I due grandi periodi di Rinascimento islamico dovuti ai cristiani di Siria, di Samir Khalil Samir
Riprendiamo sul nostro sito da Samir Khalil Samir, La Siria cristiana e il pre-rinascimento nel contesto ottomano, in Da Costantinopoli al Caucaso. Imperi e popoli tra Cristianesimo e Islam LEV-Fondazione Ambrosiana Paolo VI, C. Alzati (dir)-L. Vaccaro (a cura di), Città del Vaticano-Azzate, 2014, pp. 249-274, le pp. 267-273. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Filosofia medioevale e Il Basso Medioevo, oltre che Storia dell’Islam.
Il Centro culturale Gli scritti (17/1/2021)
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5.1. I due Rinascimenti arabi sono largamente dovuti ai cristiani
[…] Nel corso dei quattordici secoli di storia araba-musulmana, due furono i periodi da noi chiamati «Rinascimento». Il primo Rinascimento, la prima Nahdah, ha avuto luogo nel IX-X secolo e il secondo, la Nahdah per eccellenza, ha avuto luogo nel XIX-XX secolo. Questi due periodi, le nostre due Nahdah, sono stati, di fatto, "creati" dai cristiani siriaci.
5.l.a. Il Rinascimento abbasside: l'integrazione dell'ellenismo
Nel IX-X secolo la maggioranza della popolazione nei territori islamici era cristiana, mentre la dominazione politica era musulmana. I demografi storici stimano che la predominanza numerica islamica sia cominciata solo dopo l'anno Mille circa, e che fino a tale data i cristiani costituissero la maggioranza.
Ma va soprattutto sottolineato che la loro cultura «siriaca» era il risultato di una straordinaria e feconda confluenza della cultura greca classica con la cultura greca patristica e la cultura siriaca patristica. Intorno al VI secolo, grazie in particolare al filosofo traduttore Sergio di Reshʼayna (morto a Costantinopoli nel 536)[1], essi avevano tradotto tutto ciò che si conosceva dell'ellenismo: Patone, Aristotele, Alessandro di Afrodise, Ippocrate, Galeno ecc. Le scienze, la medicina, la filosofia erano quasi tutte tradotte in siriaco, e questo alla fine del VI secolo-inizio del VII, con qualche ulteriore appendice nell'VIII.
Quando arrivarono i califfi musulmani e chiesero agli uomini dotti di trasmettere la cultura, nel IX-X secolo il movimento di traduzione ricominciò, stavolta organizzato sistematicamente e sostenuto finanziariamente dai califfi, a partire da al-Maʼmūn (califfo dal 813 al 833)[2], e talvolta anche da qualche privato come i fratelli Banū Mūsā[3]. Così le opere scientifiche, matematiche, astronomiche dei Greci, i due corpus di medicina di Ippocrate e Galeno rielaborati dai posteri, i Summaria Alexandrinorum per la filosofia... tutto venne tradotto in arabo: la filosofia, il platonismo, il neoplatonismo, Filone ecc., ma soprattutto l'aristotelismo.
Tutto questo immenso lavoro creò il grande Rinascimento abbasside, che passò successivamente in Occidente attraverso la Spagna, a partire non prima del Duecento. Quando san Tommaso ripete decine di volte «dicit commentator», intende Averroè (morto nel 1198), ma lo cita solo in quanto commentatore di Aristotele: per confermare le proprie opinioni oppure per opporsi a lui, poiché la traduzione di Aristotele in latino, fatta direttamente dal greco, era già disponibile nel 1100, come ha mostrato Sylvain Gouguenheim[4], suscitando un'immensa polemica - assai ideologica - in Francia[5].
5.1.b. Il Rinascimento moderno: l'integrazione della cultura europea
Il secondo periodo […] ha un denominatore comune costituito dall'incontro tra la cultura arabo-islamica o araba, da una parte, e la cultura occidentale, dall'altra. Come sempre, l’incontro tra due culture diverse, se è recepito positivamente, lontano dal distruggere una delle due, le arricchisce. Nel primo periodo, la cultura diversa era quella greca, cioè occidentale. Nel secondo periodo, all'epoca moderna, era quella europea, incontro che ha dato vita al cosiddetto «Rinascimento» (Nahdah).
Ma quale fu lo strumento di questo Rinascimento e di questa armonia? In entrambi i casi furono i cristiani della Siria. Il contributo dei Copti fu quasi inesistente, perché il pensiero copto alto-medievale aveva una connotazione più popolare, più legato a leggende (gli apocrifi e l'agiografia) e più spirituale: in sintesi, era un altro tipo di cultura che non aveva integrato il classicismo, come invece avevano fatto i siriaci.
5.2. Perché il mondo islamico si oppone oggi al mondo occidentale?
Ma la domanda, di fronte alla situazione odierna, è: perché il mondo islamico si oppone al mondo occidentale? perché in un secolo è avvenuto un totale rovesciamento di posizione?
Credo che fino all'inizio dell'Ottocento quella europea fosse ancora una cultura impregnata di cristianesimo e pertanto fosse più accettabile ai musulmani. Oggi la cultura occidentale viene vista dal mondo arabo come atea, immorale, generatrice di una società decadente e, dunque, rappresenta il "nemico".
In tal modo la definì Sayyid Qutb (1906-1966)[6], uno dei capi più influenti dei Fratelli Musulmani. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, tornato in Egitto nel 1950 dopo esser stato in America per più di due anni, diffuse l'idea che l'America e l'Occidente fossero la «neo-jāhiliyyah». Il concetto dì jāhiliyyah (letteralmente «condizione d'ignoranza», cioè «il periodo di non conoscenza di Dio») viene dal Corano, che l'utilizza quattro volte per indicare il periodo pre-islamico[7]. Ma per Sayyid Qutb è un concetto fondamentale, che ha sviluppato nel suo libro Maʻālim fī al-Tarīq (Pietre miliari sulla strada)[8]. Già prima di lui Abū l-Aʻlā Mawdūdi (1903-1979) aveva presentato la modernità come la neo-jāhiliyyah.
Ma il vero fautore del concetto rimane Sayyid Qutb, l'ispiratore di quasi tutti gli estremisti islamici. La jāhiliyyah è l'epoca pre-islamica, quando la gente non conosceva Dio: come nella Bibbia, l'unica vera conoscenza è nel conoscere Dio. Pertanto Sayyid Qutb sosteneva che l'America, considerato come aveva raggiunto «il sommo della conoscenza», fosse in realtà nella vera «ignoranza» (jāhiliyyah), dal momento che non conoscevano più Dio, e che l'Europa fosse addirittura molto meno religiosa dell'America. Sayyid Qutb rappresenta ancora oggi il modello moderno di tutti gli integralisti.
5.3. Riflessione conclusiva
Oggi ci troviamo in un contesto di lotta assoluta, di natura ideologica. C’è un confronto di civilizzazioni. Il monito di Samuel Huntington, malgrado le varie critiche che gli sono state fatte, ha messo in luce una realtà vera: esistono oggi vari modelli di civilizzazioni, che sono in alcuni casi antagonisti.
L'Occidente è spesso visto dal mondo musulmano come una civiltà decadente. E non c'è dubbio che ci sono dei fenomeni di decadenza! Però non c'è dubbio che ci siano anche dei fenomeni evidenti di progresso, non solo tecnologico, ma anche morale. L'affinamento del concetto dei «diritti umani» ne è uno degli aspetti più positivi; l'insistenza sulla libertà della persona e in particolare della coscienza ne è un altro; il rispetto della persona umana e l'affermazione della parità dei diritti tra tutti, uomini e donne, poveri e ricchi, credenti e miscredenti ecc., ne è un altro ancora...
Il mondo musulmano tende a far prevalere la dimensione religiosa su tutte le altre. Per questo esiste da parte degli estremisti musulmani un atteggiamento di lotta ad oltranza contro questa civiltà, vista come pagana, atea, «neo- jāhiliyyah » come dicono. L'unica soluzione possibile è quella adottata dai cristiani siriaci e arabi, nei secoli IX-X o XVIII-XIX: una riforma culturale, non un intervento militare! Ogni altra soluzione non farà che rafforzare e irrigidire ancor di più il mondo islamico.
Si tratta di un doppio cambiamento, una doppia conversione, una vera metanoia profonda di tutti. L'Occidente deve riscoprire i limiti della libertà umana, mentre il mondo islamico deve riscoprire la grandezza della libertà umana. Se l'Occidente deve riscoprire la bellezza della religiosità e il suo contributo a creare una società equilibrata, il mondo islamico deve riscoprire che la religiosità non significa la sottomissione cieca alla Divinità.
Ed io spero che tutti - cristiani e musulmani insieme - ritrovino questo atteggiamento, riscoprano insiemi i valori dell'altro, condividendo con lui i propri valori. Si tratta di creare dei ponti tra Oriente e Occidente, anziché degli scontri. Tale "scontro" però esiste, e non è del tutto ingiustificato; ma quello che è più discutibile è farne un modello inevitabile di convivenza: occorre invece creare una società dove ci sia più comprensione e tolleranza.
La cultura umanistica, che associa l'uomo alla creazione divina, è la strada maestra. Questa cultura è stata adottata dai Padri della Chiesa nei primi secoli, senza che ci sia stata opposizione con la fede cristiana. Questa cultura è stata ripresa dai pensatori cristiani siriaci nel Medioevo, insieme alla loro fede, e trasmessa ai pensatori musulmani e all’élite del mondo musulmano. Questa cultura è stata assimilata dall'intellighenzia musulmana nel Medioevo, facendo dell'islam un modello attrattivo per altre civiltà.
È questa cultura che i cristiani arabi della grande Siria cercano di promuovere oggigiorno, nonostante le correnti estremiste conservatrici: una cultura che unisce fede profonda e libertà umana ragionata.
Note al testo
[1] Dotto sacerdote siriaco, medico, filosofo e astronomo, fu il più grande traduttore dal greco in siriaco. Cfr. tra le numerose pubblicazioni:
a) Anton Baumstark, Lucubrationes Syro-Graecae, in «Jahrbuch für classische Philologie. Supplementband» (Leipzig), 21,1894, pp. 353-524 (in part. 358-384);
b) Gerrit Bos, Yitzhak Tzvi Langermann, The Introduction of Sergius of Rēshʻainā to Galenʼs Commentary on Hippocratesʼ On Nutriment, in «Journal of Semitic Studies», 54 (2009), 1, pp.179-204;
c) David Alan Brafman, The Arabic «De mundo»: An Edition with Translation and Commentary, Ph.D. dissertation, Duke University, Durham (NC) 1985;
d) Sebastian P. Brock, The Earliest Syriac Translation of Porphyryʼs Eisagoge. I, Edition, in «Journal of the Iraq Academy, Syriac Corporation», 12 (1988), pp. 316-366;
e) Sebastian P. Brock, Some Notes on the Syriac Translations of Porphyryʼs Eisagoge, in Mélanges en hommage au professeur et au penseur libanais Farid Jabre, Université Libanaise, Beirut 1989 (Publications de l'Université Libanaise, Section d'études philosophiques et sociales 20), pp. 41-50;
f) Rainer Degen, Galen im Syrischen. Eine Übersicht über die syrische Überlieferung der Werke Galens, in Galen: Problems and Prospects, ed. by Vivian Nutton, Wellcome Institute for the History of Medicine, London 1981, pp.131-166;
g) Emiliano B. Fiori, Dionigi l'Areopagita e l'origenismo siriaco. Edizione critica e studio storico-dottrinale del trattato sui nomi divini nella versione di Sergio di Rešʻainā, Tesi di dottorato all'Università di Bologna, esame finale a. 2010;
h) Emiliano B. Fiori, Elementi evagriani nella traduzione siriaca di Dionigi l'Areopagita: la strategia di Sergio di Rešʻainā, in «Annali di storia dell'esegesi», 27 (2010), 1, pp. 323-332;
i) Emiliano B. Fiori, L'épitomé syriaque du Traité sur les causes du tout d'Alexandre d'Aphrodise attribué à Serge de Rešʻainā, in «Le Muséon», 123 (2010), 1-2, pp. 127-158;
j) Giuseppe Furlani, Contributi alla storia della filosofia greca in Oriente. Testi siriaci, I, in «Rendiconti della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche», s. V, 23 (1914), pp.154-175;
k) Giuseppe Furlani, Sul trattato di Sergio di Reshʼayna circa le categorie, in «Rivista trimestrale di studi filosofici e religiosi», 3 (1922), pp. 135-172;
l) Giuseppe Furlani, Sul trattato di Sergio di Rêshʼainâ sull'universo, in «Rivista trimestrale di studi filosofici e religiosi», 4 (1923), pp. 257-287;
m) Giuseppe Furlani, Sur le stoïcisme de Bardesane d'Édesse, in «Archiv Orientální», 9 (1937), 3, pp.347-352;
n) Antoine Guillaumont, Les «Képhalaia Gnostica» d'Évagre le Pontique et l'histoire de l'origénisme chez les Grecs et chez les Syriens; Éditions du Seuil, Paris 1962 (Patristica Sorbonensia, 5);
o) Jean-Michel Hornus, Le Corpus dionysien en syriaque, in «Parole de l'Orient», l (1970), 1, pp.69-93;
p) Henri Hugonnard-Roche, Aux origines de l'exégèse orientale de la Logique d'Aristote: Sergius de Reshaïna, médecin et philosophe, in «Journal Asiatique», 277,1989, 1-2, pp. 1-17;
q) Henri Hugonnard-Roche, Comme la Cigogne au désert: un prologue de Sergius de Reshʻaina à l’étude de la philosophie aristotélicienne en syriaque, in Langages et philosophie, Hommages à Jean Jolivet, éds. Alain de Libera et alii, Librairie Philosophique J. Vrin, Paris 1997 (Études de philosophie médiévale, 74), pp. 79-97;
r) Henri Hugonnard-Roche, La logique d'Aristote du grec au syriaque: études sur la transmission des textes de l'Organon et leur interprétation philosophique, Vrin, Paris 2004 (questo volume raccoglie molti articoli precedenti dell'autore);
s) Adam McCollum, A Greek and Syriac Index to Sergius of Reshainaʼs Version of the De Mundo, Gorgias Press, Piscataway (NJ) 2009 (Gorgias Handbooks, 12);
t) Dana Miller, Sargis of Rešʻaina: On What the Celestial Bodies Know, in VI Symposium Syriacum. University of Cambridge, Faculty of Divinity, 30 August-2 September 1992, ed. by René Lavenant, Pontificio Istituto Orientale, Roma 1994 (Orientalia Christiana Analecta, 247), pp. 221-233;
u) István Perczel, Sergius of Reshainaʼs Syriac Translation of the Dionysian Corpus: Some Preliminary Remarks, in La diffusione dell'eredità classica nell'età tardo-antica e medievale. Filologia, storia, dottrina. Atti del Seminario nazionale di studio, Napoli-Sorrento, 29-31 ottobre 1998, a cura di Carmela Baffioni, Edizioni dell'Orso, Alessandria 2000, pp. 79-94;
v) Polycarp Sherwood, Sergius of Reshaina and the Syriac versions of the Ps.-Denys, in «Sacris Erudiri», 4 (1952),pp. 174-184;
w) Polycarp Sherwood, Mîmro de Serge de Rešayna sur la vie spirituelle, in «L'Orient Syrien», 5 (1960), pp. 433-459; 6 (1961), pp.95-115 e 121-156.
[2] «Ad al-Maʼmun è attribuito il merito di aver avviato il movimento di traduzione dal greco delle opere scientifiche e filosofiche, con l'istituzione della Bayt al-Hikma [= casa della sapienza], una biblioteca, centro culturale e luogo di incontro per studiosi e traduttori dell'impero. In realtà, le origini del movimento di traduzione sono più antiche, ma al-Maʼmun ha sicuramente attribuito ad esso un'importanza notevole. Il movimento di traduzione serviva, tra le altre cose, a fornire al-Maʼmun degli strumenti ideologici per combattere contro i Bizantini, giudicati così non solo infedeli, ma anche culturalmente inferiori, ottenebrati dall'irrazionalità del Cristianesimo, indegni quindi di considerarsi eredi dei Greci», dalla voce in italiano Al-Maʼmun nel sito «Wikipedia»: http://it.wikipedia.org/wiki/Al-Ma'mun.
[3] I Banū Mūsā sono tre fratelli matematici famosi, figli di Mūsā ibn Shākir, che vivevano a Baghdad nel IX secolo. Lavorarono nella Bayt al-Hikmah e commissionavano traduttori (spesso cristiani celebri) per tradurre dal greco in arabo (talvolta attraverso il siriaco) opere scientifiche greche. Si chiamano Abū Ja'far Muhammad, Ahmad e al-Hasan.
[4] Sylvain Gougenheim, Aristote au Mont Saint-Michel. Les racines grecques de l'Europe chrétienne. Le Seuil, Paris 2008. Traduzione italiana di Sara Arena: Sylvain Gouguenheim, Aristotele contro Averroè. Come Cristianesimo e Islam salvarono il pensiero greco. Rizzoli, Milano 2009 (Saggi stranieri). Si noterà che il titolo italiano è del tutto diverso da quello dell'originale francese, per evitare la controversia suscitata in Francia dal titolo (più che dal contenuto).
[5] Che ci sia stato un influsso del pensiero dei dotti musulmani sull'Occidente medievale, mi sembra chiaro, in particolare in medicina, matematica, astronomia e filosofia. Ma che questo pensiero costituisca una delle radici del pensiero occidentale, mi sembra escluso. C'è una grande differenza tra influsso e radice!
[6] È il più famoso dei Fratelli Musulmani, e oggi il più influente nella linea degli islamisti radicali. Fu messo in prigione più volte, per vari anni, e infine impiccato su ordine del presidente Gamal ʻAbd al-Nasser il 29 agosto 1966. Scrisse in prigione gran parte dei suoi ventiquattro libri, e in particolare il grande commentario al Corano, in trenta volumi, intitolato All'ombra del Corano (Fī Zilāl al-Qur'ān).
[7] Cfr. Corano 3 (Āl- ʻImrān) 154; 5 (al-Māʼidah) 50; 33 (al-Ahzāb) 33; 48 (al-Fath) 26.
[8] Cfr. La tesi di Sayed Khatab, The Political thought of Sayyid Qutb. The Theory of Jahiliyyah, Routledge, London-New York 2006 (Routledge Studies in Political Islam, 2).