L’istanza sinodale. L'applicazione del dettato conciliare alla prova nell'immediato dopo-concilio, di Paolo Asolan
Riprendiamo sul nostro sito un brano da P. Asolan, Il pastore in una chiesa sinodale. Una ricerca odegetica, Città del Vaticano, Lateran University Press, 2017, pp. 263-265 (il brano porta il titolo Intermezzo: l'applicazione del dettato conciliare alla prova nell'immediato dopo-concilio). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Teologia pastorale ed Ecclesiologia.
Il Centro culturale Gli scritti (10/3/2021)
N.B. de Gli scritti
Nel volume del teologo pastorale P. Asolan, Il pastore in una chiesa sinodale. Una ricerca odegetica, si riflette sulla necessità della compresenza della figura del pastore come guida e dell’istanza sinodale nella teologia pastorale di sempre e, in particolare, in quella che viene delineata dal Vaticano II, sottolineando come l’obiezione pastoralmente più significativa a tale prospettiva non derivi tanto da questioni di principio, bensì da una sfiducia nelle forme che la sinodalità ha assunto di fatto, smorzando nella realtà delle diverse diocesi italiane tutti gli entusiasmi nati nell’immediato post-concilio a suo riguardo. L’autore invoca pertanto, a fianco dell’enunciazione del principio della sinodalità, indicazioni concrete perché esso generi entusiasmo, superando il pessimismo che la prassi della sinodalità ha generato nel tempo.
Non sarà inutile […] verificare (per il valore che la verifica ha nel metodo teologico-pastorale qui descritto e assunto) come storicamente si sono attuate le indicazioni conciliari, onde capire se c'è qualcosa che in esse vada corretto o aggiornato o integrato, per far in modo che la guida della comunità risulti effettivamente consona all'ecclesiologia conciliare della communio, e la sua missione un po' più efficace.
Ci limiteremo ad alcune attuazioni avvenute nella Chiesa italiana e alla recensione che di esse è stata fatta in una recente Storia della Chiesa[1], anche se prudentemente non sarà inutile prendere le distanze dalla perentorietà di certi giudizi, dovuti forse alla prossimità dei fatti accaduti o alla partecipazione diretta di chi li descrive.
In tali attuazioni si registra in genere una prima fase, più evolutiva, la quale appare segnata da grandi entusiasmi e aperture; vi è poi una seconda fase, ferita da conflitti e delusioni; infine una terza, contraddistinta in genere da abbandoni e chiusure, una sorta di stand by in attesa di poter ripartire su basi diverse, magari più solide e realistiche.
Può essere citata come sintomatica l'esperienza di Bari, dove il consiglio pastorale diocesano fu istituito nel 1965, considerato due anni dopo ancora "in fase di rodaggio", convocato solo poche volte, messo in pausa per un lungo periodo, riattivato nell'ultimo triennio di episcopato di monsignor Nicodemo (1970-1973) ed infine sospeso per quasi due anni[2].
Nella diocesi di Torino il cardinale Pellegrino incoraggiò la pubblicazione di uno studio preliminare redatto da un gruppo di preti e laici e nell'autunno del 1966 avviò concretamente tanto il Consiglio presbiterale quanto quello pastorale aperto ai laici. Dopo un primo triennio di sperimentazione, quest'ultimo organismo si trovò tuttavia posto di fronte a gravi difficoltà a proposito delle finalità e dei metodi di lavoro da seguire[3].
A Venezia il consiglio pastorale diocesano fu avviato nel 1967[4], così come a Ivrea dove avvenne un ampio coinvolgimento della popolazione.
Anche a Napoli l’organo consultivo diocesano - inaugurato nel 1970 - fu ben presto condizionato da quelli che furono definiti i "difetti del parlamentarismo" che condussero a contrapposizioni sul concetto di partecipazione e all’abbandono da parte di diversi membri del consiglio stesso[5]. Molto più lunga fu la gestazione del consiglio nella diocesi di Milano, dove esso iniziò a funzionare solo nel 1973 e, in maniera più stabile e definitiva, dal 1976[6].
In un convegno nazionale tenutosi nel giugno 1968 emerse pertanto la pluralità delle esperienze, con la constatazione di una tipologia che comprendeva i consigli definiti "efficientisti", simili a moderni centri studi; quelli "organicisti", di coordinamento fra le iniziative di associazioni, movimenti e uffici vari; infine quelli più marcati da istanze di partecipazione e di comunitarietà. In quello stesso anno si contavano in Italia oltre 150 consigli diocesani, saliti l'anno dopo a 184 e nel 1972 a 201: cifre peraltro tutte da verificare in relazione all'effettivo funzionamento di tali organismi[7].
Non dissimile l’andamento dei consigli pastorali parrocchiali:
Ancor più ritardata fu l’attuazione dei Consigli parrocchiali: anche in tal caso si avevano di fronte numerosi e contemporanei passaggi critici, che presupponevano l'acquisizione - tanto nel clero quanto nel laicato - dell'idea che la parrocchia non fosse "proprietà esclusiva" di un parroco autoritario ed insofferente e tuttavia neppure appartenesse ad un laicato rissoso e sindacalizzato. Di conseguenza anche in quelle parrocchie disposte a porsi sulla strada dei Consigli pastorali si assistette al rapido passaggio dalla fase degli entusiasmi a quella delle rivendicazioni e dei conflitti aperti ed infine alla stanchezza e all'abbandono: nel 1975 si faceva così autorevolmente notare che solo una minoranza del clero italiano continuava con tenacia sulla via della fiducia verso gli organismi di partecipazione. Né probabilmente avrebbe potuto andare diversamente, stante anche la difficoltà di chiarire lo stesso volto della parrocchia, ancora sottoposta ad evidenti segnali di crisi e alla contrapposizione tra progetti diversi, tesi a sottolineare ora il ruolo dei gruppi e delle piccole comunità, ora delle strutture e delle istituzioni tradizionali. In molti casi il Consiglio pastorale parrocchiale si rivelò essere solo una trasformazione puramente nominale della vecchia giunta di Azione Cattolica, senza un effettivo mutamento di indirizzi e di persone, con il duplice risultato negativo di svuotare dall'interno l'associazione tradizionale e di allontanare energie e proposte innovative[8].
A conforto di un giudizio che ad una prima lettura può risultare scoraggiante o deprimente, sta il parere preoccupato dello stesso episcopato italiano, che scrisse: «In quasi tutte le diocesi esistono Consigli presbiterali e pastorali ed in molte parrocchie esistono i Consigli pastorali: superata la fase iniziale, che quasi dappertutto è stata difficile, oggi sono in ripresa, ma i loro frutti sono limitati, per la poca fiducia che a volte riscuotono presso sacerdoti e laici. Eppure non si vedono altri strumenti così significativi, nel contesto socio-religioso attuale, per dare la parola a tutta la Chiesa»[9].
Note al testo
[1] Storia della Chiesa. XXV/2. La Chiesa del Vaticano II (1958-1978), a cura di M. GUASCO, E. GUERRIERO, F. TRANIELLO, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994.
[2] Cfr. V. ROBLES, Il postconcilio a Bari (1960-1978), in La Rivista del Clero Italiano LXXII (1991) 116. II Consiglio pastorale diocesano di Bari fu uno dei primi istituiti in Italia (il decreto di istituzione porta la data del 6 gennaio 1965).
[3] Cfr. E. BIANCHI, La diocesi di Torino e l'episcopato di M. Pellegrino, in Chiese italiane e Concilio, a cura di G. ALBERIGO, Marietti, Genova 1988, 74-79.
[4] Cfr. A. NIERO, Il postconcilio nel patriarcato di Venezia, in La Rivista del Clero Italiano LXXI (1990)18-36.
[5] Cfr. A. GIOVAGNOLI, Il postconcilio a Napoli, in La Rivista del Clero Italiano LXXII (1991) 587-600.
[6] Cfr. G. FORMIGONI, Il postconcilio a Milano (1963-1980), in La Rivista del Clero Italiano LXXII (1991)273-294.
[7] G. VECCHIO, I laici nella vita della Chiesa, in Storia della Chiesa. XXV/2, 86-87.
[8] Ivi, 88.
[9] CEI, Evangelizzazione del mondo contemporaneo, in ECEI/2 (1973-1979), 381.