Cos’è il distributismo? Perché Chesterton era distributista?, di Fabio Trevisan

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /12 /2020 - 15:23 pm | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo da La Nuova Bussola Quotidiana un articolo di Fabio Trevisan, pubblicato il 22/12/2020. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Carità e giustizia.

Il Centro culturale Gli scritti (27/12/2020)

“Attualità del Distributismo, proprietà, famiglia, corpi intermedi” è il titolo dell’ultimo numero del Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa, la rivista trimestrale dell’Osservatorio Cardinale Van Thuàn. Protagonista primario di questa corrente di pensiero sociale ed economica, che ancora oggi pochi conoscono, era il grande narratore apologeta Gilbert Keith Chesterton. Ma perché Chesterton era distributista?

Nel 1926 egli pubblicava le sue considerazioni sul Distributismo (la distribuzione della piccola proprietà) nell’opera: “Il profilo della ragionevolezza”. In conformità con l’enciclica Rerum novarum del 1891 di Leone XIII, egli aveva difeso l’inviolabilità della proprietà privata, della famiglia come cellula primaria della società e della centralità, dignità e responsabilità della persona. Sapeva chiaramente, come aveva ammonito Leone XIII, che il social-comunismo era una falsa soluzione al vero problema del capitalismo e della concentrazione della ricchezza: “A quanto pare c’è qualcosa di irritante e bizzarro nel dire che quando il capitale diventa troppo nelle mani di pochi, la cosa giusta da fare è rimetterlo nelle mani di molti”. All’ingiustizia e sopraffazione del capitalismo, delle cui origini aveva parlato in modo preciso l’amico-storico cattolico Hilaire Belloc, non si poteva rispondere con l’abolizione della proprietà privata (e dell’uomo) bolscevica.

A distanza di quasi un secolo da quelle analisi chestertoniane, sembra incredibile che ci troviamo, senza soluzioni, nelle medesime o, forse, peggiori condizioni: “Il capitalismo ha fatto tutto ciò che il socialismo minacciava di fare… ogni qual volta il capitalista diventa un idealista, e soprattutto quando diventa sentimentale, immancabilmente parla come un socialista”. Alludendo all’immagine tratta dai racconti delle Mille e una notte, Chesterton riferiva che al Gran Sultano del Capitalismo erano molto gradite le terribili favole via via raccontate dalle utopie totalitarie, dal social-comunismo all’anarchismo, dal fascismo al nazismo. Con queste favole orribili (basti pensare ai milioni di morti disseminati negli anni dei gulag sovietici e dei lager) il Gran Sultano del Capitalismo conciliava il sonno!

Chesterton era quindi distributista perché pensava che la proposta cattolica distributista fosse l’unica strada possibile per sopprimere il Gran Sultano del Capitalismo (così lo definiva in quello straordinario saggio del 1922: Eugenetica e altri mali), causa di tutte le mortifere favole della modernità. Chesterton denunciava in quegli anni (in quegli anni dove ancora non c’erano i supermercati che noi conosciamo) il bluff dei grandi magazzini: “Credo che il grande negozio sia un pessimo negozio. Lo ritengo pessimo in senso morale e commerciale. Credo che quegli empori giganteschi siano non solo volgari e insolenti, ma anche incompetenti e sgradevoli”.

Egli riteneva che, nonostante la falsa facciata del progresso democratico, nel mondo moderno fossero pochissime le cose ancora libere. I colori naturali erano stati falsati dalle ammiccanti luci artificiali, gli spazi erano stati riempiti dagli invadenti cartelloni pubblicitari e tutto per la cosiddetta “anima commerciale”: “L’iniziativa è dalla parte del nemico. È lui che si è già messo all’opera, e avrà già fatto molto, prima che noi riusciamo ad attivarci, per il semplice fatto che ha i soldi, le macchine, una maggioranza e altri vantaggi… il nemico ha quasi terminato una conquista monopolistica”. Come rispondere, si chiedeva il grande scrittore londinese, a questo terribile disastro?

“Se un uomo desidera un giardino di fiori, pianterà fiori dove può e soprattutto dove contribuiranno al carattere generale di un giardino. Ma i fiori non ricoprono completamente il giardino, lo riempiono solo di colore”. Con questo apologo Chesterton indicava come sarebbe stato necessario riappropriarsi di quel senso comune e di quella buona ragione che avevano i nostri padri quando difendevano la loro terra e le loro tradizioni. Egli rammentava che la proprietà era come un deposito che ci era affidato dalla Provvidenza per il bene comune e che avremmo dovuto, un giorno, render conto a Dio dell’uso che ne avremmo fatto.

Per Chesterton il Gran Sultano del Capitalismo intrecciava la propria rete, la propria ragnatela attorno a tre nozioni disumane e aberranti: impersonalità, irresponsabilità, irreligiosità. Contro la ferocia dissennata della finanziarizzazione dell’economia e dell’omologazione del pensiero bisognava reagire: “Ciò che non va nell’uomo della città moderna è il suo ignorare il perché delle cose; ed è per questo che può essere dominato da demagoghi e despoti. Egli non sa da dove vengono le cose…le menti degli uomini non sono così simili come le automobili, o come i giornali del mattino. In altre parole, non stiamo tirando fuori il meglio degli uomini. E dubito che riusciremo mai a farlo, se prima non interrompiamo questo assordante frastuono di megafoni che copre le loro voci, questo bagliore micidiale di riflettori che smorza i colori della loro carnagione, quest’urlo forte e lamentoso con cui si ripetono banalità che stordiscono e bloccano le loro menti”. Egli ci stava ricordando il monotono e terribile deserto di standardizzazione verso il basso dove stavamo precipitando.

Standardizzazione, omologazione, cosmopolitismo (ora “globalizzazione”): Chesterton denunciò questi orrori anche nei romanzi, basti pensare al Napoleone di Notting Hill del 1903. Era tutto ciò che il Gran Sultano preferiva non sentire, desiderando addormentarsi con qualche favoletta divertente. In quel modo il Capitalismo poteva conciliare e perpetuare il suo lungo sonno.