Creativi nell’annuncio, di Andrea Lonardo [Un commento al discorso di papa Francesco all’Ufficio catechistico della CEI per il 60esimo dell’istituzione]
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo pubblicato su L’Osservatore Romano del 4/2/2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Educazione e tempo libero.
Il Centro culturale Gli scritti (14/2/2021)
Nel linguaggio ecclesiale degli anni ‘70 il kerygma precedeva la catechesi: il vecchio schema prevedeva che una persona ricevesse da persone diverse dai catechisti - ad esempio dai genitori o dalla scuola - l’annuncio, per iniziare poi la catechesi, pensata come approfondimento sistematico.
Papa Francesco, parlando all’Ufficio Catechistico della CEI, ha proposto tutta la novità della prospettiva di Evangelii Gaudium. È la catechesi stessa che deve essere kerygmatica. Ha subito affermato, infatti: «I primi protagonisti della catechesi sono i catechisti, messaggeri del Vangelo, spesso laici, che si mettono in gioco con generosità per condividere la bellezza di aver incontrato Gesù».
Chiunque si occupa di catechesi ha oggi nettissima la percezione che, all’inizio di ogni cammino di catechesi, è come se le persone ascoltassero per la prima volta la novità cristiana. Assumere un atteggiamento kerygmatico vuol dire allora scrollarsi di dosso quell’atteggiamento di lamentela verso coloro che non avrebbero trasmesso il Vangelo e scoprire la gioia di essere i primi ad avere questo compito.
Ecco perché papa Francesco ha poi insistito sul fatto che deve risuonare innanzitutto nel suo calore, nella sua freschezza, il cuore dell’annuncio: «Il cuore del mistero è il kerygma, e il kerygma è una persona: Gesù Cristo». Tanti, a motivo della cultura post-moderna, identificano la fede con un complesso di regole morali, con lo studio di un Libro Sacro o con la conoscenza dei diversi dogmi.
No, papa Francesco restituisce alla catechesi il compito, innanzitutto, di annunciare che è il Cristo la Parola definitiva: nel Bambino Gesù e nel Crocifisso risorto, Dio si è fatto vicino e ha mostrato la sua misericordia. È a partire da Lui che acquistano senso il bene morale, i libri biblici e i dogmi cristiani.
Forse la catechesi dovrebbe accorgersi che l’eccessiva preoccupazione per le attività le fanno perdere freschezza e la rendono infantile: una serie infinita di quiz, di cruciverba, di attività di gruppo, prendono il posto della bellezza e della serietà della conoscenza del Signore.
Abbiamo bisogno - afferma il papa - dell’incontro con l’esperienza di chi ha incontrato il Signore: «Non c’è vera catechesi senza la testimonianza di uomini e donne in carne e ossa. Chi di noi non ricorda almeno uno dei suoi catechisti? Io lo ricordo: ricordo la suora che mi ha preparato alla prima Comunione e mi ha fatto tanto bene».
Ed ecco anche una nuova concezione della mistagogia che papa Francesco propone. Mentre essa era vista un tempo come tappa successiva alla catechesi - prima il kerygma, poi la catechesi, poi la mistagogia - ecco che essa diviene parte integrante della catechesi, perché essa sola permette di fare vera esperienza del “mistero” di Cristo presente oggi nella storia: «La catechesi è anche un percorso mistagogico, che avanza in costante dialogo con la liturgia, ambito in cui risplendono simboli che, senza imporsi, parlano alla vita e la segnano con l’impronta della grazia».
I catechisti si rendono oggi sempre più conto di quanto sia falsa l’affermazione che i bambini si allontanano dalla comunità dopo aver ricevuto i sacramenti: le famiglie, infatti, si allontanano dalla Chiesa già alla prima domenica di giugno del primo anno di cammino! Solo quando la liturgia diviene l’asse portante, anche d’estate, anche in occasione degli oratori estivi, l’esperienza della domenica come giorno del Signore viene assaporata appieno.
Nel secondo punto del suo intervento il papa ha poi provocato i catechisti e gli esperti a riscoprire come la catechesi conquisti i cuori non solo a motivo del kerygma, ma anche per la luce che getta sulle situazioni in cui l’uomo vive: «Come nel dopo-Concilio la Chiesa italiana è stata pronta e capace nell’accogliere i segni e la sensibilità dei tempi, così anche oggi è chiamata ad offrire una catechesi rinnovata, che ispiri ogni ambito della pastorale: carità, liturgia, famiglia, cultura, vita sociale, economia. La catechesi è così un’avventura straordinaria: come “avanguardia della Chiesa” ha il compito di leggere i segni dei tempi».
È una forte provocazione anche questa. Quanta catechesi dei giovani non tocca il tema della scuola o del lavoro futuro o della famiglia o del piacere. Quanta catechesi non spinge a scelte anche personali di sobrietà e di condivisione del proprio tempo e denaro con chi ha bisogno! Quanto è importante avere catechisti sposati e ricchi di figli così come testimonianze di lavoro nel cammino della catechesi, perché solo tramite tali persone ci si incontra con la viva vita che nasce dal Vangelo!
Papa Francesco, insomma, insiste sulla dimensione sociale della catechesi, perché essa non è un’appendice al Vangelo, bensì ne è parte costitutiva.
Infine papa Francesco ha insistito, nella terza parte del suo discorso, sul carattere popolare della catechesi: «Non è il momento per strategie elitarie. Qual è la grande comunità? Il santo popolo fedele di Dio. Invece, cercare appartenenze elitarie ti allontana dal popolo di Dio, forse con formule sofisticate, ma tu perdi quell’appartenenza alla Chiesa che è il santo popolo fedele di Dio».
Già al Convegno di Firenze il papa aveva ricordato figure di santi e personaggi di fantasia, come quella di don Camillo nella saga con Peppone, che mostrano cosa sia l’essere totalmente immersi nella vita della gente.
E nel discorso ha insistito: «La vera fede va trasmessa in dialetto. I catechisti devono imparare a trasmetterla in dialetto, cioè quella lingua che viene dal cuore, che è nata, che è proprio la più familiare, la più vicina a tutti. Se non c’è il dialetto, la fede non è tramessa totalmente e bene».
È evidente come il papa inviti tutti a non confidare troppo nelle metodologie catechetiche e nemmeno in una catechesi che si rivolga solo a gruppi scelti di cristiani più formati, trascurando la benevolenza per la gente, così come essa è.
Uno dei tratti che la catechesi italiana ha sempre avuto e che il papa invita a mantenere è così proprio quello di essere aperta a tutti, felice della presenza di tutti, anche di coloro che non hanno una fede matura.
Forse è proprio per questo che l’esperienza dell’Iniziazione cristiana è quella più capace di accogliere tutti e di evangelizzare così i nuovi adulti, le giovani famiglie, offrendo in tal modo anche un servizio all’intera società - «una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza»: niente come tale esperienza è così larga e diffusa ed incontra un numero così grande, straordinariamente grande, di persone, anche in tempo di Covid. Questa dimensione popolare non implica, come si è detto, che si dimentichino il kerygma e la conversione, ma ricorda come non si debba mai perdere uno sguardo comunitario ampio.
Forse è proprio per questo che il papa ha terminato parlando del futuro Sinodo della Chiesa italiana: proprio i catechisti sono abituati a confrontarsi continuamente, a discutere e a rinnovarsi, e l’esperienza della catechesi darà certamente un contributo al futuro cammino sinodale della Chiesa italiana.