Come i monaci continuiamo a studiare (e preghiamo la Madonna). La lettera di Fabrice Hadjadj ai suoi studenti davanti all’epidemia di coronavirus: «Come scriveva Camus, nessuno crede ai flagelli anche quando ci piombano addosso», di Fabrice Hadjadj
Riprendiamo dal sito della rivista Tempi una lettera di Fabrice Hadjadj, pubblicata il 29/3/2020. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Università e Vita.
Il Centro culturale Gli scritti (23/11/2020)
Pubblichiamo una nostra traduzione del messaggio inviato dal filosofo Fabrice Hadjadj a studenti ed ex studenti dell’Istituto europeo di studi filosofici, Philanthropos, del quale è direttore.
Cari studenti ed ex studenti,
come ha detto recentemente il vicedirettore di Repubblica a proposito dell’Italia: «Abbiamo preso disposizioni senza precedenti nella storia dell’Occidente, misure che non sono mai state adottate neanche durante le due Guerre mondiali». Allo stesso tempo, questa situazione senza precedenti rinvia a paure ancestrali e a storie molto antiche: Tucidide o Lucrezio descrivevano la peste di Atene durante la quale i templi degli dèi si riempirono di cadaveri, Alessandro Manzoni ambientava un celebre capitolo dei Promessi sposi nel mezzo dell’epidemia che devastava Milano falciando un quarto della sua popolazione…
Albert Camus lo scrive nell’inizio della Peste:
«Benché un flagello sia un accadimento frequente, tutti stentiamo a credere ai flagelli quando ci piombano addosso. Nel mondo ci sono state tante epidemie di peste quante guerre. Eppure la peste e la guerra colgono sempre tutti alla sprovvista. (…) A questo riguardo i nostri concittadini erano come tutti gli altri, erano presi da se stessi, in altre parole erano umanisti: non credevano ai flagelli. Dal momento che il flagello non è a misura dell’uomo, pensiamo che sia irreale, soltanto un brutto sogno che passerà. Invece non sempre il flagello passa e, di brutto sogno in brutto sogno, sono gli uomini a passare, e in primo luogo gli umanisti che non hanno preso alcuna precauzione. I nostri concittadini non erano più colpevoli di altri, dimenticavano soltanto di essere umili e pensavano che tutto per loro fosse ancora possibile, il che presumeva che i flagelli fossero impossibili. Continuavano a fare affari, programmavano viaggi e avevano opinioni. Come avrebbero potuto pensare alla peste che sopprime il futuro, gli spostamenti e le discussioni?».
Dobbiamo ammetterlo: stiamo improvvisando nel modo più totale. Le cose evolvono troppo rapidamente per permetterci di fare qualcosa di meglio che navigare a vista. Da un giorno all’altro, da un’ora all’altra, le carte vengono completamente rimescolate, le regole del gioco stesso cambiano. Per ora, Philanthropos è chiuso al pubblico ma continua in modalità quarantena.
Gli altri luoghi universitari hanno cessato il loro insegnamento «faccia a faccia», ma essendo l’istituto anche un luogo residenziale, analogo alle comunità religiose, gli studenti del 16mo anno restano in loco, beneficiano della messa celebrata da un prete lì confinato e ricevono sempre alcuni corsi dispensati dai tre professori residenti, rispettando severamente le misure di sicurezza sulla distanza e l’igiene, così come altri corsi in videoconferenza.
In questo assomigliano ai giovani del Decamerone di Boccaccio, che si sforzano di pensare, di raccontare storie, di intonare ancora canzoni, di pregare per loro e per il mondo, mentre fuori, al di là delle mura del castello, la peste decima Firenze. Quanto tempo potrà durare ancora? Noi non lo sappiamo.
Preghiamo Nostra Signora di Bourguillon, guardiana della fede, e anche san Sebastiano e santa Corona, che si invocano soprattutto durante le epidemie.