1/ I classici vanno cancellati o purgati, perché non condividono il gender, l’uguaglianza delle culture e delle religioni o il politicamente corretto? Una questione decisiva per il futuro della scuola e della cultura, di Andrea Lonardo 2/ Ma Chaucer era razzista? Al bando la letteratura, di David Nieri 3/ La tirannia dei moralisti. Shakespeare è misogino e razzista, “Il grande Gatsby” va letto “con lenti queer”. Un progetto internet (appoggiato da una delle più grandi aziende editoriali al mondo) disintegra il canone occidentale. E tutti stanno zitti (da L'Intellettuale Dissidente)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 14 /02 /2021 - 15:11 pm | Permalink | Homepage
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1/ I classici vanno cancellati o purgati, perché non condividono il gender, l’uguaglianza delle culture e delle religioni o il politicamente corretto? Una questione decisiva per il futuro della scuola e della cultura, di Andrea Lonardo

Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Educazione e scuola, Università e Letteratura.

Il Centro culturale Gli scritti (14/2/2021)

La querelle sui classici, con scuole, università, intellighenzia e ministri che si propongono di tagliare ora quell’autore, ora questo, dimostra innanzitutto quanto conti il passato.

Non è vero che ciò che conta è innanzitutto il futuro. Conta anche il passato. Perché il futuro è determinato dall’esperienza del passato, da ciò che ci è stato trasmesso, da quel patrimonio di esperienza, senza il quale ci troveremmo a ricominciare come da zero, impreparati.

Il futuro è determinato dal giudizio sull’esperienza del passato e chi intende proporre la sua idea di futuro, cerca di cancellare tutto ciò che dell’esperienza del passato “presenta” ipotesi diverse di vita.

Il rapporto con il passato ha a che fare con la vita, quella stessa vita che fisicamente le famiglie delle precedenti generazioni ci hanno trasmesso. Esiste una riconoscenza per ciò che gli uomini hanno fatto nei millenni e si tratta di comprendere il futuro giudicando se l’operato dei nostri nonni sia stato buono o cattivo, giudicando se conferire agli anziani un valore o se gettare a mare la storia e ricominciare da zero.

Ecco perché è pericolosissimo per il futuro l’attacco che viene fatto ai classici dalla cosiddetta cancel culture che pretende di “cancellare” appunto gli autori e i testi antichi: questo voler cancellare è la prova che siamo dinanzi al pensiero “unico” di parte dell’intellighenzia moderna.

Nel presentare alcuni testi sulla questione, desidero proporre tre notazioni introduttorie.

1/ Innanzitutto intendo sottolineare la serietà della questione e porre in luce ciò che essa nasconde. Il persistente attacco ai classici non è nuovo – per certi versi è erede del sessantotto con la sua lotta contro i padri e la tradizione -, ma è oggi portato avanti con determinazione, con intere Università che propongono di eliminare le Lettere classiche o di ridimensionare Dante o di cancellare Shakespeare e Ministri della Pubblica Istruzione che le seguono, proponendo agli studenti solo testi all inclusive.

Tale insistenza planetaria mostra chiaramente, in via indiretta, che quegli autori e quei testi sono classici appunto e che valgono tanto, altrimenti non ci si scaglierebbe contro di loro.

Proprio contestandoli, insomma, se ne riconosce l’importanza e, opponendosi ad essi, si lascia intendere che tutto cambia se gli si dà spazio!

Quei testi sono classici perché trattano di ciò che gli uomini di culture diversissime hanno amato e ritenuto fondamentali nei secoli ed è proprio questa damnatio memoriae che mostra che il pensiero che pretende di essere aperto e tollerante vuole invece proporsi come unico ed escludente.

2/ In secondo luogo ciò che deve essere messo in luce è il moralismo, anche se ben dissimulato, e il perfezionismo dei teorici della cancel culture (sarebbe meglio dire della cancel non culture o della cancel ignorance).

Essi non si accorgono nemmeno di pretendere dai viventi e dai defunti un moralismo ed un perfezionismo assurdi. Predicano da anni che bisogna abbandonare ogni idea di perfezione – dimenticando che questo  esattamente ciò che hanno insegnato quei classici – e cioè che ognuno deve essere se stesso, che non esistono santi, ma solo peccatori, eppure al minimo indizio di imperfezione in questi testi ecco che l’intellighenzia pretende di cancellare quei meravigliosi testi di uomini imperfetti che, qui o là nei loro scritti, hanno affermato cose che oggi essi ritengono non accettabili.

I classici invece attestano che esiste la grandezza anche se gli uomini che la indicano hanno qualche elemento discutibile. Parrebbe assurdo, ma la cancel culture pretende che in ogni uomo e in ogni opera non esista limite alcuno, al punto che la “debolezza” di cui li imputano renderebbe quegli autori e quelle opere non meritevoli di essere ascoltate.

Il perfezionismo e il moralismo della moderna critica letteraria fa sì che solo le opere noiose e banali, che non toccano nessuna questione vitale, siano accettabili, proprio perché neutre, incolori, insignificanti.

3/ Infine, si deve sottolineare un punto che mostra come l’attacco ai classici sia funzionale ad un pensiero unico e per niente aperto e includente. Infatti, la cancel culture è tale sono contro alcuni autori, non contro ogni autore che non rispecchi i dogmi moderni, come quello del gender o quello che asserisce che le diverse culture debbano essere egualitariamente considerate, senza mai preferire qualcosa a qualcos’altro.

Poiché la stessa cancel culture ha autori preferiti e autori verso i quali è intollerante, ecco che il presunto peccato, ad esempio, di razzismo o di mancanza di egualitarismo gender, serve a cancellare alcuni e non altri che conservano nei loro scritti gi stessi tratti.

Guai a dire, ad esempio, che erano razzisti o non egualitari Voltaire o Darwin o che Freud riteneva che esistessero una infinità di modi di vivere la sessualità immaturamente, perché un errato inconscio aveva fatto sì che la persona si arrestasse allo stadio anale o orale. Guai ad eliminare Nietzsche o il Rinascimento.

La cancel culture non attacca Voltaire o Darwin o Freud o Nietzsche o il Rinascimento, benché essi siano ben più razzisti di Dante o Shakespeare. Questo perché esistono autori che non piacciono all’intellighenzia e in quegli autori si cercano occasioni per contestarli, mentre altri che piacciono all’intellighenzia non vengono filtrati con un rigore analogo.

La cancel culture è intollerante e tirannica, paurosa della differenza e della varietà rappresentata dai classici; pretende di usare arbitrariamente dei propri dogmi per eliminare libri ed autori che non le piacciono e conservare autori e libri che hanno gli stessi “difetti”, ma che ritiene graditi.

Insomma la censura e l’inquisizione tanto condannate dall’intellighenzia non sono lontane reminiscenze: oggi è l’intellighenzia ad esser la censura e l’inquisizione.

Ma non glielo dite, perché non gradirebbe.

2/ Ma Chaucer era razzista? Al bando la letteratura, di David Nieri

Riprendiamo sul nostro sito da Minima Cardiniana un articolo di David Nieri (https://www.francocardini.it/minima-cardiniana-312-0/), pubblicato il 31/1/2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Educazione e scuola, Università e Letteratura.

Il Centro culturale Gli scritti (14/2/2021)

Si tratta di una notizia di questi giorni. L’Università di Leicester sta pensando di sostituire le opere di Geoffrey Chaucer, John Milton, John Donne, Christopher Marlowe e tanti altri colleghi di penna con programmi e corsi orientati a fornire un’educazione e una preparazione riviste e corrette secondo i canoni della modernità.

Il Dipartimento di Inglese dell’Università di Leicester, infatti, seguendo le disposizioni dell’amministrazione universitaria, ha deciso di escludere dal percorso di studio alcuni classici della letteratura a vantaggio di testi maggiormente in linea con le “aspettative” degli studenti.

Il passaggio di consegne prevederebbe l’esclusione, ad esempio, di The Canterbury Tales e Beowulf, insieme a molti altri testi di letteratura medievale.

Le autorità universitarie e gli stessi insegnanti hanno giustificato tale scelta con l’esigenza di modernizzare i piani di studio rendendoli più adeguati alla sensibilità e alle prospettive degli studenti di letteratura inglese. Queste sarebbero le motivazioni che l’Università di Leicester avrebbe addotto dopo che alcune illazioni – ma sono davvero tali? – avevano prospettato, nei giorni immediatamente precedenti, qualcosa di diverso. Ovvero, una sorta di “rogo virtuale” per far largo a un curriculum “decolonizzato” e a testi politicamente corretti che escludano dal loro orizzonte il “guardo” rispetto alla siepe dell’omologazione. Chaucer, secondo queste illazioni, sarebbe eccessivamente “filobianco”. Non si salverebbero Milton e il suo Paradiso perduto, ma anche il bardo per eccellenza, ovvero William Shakespeare, verrebbe vivisezionato (oppure “mondato” delle sue deviazioni “razziste”? Mi aspetterei, in tal senso, un taglio immediato de Il mercante di Venezia).

Troppa “diversity”? Una spiegazione convincente, almeno al momento e spulciando i quotidiani inglesi, ancora non c’è stata. E se a pensar male si fa peccato, qualche volta non è difficile azzeccarci: prova ne sia la furia iconoclasta che ha causato, nei mesi scorsi, qualche amputazione o menomazione alle statue di alcuni protagonisti della storia accusati di razzismo, omofobia, sterminio, genocidio. Motivazioni spesso non prive di fondamento ma decisamente fuori tempo massimo e non contestualizzate rispetto all’epoca storica di riferimento. Con gli inevitabili eccessi dettati talvolta dall’ignoranza e da un sistema educativo – a livello globale – ormai ostaggio senza diritto di riscatto dell’unico pensiero dominante.

Il tentativo di cancellare la storia e, insieme, i suoi errori rischia di generare l’effetto opposto, ovvero una cronica incapacità di scendere a patti con il proprio passato, dunque di farne tesoro. Sembra che lo stesso destino rischi di contaminare anche la letteratura e le diverse forme di arte popolare (il cinema, la musica), già seriamente depauperate dalla political correctness ormai imperante a tutti i livelli. La censura retroattiva non ha risparmiato, solo per limitarsi alle ultime settimane, un film come Grease (sessista), Omero (razzista), fino a una nota marca di pasta italiana (fascista). Non esiste, dunque, un angolo della nostra vita in cui la mannaia della riprovazione non abbia mietuto le sue vittime.

Veniamo ai “classici” rimossi dai piani di studio dell’Università di Leicester. Se si chiamano classici, significa innanzitutto che il tempo (spesso diversi secoli) non ne ha compromesso il valore e l’universalità. Decidere, sulla base di motivazioni discutibili e arbitrarie, di eliminare alcuni testi (straordinari) dai piani di studio significa negare agli studenti la possibilità di misurarsi con opere magistrali, frutto del genio dei loro autori. Opere ancora attualissime, modernissime e allo stesso tempo perfetta espressione del loro tempo e che al loro tempo rimandano. Con i se e i ma del caso. Quali sarebbero, secondo le disposizioni di Leicester, i testi da salvare e quali da escludere? Sulla base di quali parametri? Pochi sono i capolavori che si salverebbero, se si usasse il metro di una modernità che ormai sembra uscita dalla penna di Orwell (magari eliminiamo anche lui). Prendendo a riferimento il criterio di giudizio del politicamente corretto, limitandoci esclusivamente alla letteratura inglese e facendo un salto nel Novecento, toglieremmo per esempio Joyce (ci sono tracce di antisemitismo ben evidenti nel suo Ulisse) e cancelleremmo Hardy (Alec stupra Tess ed è evidentemente sessista); pure Dickens sarebbe da biasimare per i suoi strali all’indirizzo della neonata civiltà industriale, artefice e levatrice delle magnifiche nostre sorti; attenzione, poi, a non prendere alla lettera Jonathan Swift (sì, quello di Gulliver e dei suoi viaggi) e la sua “modesta proposta” per contenere il vertiginoso aumento della popolazione facendo mangiare ai ricchi i bambini dei poveri. E Kipling, quel colonialista razzista cantore dell’imperialismo britannico? Be’, c’è da dire che su di lui la scure è già calata, visto che qualche anno fa un collettivo di studenti ha sfregiato il testo dei versi forse più celebri del poeta vittoriano, quelli di “If”, affissi nel campus dell’Università di Manchester.

Da ex studente e in possesso di una modestissima laurea in letteratura inglese, mi piacerebbe che da Leicester giungessero motivazioni plausibili, contestualizzate e precise. Si potrebbe dissentire, magari essere (parzialmente) d’accordo, ma a giudizio del sottoscritto lo studio di quella straordinaria cultura letteraria non può assolutamente prescindere, per esempio, da Chaucer. A fare le spese di questo “filtro” educativo sarebbero le nuove generazioni: togliere The Canterbury Tales agli studenti inglesi sarebbe come bandire, qui da noi, Boccaccio. Già, Boccaccio, tornato prepotentemente di moda durante la pandemia. Chissà perché.

3/ La tirannia dei moralisti. Shakespeare è misogino e razzista, “Il grande Gatsby” va letto “con lenti queer”. Un progetto internet (appoggiato da una delle più grandi aziende editoriali al mondo) disintegra il canone occidentale. E tutti stanno zitti (da L'Intellettuale Dissidente)

Riprendiamo sul nostro sito dai post su FB de L'Intellettuale Dissidente un articolo redazionale, pubblicato il 6/2/2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Educazione e scuola, Università e Letteratura.

Il Centro culturale Gli scritti (14/2/2021)

La rivoluzione, ora, si fa con i sorrisi, l’adempimento del senso di colpa, le mitragliate perbeniste, l’accademia inchinata. Coccolosa. Onesta. Spietata. Questo è il nuovo volto della rivoluzione. “DisruptTexts” è inquietante fin dal titolo. In effetti, “DisruptTexts” è il caterpillar del canone, l’ultima – velenosa, pervasiva – avanguardia per disintegrare la letteratura occidentale. Disrupt significa, in effetti, sconvolgere, distruggere, rompere – e non c’è nulla di sublime in questo esercizio di rovina. Bonificare, sarebbe la parola adatta. “DisruptTexts”, così si descrivono, “è un progetto per insegnanti e di insegnanti teso a sfidare il canone tradizionale, al fine di creare un programma di studi più inclusivo, rappresentativo, equo”. Tutto bello, coccoloso, esatto. Il problema è che non si intende insegnare la lettura come avventura verso l’insolito, l’ignoto, il perturbante; si consigliano alcuni libri – cioè: alcune vie educative – abolendo gli altri. È la tratta dell’ovvio, il perbenismo eretto a formula scolastica. Il politicamente corretto – ciò che appare giusto per il bene di tutti – prende le forme di una vendetta contro la coercizione estetica (e quindi etica) occidentale.

Il programma “DisruptTexts”, l’utopia dove tutti non sono buoni ma obbedienti, prevede che “essere alfabetizzati, oggi, significhi sviluppare empatia verso la diversità”, che “l’analisi critica dei testi aiuti gli studenti a diventare pensatori più forti”, che “il ‘canone tradizionale’, a tutti i livelli d’istruzione, ha escluso le voci e le ricche eredità letterarie della comunità di colore”. Insomma: è la ribalta della rivalsa, dietro il velo delle buone intenzioni. Nessuno, in effetti, vieta l’esercizio critico – è Giacomo Leopardi, duecento anni fa, a insegnarci che i ‘classici’ vanno costantemente sfidati, denudati, ulcerati – né censura la letteratura di altri paesi (Wole Soyinka ha ottenuto il Nobel nel 1986; Il crollo di Chinua Achebe, libro che segna un’epoca, esce nel 1958; Invisible Man di Ralph Ellison, romanzo capitale, esce nel 1952 e l’anno dopo vince il National Book Award, mica vaga nei reflui del samidzdat, battendo autentici bastardi occidentali come Hemingway e Steinbeck): da qui a massacrare i grandi, però, c’è un salto triplo che fa venire i conati di vomito.

Per intenderci, ecco cosa scrivono di Shakespeare: “Crediamo che Shakespeare abbia meriti letterari non diversi da qualsiasi altro drammaturgo. Non è più universale di altri. Non è senza tempo più di altri… Nel complesso, pensiamo che si insegni troppo Shakespeare nelle scuole, che questo autore sia erroneamente messo sul piedistallo come un esempio… Dobbiamo considerare la violenza, la misoginia e il razzismo che incontriamo nei testi shakespeariani: perché i nostri studenti costruiscano una società migliore, devono aprire la mente a voci che celebrano vite emarginate”.

Si dirà: chissenefrega di un sito qualunque e di qualche svagato: l’Occidente che divora se stesso, figura arcana e suicidale, affascina, e quando sarà fatto a pezzi ne rimpiangeremo le bulimiche vestigia, l’implacabile fame, l’impeccabile crudeltà. È destino dell’Occidente tramontare in un guaito. Eppure. L’azione di “DisruptTexts” è pervasiva, onnivora, letale: costruiscono antologie scolastiche e manuali con l’avallo e la sponsorizzazione di Penguin Random House, la più grande azienda editoriale del mondo anglofono. Invadono le scuole, seducono gli insegnanti, modellano secondo la propria ideologia i già straziati programmi scolastici. Per altro, hanno pure uno store dove vendono maglie, maglioni, tazze e sporte griffate “DisruptTexts”. Il moralismo paga, evidentemente.