutto che noi sacerdoti, non abbiamo questa vicinanza gratuita al popolo di Dio, che è quello che ci salva, e facciamo come il servo di Naaman: sì, aiutare, ma poi andare dietro... Di quella lebbra io ho paura. E l’unico che ci salva dalla lebbra della cupidigia, della superbia è il santo popolo di Dio. Quello di cui Dio disse a Davide: “Io ti ho tolto dal gregge, non dimenticarti del gregge”. Quello che Paolo disse a Timoteo: “Ricordati della tua mamma e della tua nonna che ti hanno ‘allattato’ la fede”. Cioè non perdere l’appartenenza al popolo di Dio e diventare una casta privilegiata di consacrati, chierici, qualsiasi cosa. Per questo, il contatto col popolo ci salva, ci aiuta, noi diamo al popolo l’Eucaristia, la predicazione, la nostra funzione. Ma loro ci danno l’appartenenza. Non dimentichiamo questa appartenenza al santo popolo di Dio.

Lei incominciava così: cosa ho incontrato in Iraq, a Qaraqosh… Io non immaginavo le rovine di Mosul, di Qaraqosh, non immaginavo davvero... Sì, avevo visto le cose, avevo letto il libro, ma questo tocca, è toccante. E poi, quello che più mi ha toccato è la testimonianza di una mamma a Qaraqosh. Ha dato la testimonianza un prete che davvero conosce la povertà, il servizio, la penitenza; e una donna che nei primi bombardamenti di Daesh ha perso il figlio. Lei ha detto una parola: perdono. Io sono rimasto commosso. Una mamma [che dice]: io perdono e chiedo perdono per loro. E mi è venuto alla memoria il viaggio in Colombia, quell’incontro a Villavicencio, dove tante persone, donne soprattutto, madri e spose, dicevano la loro esperienza dell’assassinio dei figli e del marito e dicevano: “Perdono, io perdono”. Ma questa parola l’abbiamo persa, sappiamo insultare alla grande, sappiamo condannare alla grande, io per primo, questo lo sappiamo bene. Ma perdonare! Perdonare i nemici: questo è Vangelo puro. Questo è quello che più mi ha colpito a Qaraqosh.

Matteo Bruni:

L’ultima è di Catherine Laurence Marciano, AFP:

Catherine Laurence Marciano (AFP):

Santità, volevo sapere che cosa ha provato dall’elicottero vedendo la città distrutta di Mosul e poi pregando nelle rovine di una chiesa. Se posso, visto che è la festa della donna, volevo fare una piccola domanda anche sulle donne. Lei ha sostenuto le donne a Qaraqosh con parole molto belle, ma cosa pensa del fatto che una donna musulmana innamorata non può sposarsi con un cristiano senza essere scartata dalla famiglia o peggio ancora? La prima domanda era su Mosul. Grazie Santità.

Papa Francesco:

Di Mosul ho detto un po’ en passant quello che ho sentito quando mi sono fermato davanti alla chiesa distrutta, non avevo parole. Da non credere, da non credere… Non solo quella chiesa ma anche le altre chiese, anche una moschea distrutta. Si vede che non era d’accordo con la gente... Da non credere la nostra crudeltà umana. In questo momento, non voglio dire la parola, si ricomincia: guardiamo l’Africa, guardiamo l’Africa! E con la nostra esperienza di Mosul, queste chiese distrutte e tutto, si crea l’inimicizia, la guerra, e ricomincia anche ad agire il cosiddetto Stato Islamico. Questa è una cosa brutta, molto brutta.

Prima di passare all’altra domanda. Una domanda che mi è venuta in mente nella chiesa era questa: ma chi vende le armi a questi distruttori? Perché le armi non le fanno loro a casa. Sì, qualche ordigno lo faranno… Ma chi vende le armi? Chi è il responsabile? Almeno io chiederei a questi che vendono le armi che abbiano la sincerità di dire: noi vendiamo le armi. Non lo dicono. È brutto.

Le donne. Le donne sono più coraggiose degli uomini, questo è vero, lo sento così. Ma la donna anche oggi è umiliata. Andiamo a quell’estremo: non so chi, una di voi mi ha fatto vedere la lista dei prezzi delle donne... Io non potevo credere: se la donna è così, costa tanto, costa... per venderle. Le donne si vendono, le donne si schiavizzano. Anche nel centro di Roma. Il lavoro contro la tratta è un lavoro di ogni giorno. Nel Giubileo [della Misericordia] sono stato a visitare una delle tante case dell’Opera di Don Benzi: ragazze riscattate, una con l’orecchio tagliato perché non aveva portato i soldi giusti, quel giorno; l’altra, portata da Bratislava nel bagagliaio della macchina, schiava, rapita. Questo succede fra noi, i “colti”, la tratta della gente. In questi Paesi, alcuni, soprattutto la parte dell’Africa, c’è la mutilazione, c’è la mutilazione come un rito che si deve fare. Ma le donne sono schiave ancora e dobbiamo lottare, lottare, per la dignità delle donne. Sono coloro che portano avanti la storia, questa non è una esagerazione: le donne portano avanti la storia. E non è un complimento oggi, nel giorno delle donne, ma è vero. La schiavitù è così, il rifiuto alla donna… Pensare che in un posto “x” è stata fatta una discussione se il ripudio della moglie dev’essere per scritto o soltanto orale. Neppure il diritto di avere l’atto di ripudio! Questo succede oggi. Ma per non allontanarci, pensiamo al centro di Roma, alle ragazze che sono rapite e sono sfruttate. Credo di aver detto tutto su questo.

Matteo Bruni:

Grazie, Santo Padre.

Papa Francesco:

Vi auguro buona fine viaggio e vi chiedo di pregare per me che ne ho bisogno! Grazie!