Ma quale Averroé? I monaci di Mont Saint-Michel diffusero la filosofia classica, di Andrea Bennegi
Riprendiamo sul nostro sito da Il Sussidiario del 10/3/2009 una recensione di Andrea Bennegi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Filosofia medioevale e Il Basso Medioevo, oltre che Storia dell’Islam.
Il Centro culturale Gli scritti (17/1/2021)
Sylvain Gouguenheim, medievista all’École Normale Supérieure di Lione, ha recentemente pubblicato un libro (Aristotele contro Averroè. Come Cristianesimo e Islam salvarono il pensiero greco) che ha scatenato un’accesa polemica sia in patria che in Italia.
In buona sostanza, le posizioni dello storico francese invitano a considerare con maggiore ponderatezza il debito dell’Europa medievale nei confronti della vicina cultura araba. Partendo da una serie di riflessioni ed evidenze storiche, Gougenheim ha ritenuto possibile impugnare e confutare l’ipotesi che l’Europa debba esclusivamente al mondo islamico la conoscenza di Aristotele e dunque la nascita del proprio pensiero filosofico.
Non si tratta, è chiaro, di un problema secondario. Come ricorda l’autore, dietro alla teoria del “debito dell’Europa” sta la convinzione che l’Occidente medievale sia uscito dalla barbarie e dalla rozzezza culturale solo grazie all’apporto benefico degli arabi. «Tutto l’Occidente nel suo insieme è stato edificato sull’innegabile apporto dell’islam […]. È grazie ai pensatori arabi che l’Europa ha conosciuto il razionalismo» (Zeinab Abdel Aziz).
Al centro del dibattito è dunque il cuore dell’identità culturale europea. L’odierna interpretazione afferma che i pensatori medievali siano riusciti ad impossessarsi delle principali opere di Aristotele solo quando – a seguito della conquista cristiana della Spagna – cominciarono a circolarne le traduzioni dall’arabo. La risposta di Gouguenheim si articola sostanzialmente su tre argomentazioni: la ricerca del sapere greco autonomamente promossa dagli europei, il ruolo di Mont-Saint-Michel nella diffusione delle opere aristoteliche prima degli esiti della Reconquista, il rapporto tra islam e filosofia.
Procediamo con ordine. Non è vero, sostiene lo storico, che le vie attraverso le quali Aristotele giunse in Europa siano passate necessariamente dall’Islam. Gli Europei non smisero mai di interrogarsi sul pensiero greco, né avrebbero potuto farlo: l’apporto greco al pensiero cristiano ed il perdurare della tradizione greca all’interno del mondo bizantino (sempre in fecondo contatto con la civiltà medievale europea) costringevano l’Occidente ad un serrato confronto. Dall’attivissimo cantiere intellettuale di Antiochia, ad esempio, giungevano continuamente opere di pensatori e filosofi greci. L’Europa ha dunque cercato consapevolmente i testi greci, senza dover aspettare che gli arrivassero fatalmente in dono dagli arabi. Tra questi testi, vi furono certamente gli scritti di Aristotele.
Lo provano, tra gli altri, i manoscritti prodotti a Mont-Saint-Michel (non a caso il titolo originale del libro è Aristote au Mont-Saint-Michel). Nello scriptorium dell’antica abbazia, verso la prima metà del XII secolo, le opere del grande filosofo furono infatti tradotte direttamente dal greco ad opera dei monaci copisti. Non conosciamo il loro nome, ad eccezione dell’italiano – ma educato a Costantinopoli e perciò grecofono – Giacomo Veneto. A lui dobbiamo la trascrizione della Fisica, della Metafisica e degli Analitici secondi, allora sconosciuti in Europa. Il nodo del dibattito accademico suscitato da Gougenheim ruota soprattutto intorno all’attività di Giacomo, avviata molto prima che da Toledo giungessero le trascrizioni dall’arabo. È una semplice questione di date, sottolinea Gouguenheim: Giacomo ha cominciato le traduzioni prima del 1127 e le ha proseguite fino alla morte (1145-1150); Gerardo da Cremona – colui che per primo tradusse Aristotele dall’arabo – ha iniziato le sue dopo il 1165 (traduce la Fisica nel 1187, esattamente quarant’anni dopo il monaco italiano dell’abbazia normanna). Il punto è fondamentale, poiché Giacomo Veneto ed i suoi compagni benedettini – e non più gli arabi – diventano così «l’anello mancante nella storia del passaggio della filosofia aristotelica dal mondo greco al mondo latino». Le traduzioni del Mont-Saint-Michel ebbero fin da subito una diffusione vastissima: se ne trovano copie a Bologna, a Chartres, ad Oxford. Grazie ad esse le maggiori figure del mondo occidentale hanno avuto accesso ai testi di Aristotele. E con quale immenso profitto, rispetto ai tentativi messi in atto dagli arabi.
Qui giace infatti il terzo fattore considerato dallo storico: gli arabi – egli dice – presero dai greci solo quello che ritenevano utile, senza tuttavia assimilarne lo spirito. La filosofia, per l’Islam, fu quindi semplicemente una “somma di conoscenze”, senza mai diventare un “problema”. In Occidente il confronto fu del tutto diverso. Davanti ad Aristotele, i teologi medievali – avvezzi ad una cultura che si riconosceva radicata nel pensiero greco – seppero interloquire con efficacia, arrivando a modificare e rinnovare la propria concezione del mondo e dello spirito. Perciò, secondo la teoria di Gouguenheim, non solo l’Europa guadagnò Aristotele in assoluta autonomia rispetto all’islam, ma seppe anche appropriarsene con una profondità radicale altresì impossibile alla sensibilità coranica.