Appunti sul rapporto fra la new perspective su San Paolo e la third quest su Gesù, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (28/9/2010)
Anania battezza san Paolo (Monreale)
La cosiddetta “terza ricerca su Gesù” (la “third quest”) trae origine dagli studi paolini di Sanders1. Secondo Sanders Paolo presenta solo uno dei tanti volti dell'ebraismo del tempo e la prospettiva paolina non deve essere presa per una fotografia del giudaismo del tempo. In particolare, Sanders vuole che Paolo abbia elaborato un “canone nel canone” dell'Antico Testamento2.
J. D. G. Dunn prosegue queste idee, studiando la figura di Paolo all'interno di questa nuova visione del giudaismo del tempo. Dunn è il primo ad usare la terminologia new perspective, nell'articolo del 1982 The new perspective on Paul. La “nuova prospettiva” cerca di svincolarsi dall'“antica prospettiva” che sarebbe la chiave interpretativa di Paolo utilizzata da Lutero e dai riformatori, incentrata sul conflitto fra Legge e grazia.
Il dibattito era, però, già stato aperto nel 1963 da una famosa conferenza di K. Stendahl, vescovo luterano, che aveva criticato la dottrina luterana classica, denunciando il fatto che si era troppo abituati a leggere Paolo con gli occhi di Lutero3.
Anche per A. Schweitzer la giustificazione era un “cratere secondario” nella teologia paolina. Per lui il centro della teologia paolina era la predicazione ai pagani (cfr. Rm 9-11), non l'aspetto interiore, in senso agostiniano, della giustificazione. Il centro del passaggio paolino – egli sostiene – è il fatto che la storia della salvezza si apre ai pagani, pur comprendendo Israele.
Sanders sostiene, su questa linea, che anche il giudaismo palestinese al tempo di Gesù è una religione “della grazia”. Sempre Sanders ritiene che il giudaismo del I secolo coltivasse una teologia del covental nomism che egli oppone ad una “teologia del merito”. Ma sorge, dinanzi a questa interpretazione, la domanda: chi erano allora gli avversari di Paolo? Questa domanda mostra la fragilità della tesi di Sanders su questo punto.
Dunn sposa nel 1982 gli studi di Sanders. Paolo sarebbe un'espressione di questo giudaismo pluriforme, ma comunque non centrato sulla Legge: egli avrebbe avuto semplicemente come obiettivo che il giudaismo non rimanesse chiuso in se stesso, bensì aprisse la rivelazione di Dio anche all'esterno, anche ai pagani. Secondo Dunn, Paolo non ce l'avrebbe con la Legge, bensì con quelli che egli chiama gli identity markers, cioè i connotati “troppo” ebraici del giudaismo del tempo. Non risolve, però, il problema enorme che si apre una volta ammessa questa posizione: se Dio salva con due diverse vie di salvezza, quella degli ebrei e quella dei pagani, bisogna ammettere che per Paolo ci sono realmente due diverse vie di salvezza molto differenti fra loro. Invece, la vera questione è che il giudaismo dei tempi di Gesù predica sia la grazia che i meriti, sia l'elezione che la retribuzione, in una tensione, però, che non è risolta.
Il giudaismo intertestamentario si poneva non solo il problema dell'“entrare” nell'alleanza, ma anche quella del “rimanere” nell'alleanza; se l'ingresso nell'alleanza avveniva per la grazia, certamente il permanervi era affidato alla Legge.
Dagli studi storici sembra comunque innegabile, contro Dunn e Sanders, che, almeno nella pratica, si cadesse nel legalismo. Fra l'altro se il ruolo della Legge non fosse stato così determinante e se i giudeo-cristiani non avessero ereditato questa centralità della Torah, quali sarebbero stati gli avversari di Paolo? Tutte le tensioni intorno alla figura di Paolo, dentro e fuori la chiesa, non si comprenderebbero più.
Invece, la vera questione è che per Paolo c'è una sola via di salvezza: la giustificazione per fede non serve ad aprire ai pagani, poiché non c'è salvezza per nessuno senza la croce di Cristo.
Sanders e, soprattutto, Räisänen ritengono Gesù più fedele al giudaismo palestinese di Paolo. Mettono, però, in ombra che anche Gesù è molto critico verso i farisei.
La nuova corrente di studi propone di vedere Gesù come un vero osservante della Legge, dove questa sottolineatura viene fatta in senso chiaramente positivo: Gesù sarebbe un profeta morale che ha a cuore che il popolo osservi bene la Legge, la Torah. Il ripristino dell'osservanza della Torah, disattesa dai più, sarebbe il suo messaggio principale.
Per D. Flusser Gesù è un profeta che resta nell'alveo della Legge e, come i profeti, critica il popolo in nome della Legge, invitando tutti ad osservare i comandi di Dio. Si ridimensiona qui, evidentemente, la giustificazione per fede, parallelamente al ridimensionamento dell'identità di Gesù.
Stuhlmacher reagisce giustamente a questa prospettiva ed afferma che la giustificazione rimane il centro del messaggio paolino4. Si muove nella stessa direzione F. Watson che scrive nel 2001 Not the New perspective.
Il libro di Dunn La teologia dell'apostolo Paolo ha passaggi molto buoni, ma nei punti culminanti emerge chiaramente la new perspective5 che, invece, non sembra storicamente fondata. In questo tipo di lettura si esalta, ma in senso diverso da Lutero, la Lettera ai Romani che viene vista come il massimo documento paolino, come il più pacato, trascurando le altre lettere.
La discussione su Paolo ha poi generato la “nuova” riflessione su Gesù, la cosiddetta third quest, a partire dal Jesus Seminar cui dette vita R. W. Funk, anche se il Jesus Seminar è divenuto poi famoso in relazione al nome di J. D. Crossan che ne è stato il principale animatore. Il Jesus Seminar, utilizzando 5 “vangeli” (con l'aggiunta del Vangelo apocrifo di Tommaso) ha cercato di suddividere il materiale evangelico a seconda della sua attendibilità, stabilita per votazioni “democratiche” dei partecipanti al “seminario”. La scelta fu quella di contraddistinguere con quattro colori rosso/rosa/grigio/nero i diversi materiali: venne contrassegnato con il colore “grigio” un testo che trasmetterebbe non le parole, ma il senso della storia di Gesù, mentre venne etichettato come “nero” un episodio solamente tradizionale6.
Alcune correnti della ricerca precedente alla third quest avevano sottolineato il criterio della discontinuità, cioè aveva riconosciuto affidabili soprattutto quegli episodi e quei detti di Gesù che innovavano rispetto all'ebraismo: la third quest si muove su di una via completamente opposta, riconoscendo come fedeli espressioni del Gesù storico tutti quei brani che rispecchiano fedelmente le idee e le prassi del giudaismo del tempo.
Adottando questo criterio ecco che Gesù diviene forzatamente solo un rabbino del tempo, perché tutti i testi che manifestano una rottura con il giudaismo degli inizi del I secolo vengono guardati con sospetto.
Appare evidente come la ricerca storica debba utilizzare congiuntamente i due criteri della discontinuità e della continuità, insieme agli altri che sono stati individuati nel corso degli studi. Si veda su questo E. Manicardi, Criteri di storicità e storia di Gesù oggi, “Rivista di Teologia dell'Evangelizzazione”, 7 (2003), pp. 421-442.
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Note al testo
[1] Si veda in particolare Paolo e il giudaismo palestinese, Paideia, Brescia, 1986 (originale del 1977), e la prosecuzione della riflessione di Sanders in Paolo, la Legge e il popolo giudaico, Paideia, Brescia, 1989. Per una recensione critica a Sanders, cfr. R. H. Gundry, in Biblica 66 (1985), 1-33 che si schiera contro Sanders. Cfr. anche H. Räisänen, Paul and the Law, criticato da A. Pitta nel suo commento a Galati del 1996, p. 379: Räisänen ritiene che Paolo non capisca il giudaismo del suo tempo.
[2] E. P. Sanders in Paolo, la Legge e il popolo giudaico, Paideia, Brescia, 1989, pp. 270-271.
[3] Cfr. K. Stendahl, Paolo tra ebrei e pagani, Claudiana, Torino, 1995.
[4] P. Stuhlmacher, Revisiting Paul's Doctrine of Justification. A Challenge to the New Perspective.
[5] In RivBibIt 2007 recensione di Jossa al volume di Dunn.
[6] Per una spiegazione del metodo del Jesus Seminar si può vedere Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea, EDB, Bologna, 2005, p. 33.