L’uomo, il non voluto volentesi (L.A.)
Pietro Piovani, filosofo, discepolo di Capograssi, scrisse dell’uomo a partire dalla sua “dattità”, il suo cioè essere un dato che non si è voluto. Egli chiamò sinteticamente l’uomo il “non voluto volentesi”. L’uomo che non si è voluto, che ha una soggettività limitata fin dal suo sorgere, perché è una soggettività che non ha posto se stessa, ma che è stata posta da altri, ha, dinanzi a sé, la via del volere se stesso.
L’interrogazione può andare anche più oltre. E cioè se l’uomo, oltre a non essersi voluto, non sia in realtà stato voluto da nessuno. Se sia solo frutto di caso o di necessità.
Non viene, comunque, tolta, la forza morale della decisione di volersi. Essa è passaggio obbligato del credente e del non credente.
Come motto della “Collana di filosofia”, da lui fondata e diretta, Piovani scelse l’espressione di Seneca: “Quid eni turpius philosophia captante clamores?” (che cosa di peggio che una filosofia alla ricerca del rumore?)
L’interrogazione può andare anche più oltre. E cioè se l’uomo, oltre a non essersi voluto, non sia in realtà stato voluto da nessuno. Se sia solo frutto di caso o di necessità.
Non viene, comunque, tolta, la forza morale della decisione di volersi. Essa è passaggio obbligato del credente e del non credente.
Come motto della “Collana di filosofia”, da lui fondata e diretta, Piovani scelse l’espressione di Seneca: “Quid eni turpius philosophia captante clamores?” (che cosa di peggio che una filosofia alla ricerca del rumore?)