Bergoglio insegnante di Letteratura alle superiori nel racconto di Ivereigh. I giorni che Jorge Luis Borges passò con gli studenti del gesuita Bergoglio
Riprendiamo sul nostro sito un brano da A. Ivereigh, Tempio di misericordia. Vita di Jorge Mario Bergoglio, Milano, Mondadori, 2014, pp. 97-102. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Letteratura e Educazione e scuola.
Il Centro culturale Gli scritti (25/10/2020)
La verità è più strana della finzione: Bergoglio ebbe modo di conoscere Borges nel 1965, quando lo invitò a tenere delle lezioni sulla letteratura gauchesca ai suoi studenti di sedici e diciassette anni. L'anello di collegamento fu María Esther Vázquez, scrittrice e assistente di Borges, che aveva dato lezioni di pianoforte ai giovani fratelli Bergoglio. In quel periodo conduceva un programma sulla radio di Stato, e invitò Jorge - che a sua volta invitò Goma a unirsi a lui - per un'intervista sul tema dell'insegnamento letterario dei gesuiti.
Il Colegio de la Inmaculada Concepción di Santa Fe, che occupa un intero isolato nella piazza principale della città, è la prima e più antica scuola superiore dell'Argentina e anche la più prestigiosa, l’alma mater di molti dei più noti personaggi pubblici argentini. Fu in questo collegio - fondato nel 1610 per l'istruzione dell'élite coloniale e restituito ai gesuiti nel 1862 - che l'allora rettore persuase i capi delle tribù mocopi e abipone a entrare in una Riduzione; e fu sempre qui che, nel 1636, un quadro della Vergine dell'Immacolata Concezione, dipinto da un fratello gesuita e appeso nella cappella adiacente al collegio, cominciò a trasudare piccoli rivoli di acqua benedetta.
Quando vi arrivò, nel 1965, Jorge passò attraverso un imponente ingresso in stile coloniale che conduceva a un cortile ornato di alberi d'arancio in fiore. Da qui la scuola si trovava sulla sinistra, la comunità gesuita sulla destra, e il cinema direttamente di fronte: un atrio enorme, dove si tenevano le assemblee scolastiche ma che di domenica diventava il Cinema Garay. Era il miglior cinema della città, con posti a sedere per 1500 persone e proiettori da 70 mm per i film più recenti. D'estate i film venivano proiettati su enormi schermi appesi agli alberi d'arancio, mentre il fumo degli zampironi si insinuava tra le sedie.
Quando Jorge insegnava al Colegio de la Inmaculada (aveva allora ventotto, ventinove anni), circa la metà degli allievi viveva all'interno del collegio. Era caratterizzato da una stretta disciplina e da un rigido codice d'abbigliamento (giacca e cravatta alla messa mattutina), ma non vi regnava la severità dei collegi inglesi del tempo. Due volte la settimana gli allievi svolgevano lavoro comunitario, costruendo casette in legno nella povera parrocchia che i gesuiti gestivano ad Alto Verde, oppure si dedicavano allo sport e al campeggio.
«Fin dal primo momento, sembrò una persona matura» ricorda uno dei gesuiti di allora, padre Carlos Carranza, che descrive Bergoglio come «riservato, pacato, tranquillo, un ragazzo al quale gli studenti volevano bene.» Goma, che seguì i corsi di letteratura di Jorge, rammenta anche il suo «rapporto molto speciale» con gli studenti dell'accademia di letteratura. I quali lo ricordano come un insegnante esigente, generoso, brillante, ma anche gentile e riservato. Erano affascinati dal suo umorismo e dalla sua schiettezza, colpiti da quanto lavorasse per loro e consapevoli della sua mente raffinata. «Sulla lavagna erano sempre disegnate delle frecce che collegavano fatti e idee inserite dentro dei cerchi» ricorda Rogelio Pfirter, poi divenuto ambasciatore a Londra. «Ci spronava a fare domande di ogni tipo e le sue risposte erano sempre rapide e precise. Non l'ho mai visto esitare.» Il fratello di Rogelio, Eduardo, ricorda il carattere umile e riservato di Bergoglio: «Si comportava con grande semplicità, senza cercare di dominare o distinguersi, cosa niente affatto comune a quei tempi tra i gesuiti». Molti hanno anche richiamato l'attenzione sulla qualità delle sue lezioni, che un ex allievo, Guillermo Venturi, definisce particolarmente stimolanti e divertenti. «Oltre alle sue naturali qualità oratorie, vi aggiungeva una conoscenza letteraria che gli permetteva di spiegare le cose in modo davvero fantastico» ricorda padre Carranza.
Ma la sua popolarità non impediva che gli fossero affibbiati dei soprannomi. Jorge Milia ricorda che lo chiamavano Carucha, «faccia di bimbo», a causa della sua espressione afflitta. Era anche chiamato Irma la Dolce, dal nome della prostituta francese interpretata da Shirley MacLaine nell'omonima commedia del 1963, perché, come sottoprefetto alla disciplina, «comminava severe punizioni con un volto angelico».
Roberto Poggio, uno degli studenti, non dimenticò mai una di queste punizioni. Colpevole di avere schiaffeggiato un ragazzo più giovane durante una partita, Bergoglio gli chiese di presentarsi in classe a una determinata ora. Quando arrivò, vide dieci suoi amici seduti in cerchio, e Bergoglio seduto a fianco. «Mi disse che dovevo spiegare dettagliatamente ai miei amici cos'era successo, e fu qualcosa che mi rimase dentro per tutta la vita. I miei amici furono comprensivi, mi diedero dei consigli, e in qualche modo mi sentii come se un macigno mi fosse stato levato dalle spalle. Non ricevetti nessun rimprovero o critica.» La giuria degli studenti decise la punizione: Poggio fu sospeso dalle attività sportive per due settimane e dovette scusarsi con il compagno più giovane.
Jorge Milia ricorda anche il particolarissimo modo che aveva Bergoglio di comminare punizioni. Dovette dare un esame orale di letteratura - dato che non aveva consegnato in tempo il proprio lavoro - come parte del suo esame finale con tre gesuiti, incluso Bergoglio. Con tutto il suo impegno, Milia sostenne l'esame fino alla conclusione e poi si mise ad aspettare. Dopo un lungo silenzio, Bergoglio iniziò a parlare.
Lo sappiamo tutti che non c'è voto per un esame del genere, e sappiamo anche tutti che il signor Milia non doveva essere rimandato, e che se le cose sono andate così è perché non ha presentato nei tempi dovuti il suo elaborato, perché ha pensato che per lui non valessero le regole, perché ha fatto il comodo suo fino all'ultimo, come del resto è abituato a fare. Perciò, anche se il voto giusto sarebbe dieci, credo che dovremmo mettergli nove come ultimo ricordo del suo soggiorno in questo collegio. Non per punirlo, ma per fargli capire che quello che conta è il dovere compiuto ogni giorno, la capacità di eseguire il lavoro sistematicamente senza ridurlo a routine, la costruzione mattone dopo mattone, più che il raptus improvviso che tanto lo seduce. «Nove» confermarono gli altri gesuiti. Milia, stupefatto dall'onestà della decisione presa dal suo professore, non ha mai dimenticato quella lezione.
Le materie di insegnamento assegnate a Jorge - letteratura, psicologia e arte - non erano certamente le più ovvie per un perito chimico. Ma per i gesuiti era più che normale essere obbligati a insegnare materie che non erano le proprie. Jorge, in ogni caso era un avido lettore di classici, e sembrava appropriato affidargli la prestigiosa accademia di letteratura della scuola. Le accademie di La Inmaculada, specializzate in diverse materie, erano una parte caratteristica della tradizione della scuola: gli allievi facevano richiesta di entrarvi, spiegando i motivi per cui avrebbero dovuto essere ammessi, e gli insegnanti responsabili delle accademie decidevano se accettarli.
Nel suo primo anno a La Inmaculada, Jorge insegnò letteratura spagnola, e nel secondo letteratura argentina. Avendo colto nei suoi allievi il desiderio di passare direttamente ai testi moderni, riorganizzò il programma di studio in modo da far leggere a casa il classico medievale El Cid e iniziare le letture in classe con un poeta del Novecento, Federico García Lorca. Man mano che sviluppavano la passione per la letteratura, Bergoglio li riportava indietro ai grandi autori spagnoli come Cervantes, Quevedo e Góngora, seguendo un ordine che, come disse lui stesso in seguito, «veniva in modo naturale». L'esperimento funzionò: quanto più i ragazzi si mostravano interessati e coinvolti, tanto più li incoraggiava a coltivare le proprie passioni, offrendosi di tenere dei seminari più approfonditi. «La cosa più grande di Bergoglio» scrisse Milia nelle sue memorie di scuola «era che nessuna porta veniva chiusa. Chiunque volesse esplorare quello straordinario monumento che è la lingua spagnola, poteva farlo a qualsiasi profondità ... senza condizioni o pregiudizi.»
Milia ricorda che Jorge gli fece conoscere la Danza de la Muerte, macabri versi tardomedievali, in cui una personificazione della morte invita persone di diverso rango e posizione a danzare attorno a una tomba, ricordando in rime poetiche la loro fine mortale. Per facilitarne la comprensione, Bergoglio organizzò una proiezione al Cinema Garay del film Il settimo sigillo, di Ingmar Bergman (uscito nel 1957), in cui è raccontata la storia di una partita a scacchi tra un cavaliere medievale e la Morte. A Milia e agli altri allievi fu poi richiesto di scrivere una critica del film, con osservazioni sull'uso della scenografia, dei personaggi, della musica ecc.
Jorge ebbe anche l'idea di invitare scrittori in classe, in modo che i suoi studenti potessero apprendere non soltanto i frutti, ma anche il mestiere e le tecniche della scrittura. Il primo ospite fu María Esther Vázquez, che successivamente, nell'agosto del 1965, organizzò una visita di cinque giorni di Borges, per parlare dei poemi gaucheschi. Fu un colpo eccezionale, che l'università locale paragonò orgogliosamente - come ricorda Milia - «alla Filarmonica di Berlino che andava a suonare Happy Birthday alla festa di un bambino».
Il poeta, saggista e grande maestro del racconto breve, antesignano di quella letteratura latinoamericana che negli anni Sessanta si sarebbe imposta all'attenzione internazionale, aveva allora superato la sessantina e in Argentina era un'autentica icona, riconosciuta ovunque andasse, e la sua caratteristica voce era ampiamente imitata. La crescita della sua fama coincise con la rapida perdita della vista - Dio, come disse una volta con parole commoventi, gli aveva dato «i libri e allo stesso tempo la notte» - e già in quel periodo dipendeva dalla sua memoria simile a quella di un bibliotecario per dare corpo alle sue giocose e sofisticate finzioni.
Borges, come disse Bergoglio nel 2010, «possedeva la geniale capacità di parlare di qualsiasi argomento senza mai mettersi in mostra». Bergoglio conosceva e amava i racconti di Borges, che si svolgono in una sorta di iperrealtà, nella quale i personaggi si muovono come simboli in un mondo labirintico di biblioteche e di idee. Nel modo di parlare e scrivere di Bergoglio - frizzante, arguto e giocoso, amante dei paradossi e dei giochi di parole - ci sono molti tratti che suggeriscono un'affinità con lo scrittore argentino.
Come Giovanni Battista, Jorge si preparò alla venuta del grande uomo con un corso intensivo sulle sue opere, cosicché quando Borges arrivò, in autobus, avvolto nell'aria fredda di una mattina d'agosto del 1965, già pressoché cieco e camminando con un bastone, fu festeggiato, parlò davanti a un pubblico entusiasta e godette della compagnia tanto degli studenti quanto dei gesuiti. Ripensandoci, Milia si rese conto che il più grande dono fatto da Bergoglio ai suoi allievi era stato proprio il periodo che aveva permesso loro di trascorrere insieme a quel guru non vedente che poteva trasformare l'argomento o l'evento più triviale in una storia meravigliosa.
Jorge si assicurò che desse tutti i suoi frutti. Aveva sempre incoraggiato i suoi allievi a scrivere, e ora chiese loro di comporre alcune storie, le migliori delle quali sarebbero state sottoposte al giudizio del grande scrittore. Insieme a Goma selezionò le otto più belle e le inviò in una busta con su scritto «Racconti originali». Poco dopo, il rettore del collegio, padre Ricardo O'Farrell, ricevette una lettera in cui Borges lo ringraziava per l'ospitalità ricevuta e si offriva di scrivere una prefazione a «quel libro», il cui titolo gli piaceva molto. Era la prima volta che a qualcuno capitava che dei racconti fossero un libro, ancor più un libro da pubblicare. Ma, di fronte alla generosa offerta di Borges, non fu difficile trovare un editore.
In novembre Borges tornò a Santa Fe per presentare i Cuentos originales che, grazie alla sua elogiativa prefazione, ebbero notevole successo in città. Bergoglio spedì il libro a una poetessa che conosceva, Sofia Acosta, per chiederle cosa ne pensava, e astutamente inviò la sua lettera di risposta, in cui elogiava i racconti, al direttore di un quotidiano della vicina città di Paraná (dove il «palazzo» dei suoi prozii era ora diventato un ristorante). «Il nostro desiderio è evidenziare i pregi e il valore di questo lavoro, che a Santa Fe è diventato un best-seller» scrisse Jorge, pregandolo di contribuire a una maggiore diffusione del volume «grazie al vostro illustre giornale». Fu una prima dimostrazione di sagacia politica.
Nella prefazione a Cuentos originales Borges scrive: «È probabile che uno di questi otto scrittori diventerà famoso, e i bibliofili andranno in cerca di questo libretto per trovare quel nome che non mi azzardo a predire». Il libro venne effettivamente ricercato, ma non fino al 2013, e da giornalisti anziché da bibliofili, e non per i nomi che vi compaiono bensì per uno che manca. Borges, uomo di grande ironia, ne sarebbe stato deliziato.
Uno degli otto autori del libro era il giornalista Jorge Milia. Quarant'anni dopo, Milia pubblicò le memorie dei suoi giorni di scuola spronato dallo stesso Bergoglio, con il quale era rimasto in contatto. L’allora cardinale si offrì di scrivere la prefazione al libro, che uscì nel 2006 con il titolo De la edad feliz. Milia, che oggi scrive articoli online in cui spiega i bergoglismi di Francesco, può a buon diritto affermare di essere l'unico autore ad avere avuto una prefazione scritta da due fra i più famosi figli dell'Argentina: Jorge Luis Borges e papa Francesco.
Borges si considerava un agnostico, ma gli era stato insegnato a leggere la Bibbia dalla nonna inglese protestante, recitava il Padre nostro ogni sera, avendolo promesso a sua madre, e morì in presenza di un prete. Ma era anche un amante della saggezza ebraica, scrisse sul buddismo e conosceva il Corano abbastanza bene da poter dichiarare che nelle sue pagine non c'era nemmeno un cammello (un'osservazione, questa, che utilizzò per criticare un certo genere di scrittori nazionalisti che riempivano i loro libri di «colore locale»). Nella sua ultima fantasia, I congiurati, immagina il miracolo fondante di una nazione nella quale «uomini di diverse tribù, credenti in religioni diverse e parlanti lingue diverse, hanno preso la strana decisione di essere ragionevoli. Hanno deciso di dimenticare le loro differenze e sottolineare le loro affinità». Assomigliava molto a ciò che il cardinale Bergoglio avrebbe successivamente promosso come la cultura dell'incontro.