San Francesco e il Sultano. Da un punto di vista storiografico il continuo ricorso a tale evento valga almeno ad affermare che non è inimicizia predicare il Vangelo ai musulmani. Anzi che è proprio dell’amicizia il donarsi ciò che ci è più caro, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Francesco d'Assisi e Dialogo inter-religioso.
Il Centro culturale Gli scritti (23/11/2020)
Sempre più frequente è il ricorso all’incontro fra san Francesco e il sultano per indicare nell’assisiate una posizione contraria alle crociate e un modello del dialogo inter-religioso.
Non ci interessa qui affrontare per l’ennesima volta la questione della posizione di Francesco sulle crociate che gli storici più accreditati ritengono non risolta - si veda , ad esempio, Vauchez che afferma: «La predicazione missionaria di Francesco non si presenta come un’alternativa all’impresa militare lanciata dal papato contro l’Islam, ma si sviluppa secondo una logica parallela»[1].
Ci interessa, invece, sottolineare come non vi sia dubbio alcuno che Francesco si sia recato dal Sultano per predicargli il Vangelo. Francesco lo ha amato e, per questo, ha desiderato di fargli il dono più grande che è quello dell’annunzio del Cristo.
Non mosso, pertanto, da inimicizia, bensì da vera “compassione”, si recò da lui per fargli quel dono.
Se entrambe le parti in lotta utilizzavano le armi ed erano militari e combattenti, sia i crociati che i musulmani, nondimeno Francesco era interessato a parlare al cuore di entrambe, per nulla impaurito dalle spade dei due eserciti.
Nelle fonti dell’epoca e negli scritti francescani non si trova alcuna parola di Francesco a commento della guerra in corso – ecco perché è impossibile determinare cosa pensasse il santo di Assisi delle crociate - bensì si assiste ad un evento: il viaggio presso il Sultano per predicargli il Cristo[2].
Questo è ciò che è certo: il precipuo interesse del santo di Assisi fu che i musulmani ascoltassero la predicazione evangelica e ne ricevessero testimonianza dai frati.
Certo Francesco sapeva bene di come l’Islam del suo tempo fosse violento contro tale predicazione: la sua reazione all’uccisione dei protomartiri francescani in Marocco[3] ne dà testimonianza, nelle parole della regola non bollata che seguono di un anno il martirio dei frati in nord Africa.
Mentre egli chiede sempre e comunque ai suoi frati di predicare il Vangelo con le parole e non solo con i gesti, le parole della Regola non Bollata mostrano chiaramente come il santo, avuta notizia della morte certa che avrebbero ricevuto coloro che avessero esplicitamente predicato il Vangelo in terre musulmane, avesse maturato la consapevolezza di chiedere atteggiamenti di prudenza ai frati missionari:
«Dl COLORO CHE VANNO TRA I SARACENI E GLI ALTRI INFEDELI
Dice il Signore: "Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe" (Mt 10,16).
Perciò qualsiasi frate che vorrà andare tra i Saraceni e altri infedeli, vada con il permesso del suo ministro e servo.
Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che sono idonei ad essere mandati; infatti dovrà rendere ragione al Signore (Cfr. Lc 16,2), se in queste come in altre cose avrà proceduto senza discrezione.
I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio (1Pt 2,13) e confessino di essere cristiani.
L'altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio (Gv 3,5).
Queste ed altre cose che piaceranno al Signore, possono dire ad essi e ad altri; poiché dice il Signore nel Vangelo: "Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt 10,32); e: "Chiunque si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando tornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli" (Lc 9,26).
E tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che si sono donati e hanno abbandonato i loro corpi al Signore nostro Gesù Cristo. E per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili, poiché dice il Signore: "Colui che perderà l'anima sua per causa mia la salverà per la vita eterna" (Cfr. Lc 9,24.; Mt 25,46).
"Beati quelli che sono perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,10). Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi" (Gv 15,20). E: "Se poi vi perseguitano in una città fuggite in un'altra (Cfr. Mt 10,23). Beati sarete, quando gli uomini vi odieranno e vi malediranno e vi perseguiteranno e vi bandiranno e vi insulteranno e il vostro nome sarà proscritto come infame e falsamente diranno di voi ogni male per causa mia (Cfr. Mt 5,11 e 12); rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli (Lc 6,23; Mt 5,12). E io dico a voi, miei amici: non lasciatevi spaventare da loro (Cfr. Lc 12,4) e non temete coloro che uccidono il corpo e dopo di ciò non possono far niente di più (Mt 10,28; Lc 12,4).
Guardatevi di non turbarvi (Mt 24,6). Con la vostra pazienza infatti salverete le vostre anime (Lc 21, 19). E chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo" (Mt 10,22; 24,13)»[4].
Già la citazione evangelica scelta da Francesco in apertura è chiara quanto al pericolo che avrebbe corso chi si fosse recato in territori musulmani. La possibilità di non predicare subito apertamente, bensì prima con la testimonianza, dipende chiaramente dalle possibili reazioni circostanti ad un’eventuale predicazione esplicita che non è, comunque, fuori dall’orizzonte di ciò che Francesco desidera[5].
Francesco chiede pertanto che chi invia i frati in missione in paesi sotto governo musulmano lo faccia istruendoli ad essere sommamente prudenti, cercando di capire, caso per caso, se sia meglio iniziare la predicazione con le parole o piuttosto con le opere[6]. In entrambi i casi il presentare e donare Cristo, dalla testimonianza di vita fino alla predicazione esplicita è un atto di carità e non di inimicizia verso i musulmani
Dal canto suo, il santo ritenne nell’incontro con il Sultano di poter predicare apertamente e la sua bontà unita in questo caso all’ospitalità del Sultano, fecero sì che egli potesse ritornare indietro senza subire alcun danno.
La bella interpretazione del recente studio di Buffon[7], che vede nell’ospitalità accettata da Francesco presso il Sultano la novità di una presenza evangelica, nulla toglie al fatto che Francesco desiderasse predicare il Vangelo al Sultano, anche se come suo ospite.
Non toglie, ma aggiunge: Francesco intendeva al contempo essere ospite, essere “amico” del Sultano. Il pensiero binario e oppositivo, in fondo manicheo, del nostro tempo pone come un’opposizione insormontabile: se sei amico, non devi parlare di Cristo, se parli di Cristo non puoi essere amico. Per il pensiero contemporaneo schematico e intollerante il mondo si divide in quelli che sono amici senza parlare di Cristo e in quelli che parlano di Cristo senza essere amici, mentre per Francesco l’amore al fratello e l’amore a Dio vanno insieme. Egli desidera parlare di Cristo al Sultano “con tutte le sue forze, con tutta la sua mente e con tutto il suo cuore” e al contempo ama il Sultano “come se stesso”, ne è ospite ed ama intrattenersi con lui, qualsiasi cosa egli farà del suo annunzio di fede, dovesse pure tagliargli la testa.
La fede sintetizza e non oppone: Francesco amava i musulmani e, pertanto, si riteneva in dovere di predicare loro il Vangelo e di inviare frati perché sia con le parole che con la testimonianza, i musulmani del tempo potessero scoprire il cristianesimo.
Anche oggi i tanti cristiani presenti in paesi musulmani sono prudenti non tanto perché non amerebbero essere più espliciti nel predicare il Vangelo, ma perché sanno quanto sia peculiare il mondo islamico, in quanto contrario alla predicazione del Vangelo. Lo stesso avviene per i tanti catechisti di catecumeni musulmani in Europa che li battezzano in segreto, dietro diretta richiesta dei catecumeni musulmani: non per rispetto, ma perché spesso lo richiede l’incolumità di chi chiede il Battesimo.
Sono loro amici e al contempo desiderano condividere Cristo: debbono, al contempo, essere prudenti, perché l’esperienza dimostra che così deve essere.
Francesco insegna l’amore al fratello, l’amore alla predicazione del Cristo e la prudenza. Questo triplice nesso non deve essere sciolto nemmeno oggi.
P.S. Vale sempre la pena - fra l’altro - ricordare come le crociate non siano state delle guerre anti-arabe, bensì anti-turche. Ricordo l’impressione che mi fece la prima volta che ascoltai questa affermazione del mio professore di Antico Testamento, Gianluigi Prato, che guidò noi studenti in una mostra degli anni ’80 sulle crociate. Ci spiegò come la battaglia di Manzikert, avvenuta nel 1071 in territorio armeno, avesse segnato l’inizio dell’offensiva turca contro i bizantini - che avrebbe portato secoli dopo alla caduta di Costantinopoli. Ma l’attacco turco non avrebbe sottomesso solo il mondo bizantino, bensì avrebbe portato alla capitolazione tutto il mondo arabo, che sarebbe vissuto sotto occupazione turca per quasi 5 secoli. Dinanzi al nuovo nemico che procedeva verso la seconda Roma, l’imperatore di Costantinopoli si rese conto del grande pericolo che correva il mondo bizantino e chiese subito, alla fine dell’XI secolo, aiuto all’occidente perché soldati franchi e latini venissero in suo soccorso. Aveva già intuito che il nuovo assalto non più arabo ma turco avrebbe potuto essere fatale. Così nacquero le crociate e i soldati occidentali lottarono contro un esercito che fu sempre più in orbita turca, mentre gli stessi arabi si rendevano conto che il loro potere era giunto al termine e che avrebbero ceduto il passo a quello che sarebbe diventato un giorno l’Impero ottomano.
Note al testo
[1]A. Vauchez, Francesco d’Assisi. tra storia e memoria, edizione italiana a cura di G. G. Merlo, Torino 2010, 100.
[2] Sull’assenza di parole di Francesco di condanna delle crociate come di approvazione di esse, cfr. G.G. Merlo, Frate Francesco e il superamento della crociata, in A. Cacciotti - M. Melli (a cura di), I Francescani e la crociata, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 2014, pp. 17-30.
[3]Cfr. sui protomartiri francescani 1/ Questioni storiche sulla norma di Francesco d’Assisi relativa alla predicazione e alla testimonianza di coloro che vanno in missione presso i musulmani. Breve nota di Andrea Lonardo 2/ Dai protomartiri francescani a sant’Antonio di Padova. Giornata di studio a Terni sui cinque frati Minori martirizzati in Africa nel 1220, di padre Pietro Messa.
[4] Francesco d’Assisi, Regola non bollata, XVI (FF 42-45; FF: si indicano così le Fonti francescane nella loro codificazione abituale).
[5] Nella Regola bollata, che segue di 2 anni la precedente ed è del 1223, non si danno più indicazioni concrete, ma si sottopone la missione presso i “saraceni e gli altri infedeli” direttamente alle autorità ecclesiastiche che debbono valutare l’opportunità di tale presenza, evidentemente per i rischi che essa comporta: «Dl COLORO CHE VANNO TRA I SARACENI E TRA GLI ALTRI INFEDELI – Quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare tra i Saraceni e tra gli altri infedeli, ne chiedano il permesso ai loro ministri provinciali. I ministri poi non concedano a nessuno il permesso di andarvi se non a quelli che riterranno idonei ad essere mandati. Inoltre, impongo per obbedienza ai ministri che chiedano al signor Papa uno dei cardinali della santa Chiesa romana, il quale sia governatore, protettore e correttore di questa fraternità, affinché, sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabili nella fede (Cfr. Col 1,23) cattolica, osserviamo la povertà, l’umiltà e il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso» (Regola Bollata, XII).
[6] Sull’espressione che da parte di tanti viene attribuita a Francesco “Anche con le parole se necessario”, cfr. 1/ Anche con le parole se necessario. Dalle prime fonti a Papa Francesco (da L’Osservatore Romano) 2/ «Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario, anche con le parole!». Breve nota di Pietro Messa.
[7] G. Buffon, Francesco l’ospite folle. Il Povero di Assisi e il Sultano. Damietta 1219, Milano Edizioni Terra Santa, 2019.