1/ Female Matters: «Se usufruite di porno, iniziate a chiedervi sul dolore di chi consumate i vostri orgasmi» 2/ La lezione di Pornhub, costretta a eliminare video su cui ha lucrato per anni, di Simone Cosimi
1/ Female Matters: «Se usufruite di porno, iniziate a chiedervi sul dolore di chi consumate i vostri orgasmi»
Riprendiamo sul nostro sito un post della pagina FB Female Matters pubblicato il 15/12/2020, dopo lo scandalo pubblico di Pornhub. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Educare all’affettività.
Il Centro culturale Gli scritti (3/1/2021)
Se usufruite di porno, iniziate a chiedervi sul dolore di chi consumate i vostri orgasmi. Come femministe, l'unico approccio possibile nei confronti della pornografia è il sabotaggio. Il porno è intessuto di misoginia, ed esiste perché è il corpo femminile ad essere la merce in gioco. Questo deve essere solo l'inizio per un ripensamento dell'industria del sesso nella società, un'industria che non può esistere se si auspica la parità tra maschi e femmine.
2/ La lezione di Pornhub, costretta a eliminare video su cui ha lucrato per anni. L'inchiesta del New York Times travolge il portale. In ballo ci sono identità violate e distrutte in modo devastante, video caricati senza il consenso di chi appare in situazioni a dir poco private e abusi, anche su minori, di Simone Cosimi
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Simone Cosimi pubblicato su Wired il 15/12/2020. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Educare all’affettività.
Il Centro culturale Gli scritti (3/1/2021)
N.B. de Gli scritti L’articolo, pregevole e preciso sotto tanti aspetti, non arriva però a denunciare l’esistenza in sé di un canale progettato a tale scopo.
Milioni di video cancellati nelle ultime ore. Un calo incredibile: da 13,5 milioni di clip presenti domenica sera si è passati ai 4,7 di lunedì mattina. E molti altri verranno eliminati. Dopo una prima esitazione Pornhub ha risposto in questo modo alla recente inchiesta del New York Times che ha denunciato la diffusione sulla piattaforma di contenuti pornografici di video che mostrano abusi sessuali, anche su minori, e di contenuti intimi evidentemente caricati contro ogni consenso. E poi scaricati, rilanciati ancora e mantenuti online per anni nonostante le richieste di rimozione dei diretti interessati. Un’inchiesta, quella firmata da Nicholas Kristof, di vite devastate e di subcultura del predominio e dell’abuso.
(foto: Ethan Miller/Getty Images)
Prima il sito, che non lesina una comunicazione leggera e provocatoria spesso anche in condizioni evitabili, ha provato a limitare la facoltà di caricamento ai soli account verificati, cioè solo a quelli di attrici, attori e case di produzione (nel blog aziendale il gruppo parla di “content partner” e “Model Program”), facendo fuori gli utenti comuni, ed eliminato la possibilità di scaricarli. Poi ha deciso di rendere la prima decisione retroattiva, eliminando i video precedentemente caricati da utenti non verificati, che saranno valutati nelle prossime settimane.
Nell’assumere queste contromisure, legate al timore di perdere la possibilità di elaborare i pagamenti per i piani in abbonamento attraverso i circuiti di Mastercard e Visa, non ha tuttavia rinunciato ad attaccare. Con una scelta degna d’altronde di un monopolista del settore. Non solo per i numeri, che raccontano di 3,5 miliardi di visite al mese (più di colossi come Amazon), ma anche per le dinamiche che in questi anni hanno effettivamente portato MindGeek, la holding canadese dietro Pornhub, a controllare un bel pezzo del mercato del porno, dalla produzione alla distribuzione.
I manager del sito, guidati dal Ceo Feras Antoon, se la prendono con Facebook, Instagram, TikTok, YouTube, Snapchat e Twitter che “devono ancora istituire” la possibilità di caricamento dei contenuti solo da parte di account verificati. Ricordano poi lo sforzo per contrastare i contenuti illegali con dei numeri che si fatica non poco a mettere in rapporto: “Negli ultimi tre anni Facebook ha riportato 84 milioni di casi di materiale relativo ad abusi sessuali sui minori – si legge nella nota – nello stesso periodo, una fondazione indipendente ed esterna come la Watch Foundation ha segnalato 118 incidenti su Pornhub. Sono ancora troppi, ed ecco perché vogliamo prendere ogni contromisura”.
Il confronto non regge. Il punto è che in questi anni – su quel genere di contenuti e soprattutto su quelli intimi diffusi contro ogni consenso incessantemente rigettati in pasto all’utenza – MindGeek ci ha guadagnato, generando traffico e abbonamenti. Senza poter disporre di strumenti ed elementi per valutare, ad esempio, se i protagonisti dei video fossero effettivamente maggiorenni o se quanto veniva immortalato fosse frutto di una messinscena da parte di attori consenzienti, in certi casi di clip effettivamente ai danni di persone sedate e poi violentate o di contenuti privati rilanciati per anni come è accaduto ad alcune delle persone intervistate dal NYTimes. In assenza di questo meccanismo controllo e moderazione semplicemente non hanno funzionato, lasciando in molti casi online materiali di questo tipo.
Contribuendo dunque a costruire un raccapricciante territorio grigio segnato da un’incredibile richiesta che in questi anni ha trovato soddisfazione ed è stato dunque cavalcato senza troppi problemi, da quella come da molte altre piattaforme simili o concorrenti (e certo anche dai social, contro i quali Pornhub si scaglia nella sua difesa, ma che non hanno certo nella pornografia il loro core business). Senza contare che anche nel caso dei contenuti finti che si spacciano per veri e mettono in scena soprusi, umiliazioni, stupri e violenze c’è un problema gigantesco in termini di normalizzazione: nel migliore dei casi si fa spettacolo su odiosi, per quanto ricostruiti, atti criminali, nel peggior di contribuisce a diffonderli, quegli atti criminali. Qualcuno si è mai posto il problema di eliminare almeno il primo rischio, dentro Pornhub?
Insomma MindGeek non può sperare di risolverla buttandola nel caos e spiegando che “nel mondo di oggi, tutte le piattaforme sociali condividono la responsabilità di contrastare i materiali illegali”. Perdendosi per giunta in una contraddizione dicendo di essere nel mirino “non per le nostre policy ma perché siamo una piattaforma di contenuti per adulti”, ricordando che fra chi la accusa ci sono due gruppi che lottano per “l’abolizione della pornografia” e che “per cinquant’anni hanno demonizzato Playboy, l’educazione sessuale, i diritti delle persone LGBTQ e delle donne, oggi tocca a Pornhub”. O sei un social o sei un aggregatore di contenuti a pagamento.
Le scelte compiute vanno nella giusta direzione e segnano una svolta che sarebbe tuttavia dovuta arrivare prima. Non eliminano il problema ma potrebbero finalmente cambiare alcune regole di fondo: su Pornhub non dev’esserci più spazio per contenuti di cui non si conosca l’origine, l’età e il consenso dei soggetti ripresi. Manca inoltre l’assunzione di responsabilità: la piattaforma dovrebbe riconoscere di aver contribuito in questi anni ad alimentare quel territorio grigio fatto di video veri e illegali o di video finti ma spacciati per illegali, creando da una parte enormi danni alle persone e dall’altra alimentando un segmento di contenuti che, come tutti gli altri, hanno aiutato i profitti.
Ma è solo l’inizio: Pornhub dovrebbe per esempio spiegare di quanti moderatori disponga al momento e di quanti vorrà servirsi in futuro, di quali sistemi automatizzati si serva per il controllo, come assegnerà la verifica agli account, se le modifiche varranno su tutte le proprie piattaforme e che genere di obiettivi si ponga sia internamente che per rimediare a ciò a cui ha dato in questi anni ospitalità.