La crisi umana del Covid: non esistono solo una questione sanitaria ed una economica, da post di amici su FB
Riprendiamo, dal profilo FB di un amico, un post sulla situazione creata dal Covid, con il commento di un altro amico prete che seguiva, pubblicati il 9/11/2020. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Vita.
Il Centro culturale Gli scritti (23/11/2020)
Un post su FB di un amico
Capita ormai abbastanza di frequente che ordini il pasto attraverso uno dei servizi online più importanti. Solitamente arriva il rider in bici o in scooter. Non sempre giovanissimo, spesso vicino ai 50, a volte anche oltre, quasi sempre uomo. Oggi mentre aspettavo il pranzo, sopraggiunge un'utilitaria. Alla guida una donna adulta, accanto a lei una giovane ragazza. Si somigliano. Sono presumibilmente mamma e figlia. Si fermano e mi chiedono un'indicazione. Pensavo volessero avere informazioni sull'offerta formativa dell'Università. Invece no. Consegnavano il mio pranzo.
Il Covid sta destrutturando prassi, relazioni, automatismi e comportamenti. E potenziando, nostro malgrado, anche alcune pratiche del lavoro sempre più spinte su una flessibilità esasperata, sottopagata e momentanea.
Il commento al post di un altro amico
In questi mesi così bui si parla molto dei problemi fisici dovuti al COVID, ma non possiamo dimenticare però quanto è dura questa pandemia anche per l’anima di molti di noi. Affrontare la paura, la solitudine, la lontananza dai propri cari. Non tutti reggono il peso psicologico di una situazione che si protrae ormai da troppi mesi.
Oggi l’ho incontrata. Una delle vittime di questa maledetta malattia. No, non è stata contagiata. Solo che non è più lei. Una persona piena di vita, di interessi, attiva in alcune associazioni di volontariato. Vedova da anni, si era rimboccata le maniche, non si era pianta addosso e andava avanti, frequentando amiche, andando al cinema, la domenica, dopo la prima messa della giornata, andava ora in un museo, ora in un altro. Ci scambiavamo messaggini su whats app. Conosceva tutto il quartiere, tutti i negozianti erano suoi amici.
Quando c’è stato il lockdown ogni mattina mi mandava un messaggio, un disegnino, un pensiero ed io le rispondevo. La pensavo, da sola nel suo piccolo appartamento, e mi sentivo triste per lei, sapevo quanto amasse chiacchierare e quanto le pesasse stare chiusa in casa a pensare al passato.
Ad un certo punto, niente più messaggi, il telefono che squilla a vuoto alle mie chiamate, niente. Comincio a sperare che il figlio l’abbia portata a casa sua. Ma perché non risponde?
Un giorno, finito il lockdown, ho incontrato una sua vicina di casa, che conosco solo di vista. Mi sono avvicinato e, a costo di essere mandato a quel paese, mi sono presentato chiedendo notizie di R. “Eh, è andata fuori di testa, a trovarsi sola, ha dato di matto, non mangiava più, l’hanno portata in un ricovero, sono venuti con l’ambulanza…” Basta, per me una ferita profonda, l’inimmaginabile, o quello che già sapevo, ma, forse colpevolmente? non ho visto. Ci vuole forza, ci vuole coraggio per affrontare la solitudine e lei, così fragile, anche se non lo dava a vedere…
Giorni fa, mi è parso di vederla da lontano, dico, ma cosa vai a pensare? Non può essere lei, così piccola, curva, magra.
E oggi l’ho vista, l’ho incontrata, è proprio lei, ci siamo incrociati, l’ho guardata negli occhi. È lei, ma non è più lei. Lo sguardo vuoto, per mano ad una badante, persa in un mondo inaccessibile. Ho provato a sorriderle, a salutarla, ma niente, non ci sono più nel suo mondo. Una donna autonoma, coraggiosa, socievole che il COVID ha spezzato.
Non so se consolarmi sapendola a casa, mi piaceva immaginarla a tener banco fra gli altri anziani, magari giocando a carte o fumando la sua amata sigaretta.