1/ E Stalin decimò i kazachi. Un’intervista di Antonio Giuliano a Niccolò Pianciola 2/ Proteste in Kazakistan contro la Festa dell’indipendenza, di Vladimir Rozanskij
1/ E Stalin decimò i kazachi. Un’intervista di Antonio Giuliano a Niccolò Pianciola
Riprendiamo da Avvenire del 26/11/2009 un’intervista di Antonio Giuliano a Niccolò Pianciola. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Il Novecento: il comunismo.
Il Centro culturale Gli scritti (26/1/2021)
Che l’Asia centrale fosse una regione strategica se ne accorsero già i grandi conquistatori del passato, da Alessandro Magno a Gengis Khan. E tuttavia per quest’area geografica non c’è mai stata pace. Sebbene oggi le riserve petrolifere e di gas naturali facciano gola alle potenze mondiali, Paesi come il Kazakistan o l’Uzbekistan scontano tuttora, come pochi altri, le conseguenze del comunismo sovietico.
Dopo anni di ricerche negli archivi ex sovietici, Niccolò Pianciola, docente di Storia dell’Europa orientale all’Università di Trento, ha ricostruito il mosaico di orrori perpetrato da Stalin e compagni nei territori centroasiatici e l’ha illustrato nel documentato volume Stalinismo di frontiera. Colonizzazione agricola, sterminio dei nomadi e costruzione statale in Asia centrale (Viella, pp. 548, euro 40).
Professor Pianciola, perché i kazachi soffrirono più di ogni altra popolazione sovietica la «rivoluzione dall’alto staliniana»?
«Nel biennio 1931-33, quasi 1 milione e mezzo di kazachi (di cui circa tre quarti erano pastori e un quarto agricoltori) morirono durante la grande carestia. Furono vittima della guerra dello stato sovietico contro i contadini per il controllo del grano: i kazachi subirono le requisizioni di grano e divennero l’ultima grande riserva di bestiame dell’Urss. Il prelevamento di bestiame nel 1931 privò i pastori della loro più importante fonte di sussistenza, e la morte di massa iniziò nell’autunno di quell’anno».
Non furono gli ucraini a patire l’esperienza più tragica con l’«Holodomor», (l’uccisione per fame, ndr)?
«Nella carestia morirono un terzo dei kazachi e un quinto degli ucraini. Anche se l’Holodomor ucraino uccise più persone, circa 3,3 milioni di individui. Però in Ucraina, che costituiva il granaio sovietico, la carestia non fu organizzata dallo Stato. Fu l’imprevista conseguenza delle politiche di Stalin. Solo dall’autunno del 1932, la carestia divenne un’arma per costringere i contadini al lavoro nelle fattorie collettive e alla consegna del grano. In Kazakistan, nel periodo 1928-1933, l’attacco alla società rurale rese i sopravvissuti totalmente dipendenti dallo Stato e sancì la definitiva integrazione dei kazachi alle istituzioni sovietiche».
Ma il colonialismo zarista non fu altrettanto repressivo in Asia centrale?
«Il regime zarista fu infinitamente meno aggressivo di quello sovietico nel promuovere trasformazioni economiche e culturali. Era un colonialismo che aveva lasciato in buona parte intatto il sistema sociale e, identificando i locali nella categoria giuridica degli "allogeni", li separava dagli altri sudditi dell’Impero (per la fiscalità o per gli obblighi militari, ad es.). Il sistema sovietico era invece “inclusivo”: le diverse popolazioni dovevano essere acculturate ai valori bolscevichi e questo significava la messa fuori legge di pratiche sociali e culturali radicate, tra cui quelle religiose».
Oggi invece, sul piano religioso, il fondamentalismo islamico è una minaccia per queste aree?
«L’ateismo di stato, e più ancora singoli provvedimenti repressivi come lo sterminio di due generazioni di dotti islamici nel 1937-38, hanno causato l’interruzione per molti anni degli stretti rapporti che univano l’area centroasiatica alle restanti regioni del mondo musulmano. Tuttavia, la diffusione di ideologie e gruppi di impronta fondamentalista non è stata molto significativa negli ultimi vent’anni in Asia Centrale, anche per il successo delle politiche repressive dei governi. Solo in Tajikistan è presente un partito legale che si rifà a un ideologia islamista. Del resto, l’Urss ha avuto successo nel secolarizzare le popolazioni».
Come mai la caduta del Muro di Berlino sembra non sia stata avvertita da queste parti?
«Molto è cambiato, anche se c’è stata una forte continuità della classe politica. Islam Karimov e Nursultan Nazarbaev, attuali presidenti rispettivamente dell’Uzbekistan e del Kazakistan, erano già al potere nelle loro repubbliche sovietiche prima del 1991. Petrolio e gas costituiscono una ricchezza enorme per i governi di questi Stati che sfruttano queste risorse per consolidare un solido sistema clientelare. Dopo la catastrofe demografica, le conseguenze maggiori dello stalinismo sono state di tipo culturale, con la perpetuazione di modelli autoritari di gestione del potere. Senza dimenticare le deportare di intere popolazioni e le trasformazioni del sistema produttivo. La storia di quest’area è ancora poco conosciuta, ma è di grande interesse perché riguarda i totalitarismi europei e il colonialismo, il comunismo e le società islamiche. Senza lo studio dell’esperienza sovietica in questi territori, non si può capire il presente dell’Asia Centrale».
2/ Proteste in Kazakistan contro la Festa dell’indipendenza, di Vladimir Rozanskij
Riprendiamo dal sito Asianews un articolo di Vladimir Rozanskij pubblicato il 17/12/2019. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione L’età contemporanea.
Il Centro culturale Gli scritti (26/1/2021)
Astana (AsiaNews) – I movimenti di opposizione del Kazakistan hanno organizzato ieri in alcune città del Paese delle manifestazioni di protesta non autorizzate che hanno portato anche ad arresti e disordini. Gli organizzatori delle proteste sono l’ex-banchiere e antagonista del regime Mukhtar Ablyazov, fondatore del gruppo “Scelta democratica del Kazakistan” (proibito dal governo), e i capi del movimento “Oyan, Qazaqstan”. Nella capitale Nur-Sultan la polizia ha interrotto un corteo che si stava dirigendo verso la sede del governo, arrestando decine di manifestanti.
Il 16 era la festa del Giorno dell’Indipendenza del Paese, data che coincide con le manifestazioni di massa ad Alma-Ata di 33 anni fa (1986), quando la gioventù kazaka si ribellò alla nomina a capo del Kazakistan sovietico di un fantoccio del Cremlino, Gennadij Kolbin. Ma anche con gli otto anni dagli eventi della città di Zhanaozene nella regione di Mangistau, dove nel 2011 le autorità soffocarono con la violenza uno sciopero degli operai dei pozzi petroliferi, causando la morte di 17 persone. I manifestanti ritengono che il 16 dicembre non debba essere un giorno di festa, ma di memoria e lutto nazionale.
A Nur-Sultan, vicino al monumento alle vittime della carestia del 1932-33, i partecipanti al raduno hanno ricordato le vittime del 1986 e del 2011. Molti hanno espresso la loro indignazione per l’attuale corso sociale ed economico della nazione, che non protegge le fasce più deboli della popolazione; altri hanno chiesto la liberazione dei prigionieri politici. “I veri colpevoli non sono mai stati puniti”, ha dichiarato una superstite degli eventi che ebbero luogo nella città di Tselinograd, poi rinominata Akmola, quindi Astana e quest’anno Nur-Sultan, in onore del “presidente eterno” Nazarbaev, che di fatto continua a controllare il Paese anche dopo le dimissioni da presidente.
Ad Almaty, vicino al monumento all’indipendenza in piazza della Repubblica, si è svolto un corteo non autorizzato del movimento “Oyan, Qazaqstan”. Alcune decine di giovani hanno esposto degli striscioni, con slogan del tipo “Fate strada ai giovani”. Ayna Samatova, esponente del gruppo, ha dichiarato di essere venuta a onorare la memoria delle vittime delle violenze del passato, prendendo da loro ispirazione per ottenere le riforme attese da molti, per fare del Kazakistan una repubblica parlamentare, e non presidenziale e “autocratica”, con l’effettivo ritiro di Nazarbaev dalla politica.
Nella stessa piazza di Almaty, i membri del “Partito democratico del Kazakistan” hanno deposto dei fiori ai piedi del monumento, chiedendo di non consegnare ai cinesi due reclusi di etnia kazaka, Kaster Musakhanuly e Murager Alimuly. Alcuni attivisti sono stati a loro volta fermati dalla polizia. Anche nella città di Shikment è stato arrestato un cittadino locale, Zhaksylyk Kairov, mentre si avvicinava al luogo della deposizione dei fiori davanti alla stele memoriale di Kayrat Ryskulbekov, un partecipante alle proteste del 1986.
La polizia ha arrestato a Karaganda Murat Dzhimbaev, che stava affiggendo un cartello di protesta; ad Almaty è stato fermato anche Rashid Khabibulla, fratello del poeta e dissidente Aron Atabek, che dal 2006 sta scontando una condanna a 18 anni di lager per il cosiddetto “affare di Shaniraksk”: uno scontro con la polizia che stava demolendo le costruzioni illegali erette da alcuni artisti per protesta. A Uralsk è stato arrestato un giornalista, Lukpan Akhmedyarov, portato al distretto di polizia “per essere interrogato sugli eventi”.