I numeri nell'Apocalisse di Giovanni e il loro linguaggio, di Giancarlo Biguzzi
Riprendiamo da G. Biguzzi, L’Apocalisse e i suoi enigmi, (Studi biblici 143), Brescia, Paideia, pp. 2004, 127-152 un articolo precedentemente edito in LA 50 (2000), pp. 143–166. Sono già disponibili on-line dello stesso autore le dispense sull'Epistolario paolino e le Dispense sull'Apocalisse in formato Power point e PDF. Per ulteriori approfondimenti vedi la sezione Sacra Scrittura dove si trovano ulteriori articoli del prof. Biguzzi, a cui siamo particolarmente legati da affetto e stima e che ci ha preceduto nell'ingresso nel regno dei cieli. Cfr. anche Dare i numeri nell'Apocalisse, di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (27/10/2020)
Con il numero l'uomo misura i tempi e gli spazi, scoprendo o creando in essi ordine e armonia. L'uomo dei primordi, magari con l'ausilio delle dita della mano, avrà contato i pezzi della cacciagione o della pesca e gli oggetti dello scambio in natura. Poi, divenendo sempre più sapiens e sempre più ludens, e cioè sempre più sofisticato, l'uomo ha usato il numero anche per il calcolo astratto, per la speculazione, per il gioco, per la musica, e per l'espressione artistica. In questo quadro s'inscrive anche l'assunzione del numero nel linguaggio sacro,[1] e uno degli scritti religiosi che più abbondantemente e sofisticatamente si serve dei numeri per parlare di Dio, delle Potenze a lui avverse, e della loro rispettiva azione nel cosmo e nella storia, è l'Apocalisse di Giovanni.[2]
La simbologia numerica di Ap è stata studiata da U. Vanni insieme con gli altri simbolismi del libro, e poi da Adela Yarbro Collins nel quadro più ampio della letteratura apocalittica,[3] e poi ancora da numerosi commentatori, anche se limitatamente al 666 di Ap 13,18.[4] Come il 666, così anche gli altri numeri sono di solito studiati e interpretati ognuno preso a sé, ma uno studio del genere non è esaustivo perché, come si cercherà di mostrare, i numeri di Ap sono riconducibili a un sistema in qualche modo unitario.
I numeri simbolici fondamentali di Ap sono il 7 e il 12, e però hanno una loro rilevanza anche il 3, il 4, e il 10. Gli uni e gli altri saranno studiati qui sotto, prima in riferimento a Dio e al Cristo (I), e poi in riferimento alla Triade composta dal Drago, dalla Bestia che sorge dal mare e dal Falso Profeta (II). Nell'ultima parte, raccogliendo l'invito di Giovanni a calcolare con sapienza il numero della Bestia, si scenderà ai dettagli circa il numero di gran lunga più famoso di Ap, il 666 di 13,18 (III).
I. I numeri e la perfezione dell'agire divino
1. Il numero 7 in Ap 1-3
Il primo numero che s'incontra in Ap è il numero 7. Compare due volte in 1,4 e cioè nel primo versetto che viene dopo il lungo titolo (1,1-3). Tutta la prima parte di Ap (Ap 1-3) sarà poi dominata da quel numero, poiché il "sette" vi ricorre 15 volte e poiché vi compare un solo altro numero, il numero 10, in Ap 2,10. Il 7, che sarà poi presente in modo massiccio anche nella seconda parte (Ap 4-22) con 40 ricorrenze, è in tal modo il numero più importante dell'Apocalisse giovannea,[5] come d'altra parte hanno rilevato già i commentatori antichi. Fra i greci basti citare Andrea di Cesarea (fine sec. VI, inizio sec. VII) che in Ap trova quel numero "da ogni parte / πανταχοῦ" e, fra i latini, Beda il Venerabile per il quale il numero 7 è usato da Giovanni con "mistica solerzia"; e poi Berengaudo e Gioacchino da Fiore per i quali l'Ap sta interamente sotto il segno del numero 7.[6] D'altra parte, il numero 7 è proverbiale in molte culture, probabilmente a partire dalle 4 fasi del ciclo lunare,[7] ed è solitamente considerato numero sacro per essere frequentemente in relazione con divinità, templi e riti religiosi. Giovanni parte dunque da una convenzione consolidata ma, anche qui come sempre, arricchisce creativamente ciò che trova e ripropone.
Nel v. 1,4 il "sette" figura come numero delle chiese destinatarie del libro, alle quali in quel versetto Giovanni rivolge il suo augurio iniziale. Già da molto tempo i commentatori hanno fatto notare che nella regione esistevano anche altre chiese: per esempio quella di Troade, 170 km a nord della Pergamo di cui parla Ap 1,11 e 2,12,[8] ma soprattutto, nel giro di soli 15 km dalla Laodicea conosciuta e menzionata da Giovanni (Ap 1,11 e 3,14), esistevano le chiese di Colosse e Gerapoli fondate da Epafra (Col 1,7), un discepolo di Paolo. Ebbene, chi era attivo a Laodicea non poteva non esserlo anche per esempio a Colosse, dal momento che le due chiese si scambiavano lettere apostoliche (Col 4,16), e d'altra parte non si può neanche obiettare che Giovanni di Patmos non aveva motivo d'interessarsi alle chiese paoline, dal momento che anche la chiesa di Laodicea era paolina (cf. Col 2,1; 4,13ss), e di essa Giovanni parla appunto in Ap 1,11 e 3,14.
Se dunque le chiese della regione erano più delle 7 che in Ap 1,4 sono chiamate «le chiese d'Asia», si deve pensare che Giovanni metta in scena solo 7 chiese per amore del numero settenario e del suo simbolismo. Questo almeno è stato supposto fin dal sec. II: il Frammento Muratoriano per esempio si basa sul numero settenario delle chiese cui Ap è indirizzata per affermare che essa ha una destinazione universale («licet septem ecclesiis scribat tamen omnibus dicit»). La stessa interpretazione sarà ripetuta, quasi con le stesse parole («quod uni dicit, omnibus dicit») e con lo stesso riferimento alle 7 chiese cui anche Paolo ha scritto, nel più antico commentano a noi giunto, quello di Vittorino di Petovio.[9] Ripetono poi la stessa cosa quasi tutti i commentatori antichi, pur variando le formule.[10]
Alle 7 chiese d'Asia Giovanni rivolge l'augurio epistolare di grazia e pace, indicando come fonte dei beni che augura in primo luogo "Colui che era, che è e che viene", in terzo luogo "Gesù Cristo, testimone fedele ecc." e, in secondo luogo, "i 7 spiriti di Dio", che sono il secondo elemento settenario di Ap. Di questi 7 spiriti di Dio l'Ap parla quattro volte: in relazione o con Dio (1,4; 3,1; 4,5), o con il Cristo (3,1; 5,6), o, infine - ciò che qui più interessa -, con tutta la terra: «Vidi un Agnello ... con 7 corni e 7 occhi che sono i 7 spiriti di Dio, inviati in tutta la terra (ἀπεσταλμένοι εἰς πᾶσαν τὴν γῆν)» (5,6). Sembra allora di poter dire che i doni messianici della grazia e della pace vengono alle 7 chiese da tutta la Triade divina ma, a motivo del comune numero settenario, grazia e pace sono recate alle 7 chiese in modo particolare dai 7 spiriti, soprattutto perché, secondo 5,6 - per dirla con le parole di R. Bauckham -, il piano di Dio sulla storia e sul mondo e la potenza salvifica del Cristo sono messi in atto in tutta la terra attraverso l'invio dei 7 spiriti.[11]
Le chiese sono 7, dunque, in qualche modo perché Dio e l'Agnello le hanno plasmate con l'invio dei 7 spiriti.[12]
2. Il 10 come numero della tribolazione
L'altro numero di Ap 1-3 è il numero 10, che compare nel messaggio alla chiesa di Smirne dove è detto che probabilmente i capi di quella chiesa saranno gettati in carcere per una carcerazione di 10 giorni: «Ecco, il diavolo sta per gettare in carcere alcuni di voi, affinché siate messi a prova, e avrete una tribolazione di 10 giorni» (2,10). F. Hauck pensa che una carcerazione di 10 giorni sia una carcerazione breve[13] ma, al contrario, poiché per esperienza primordiale ogni persona collega il numero 10 con il numero delle dita delle mani,[14] una tribolazione di 10 giorni è più probabilmente una tribolazione lunga, essendo necessarie tutte le 10 dita delle mani per fare il calcolo. Piuttosto, però, il fatto che quei giorni siano conteggiati, dice che sono sotto il controllo di Dio e che porteranno una sofferenza umanamente meno insopportabile di una che non si sa quando mai potrà finire.[15]
Il numero 10 dunque è qui il numero dell'agire di Satana,[16] e tuttavia l'azione di Satana resta sotto il controllo di Dio che nella sua provvidenza determina i tempi e li aggiudica.
3. Il 7 di Dio e dell'Agnello in Ap 4-22
Nella seconda parte dell'Apocalisse il numero 7 non parla più delle chiese d'Asia le quali scompaiono pressoché interamente dalla scena,[17] sostituite dalla chiesa che noi diremmo universale.[18] Vi parla invece dei due schieramenti che vi si contrappongono, con un duplice valore: il primo potrebbe essere chiamato iconografico perché serve a definire descrittivamente gli antagonisti della vicenda, mentre il secondo deve dire il ritmo e la natura della loro azione.[19]
In funzione iconografica il numero 7 è anzitutto messo in rapporto con Dio, con l'Agnello e con due gruppi di angeli, ministri di Dio. Quanto a Dio, 7 lampade ardono davanti al suo trono (4,5), e la sua destra è nell'atto di porgere un rotolo la cui apertura è impedita da 7 sigilli (5,1). Quanto all'Agnello, egli ha 7 corni, simbolo di potenza (5,6),[20] e 7 occhi, probabilmente simbolo di conoscenza (5,6, cf. anche 1,14). E infine, due gruppi di 7 angeli vengono equipaggiati rispettivamente con 7 trombe (8,2; cf. poi 8,6), e con 7 coppe o recipienti liturgici (15,7; cf. anche 16,1; 17,1; 21,9), i quali a loro volta contengono 7 flagelli (15,1.6.8; 21,9). I due gruppi angelici sono al servizio di Dio, non dell'Agnello,[21] perché degli angeli delle trombe è detto che stanno al cospetto di Dio (οἳ ἐνκώπιον τοῦ θεοῦ ἑστήκασιν, 8,2), e di quelli delle coppe è detto che escono dal tempio della tenda della testimonianza, e cioè dal luogo della divina Presenza (15,5).
In tutte queste ricorrenze il numero 7 deve in qualche modo dire il mistero di Dio e della sua volontà, remota alla conoscenza degli uomini per un impedimento settuplice (i 7 sigilli), o deve dire la potenza ed efficienza dei suoi ministri (i due gruppi di 7 angeli), o ancora la grande potenza (i 7 corni) e l'ubiquità (i 7 occhi) salvifica del Cristo.
Altre volte invece il 7 parla dell'agire di Dio e dell'Agnello: contrassegnati dal numero 7 nella loro natura o nella loro immagine, Dio e l'Agnello agiscono con un'azione settuplice in quattro grandi cicli narrativi. In Ap 2-3 il Cristo pasquale detta a Giovanni 7 messaggi, uno per ognuna delle 7 chiese d'Asia come già annunciavano i vv. 1,11 e 1,19 (prima azione settuplice dell'Agnello), mentre in Ap 6-8 l'Agnello apre, uno dopo l'altro, i sigilli che impedivano la lettura del rotolo (seconda azione settuplice dell'Agnello). Dio poi, non direttamente, ma mediante i due gruppi di angeli, agisce prima con i flagelli delle 7 trombe per indurre a conversione gli idolatri che adorano demoni e idoli (Ap 8-11, cf. soprattutto 9,4 e 9,20-21) e, mediante i 7 angeli delle coppe, riversa flagelli invece sugli idolatri che adorano la Bestia e la sua statua, anche qui nel tentativo di convertirli (cf. soprattutto 16,9.11).[22]
In questi archi narrativi l'agire settuplice è un agire perfetto, al quale nulla è da togliere e nulla da aggiungere. I messaggi alle 7 chiese infatti sono non generici, ma basati su di una conoscenza precisa e profonda, e quanto mai accurati e adeguati nella diagnosi che conducono e nella terapia che prescrivono. I 7 sigilli apposti al rotolo che è nella mano di Dio significano la più ermetica e la più impenetrabile delle sigillazioni e quindi il profondo mistero della volontà divina, così come l'apertura dei 7 sigilli da parte dell'Agnello significa apertura totale e rivelazione perfetta.[23] La pressione di Dio nei confronti degli idolatri delle due idolatrie, infine, non potrebbe essere più articolata e più completa perché è messa in atto da tutte le direzioni (dal cielo, dalla terra, dall'abisso) ed è esercitata in tutti gli ambiti possibili (terra, acque salate, acque dolci, firmamento, aria ecc.).[24]
4. Il 4 e il suo simbolismo cosmico
In collegamento con il trono di Dio, in Ap 5 vengono menzionati una prima volta i Quattro Viventi come dignitari della corte divina (4,4, e poi 5,14; 7,11; 14,3; 19,4 ecc.), insieme con i Ventiquattro Vegliardi. Nonostante i tratti angelici che vengono loro dai serafini di Is 6, i Viventi sembrano da interpretare prevalentemente in prospettiva cosmica. Ognuno di essi nel suo aspetto rappresenta infatti il meglio del regno animale,[25]mentre il loro numero quaternario e la loro collocazione ai quattro lati del trono divino parlano dei quattro punti cardinali.[26]
Il v. 7,1 mette in scena poi quattro angeli che hanno potere sui quattro venti e che sono insediati ai quattro angoli della terra.[27] Il simbolismo cosmico è qui del tutto evidente, come lo sarà poi nella descrizione della Gerusalemme nuova, di cui è detto che ha quattro lati (ἡ πόλις τετράγωνος κεῖται), e che i suoi lati sono volti ai quattro punti cardinali: a oriente (ἀπὸ ἀνατολῆς), a nord (ἀπὸ βορρᾶ), a sud (ἀπὸ νότου) e ad ovest (ἀπὸ δυσμῶν) (21,13). Anche i 1.600 stadi (multiplo di quattro; «=4 x 4 x 1.000») di 14,20 devono probabilmente esprimere il dilagare, in tutte le direzioni, del sangue che sale fino al morso dei cavalli.[28]
Il simbolismo del numero 4 è insomma il simbolismo della totalità cosmica e dell'azione universale di Dio messa in atto attraverso gli angeli dei venti suoi ministri, ed è il numero delle creature che attraverso i Quattro Viventi cantano eternamente la sua lode nella liturgia celeste.
5. Il 12 come numero del popolo di Dio
In tre ampi contesti figurano poi il numero "dodici" - l'altro numero fondamentale di Ap -, e i suoi multipli. Il primo contesto è quello di 7,5-8, dove si elencano uno dopo l'altro i nomi delle 12 tribù d'Israele a ognuna delle quali si attribuiscono 12.000 membri contrassegnati con il sigillo del Dio Vivente. È multiplo del 12 non solo il 12.000 di ogni tribù (= 12 x 1.000), ma anche il totale di 144.000 (12.000 + 12.000 + 12.000 ecc. = 144.000) che viene annunciato in Ap 7,4 e poi ripetuto in 14,1.3.
Il secondo contesto in cui ricorre il numero 12 è quello della visione della Donna messianica in Ap 12 la quale reca sulla testa (ἐπὶ τῆς κεφαλῆς) una corona di 12 stelle. Soprattutto a motivo di quel numero 12, ma anche per il fatto di avere come figli il Messia e i suoi discepoli (12,5 e 12,17), e per la protezione che Dio le riserva (come nell'antico esodo, vv. 6 e 14) per 3 anni e ⅟2 nel deserto, la Donna è il popolo messianico dell'AT e del NT, il quale in tal modo è nuovamente contrassegnato con il numero 12.[29]
Nel terzo contesto, che è quello della Gerusalemme escatologica, il numero 12 segna anzitutto e soprattutto gli spazi della città, e poi anche i suoi tempi. La città che, come si è visto, ha 4 lati (21,16), in ognuno dei lati delle mura ha 3 porte (v. 13) e 3 "fondamenti" (cf. v. 14). Il numero 12 si può dunque ottenere con la moltiplicazione di «4 x 3» sia per le porte che per i fondamenti, ma è poi esplicitato da Giovanni stesso quando dice che sulle 12 porte sono 12 angeli e i 12 nomi delle tribù d'Israele (21,12), e sui 12 fondamenti i 12 nomi dei discepoli dell'Agnello (21,14), e quando dice che i fondamenti sono composti di 12 diverse pietre preziose (21,19-20) e le 12 porte invece di 12 perle tutte d'un pezzo (21,21). In particolare, il 12 delle tribù e il 12 degli apostoli dell'Agnello parlano diacronicamente dell'unico popolo di Dio per il quale è preparata la Gerusalemme nuova, e forse la stessa somma di «12 + 12» è da vedere anche nel numero dei Ventiquattro Vegliardi della corte divina dei quali, come si è già visto, Ap parla a molte riprese (4,4 ecc.).[30] Il "dodici" torna poi attraverso i suoi multipli nelle misure della lunghezza, della larghezza e dell'altezza della città che sono di 12.000 stadi (21,16) e nel perimetro delle sue mura che è di 144.000 cubiti (21,17).
Quanto poi ai tempi, nella Gerusalemme nuova l'albero di vita, irrigato dal fiume dell'acqua di vita, porta 12 frutti, uno per ogni mese (22,2), così che nella città escatologica il 12 è misura dei tempi come lo è degli spazi.
Il numero 12 è dunque il numero del popolo di Dio sia per il passato (le 12 tribù), sia per il presente (i 12 discepoli dell'Agnello; - i 144.000 protetti dai flagelli dell'ira per mezzo del contrassegno del Dio vivente; la Donna perseguitata dal Drago), sia per il futuro, nella sua meta escatologica (la Gerusalemme discendente dal cielo). Il confronto del 12 di Ap 4-22 con il 7 di Ap 1-3 rivela poi che Giovanni, per parlare del popolo di Dio, ricorre al 7 in chiave pneumatica e a livello di chiese locali, mentre impiega il 12 in chiave storico-salvifica e per l'universale, unico Israele di Dio dell'AT e del NT.
II. La triade antidivina e il risvolto diabolico dei numeri
1. La Triade antidivina e la parodia del 3 e del 7
Per l'autore di Ap il numero non è solo ordine e perfezione, e non è solo divino: di fatto di esso si impadroniscono anche le forze avverse a Dio e al Cristo. Per illustrare il lato "diabolico" del numero conviene partire dal Drago, il capofila degli avversari di Dio, che in Ap 12 si oppone alla Donna messianica ravvolta di sole, e al Messia che essa dà alla luce.
Sconfitto in cielo (12,8-9) e in difficoltà sulla terra (12,13-17), il Drago si apposta sulla spiaggia del mare, come alla ricerca e in attesa di complici (12,18). Dal mare emerge infatti in suo aiuto una Bestia che tutte le genti finiscono per adorare (13,1-8), mentre una seconda Bestia sorge dalla terra e induce gli abitanti della regione a costruire una statua alla prima Bestia, chiedendo loro, anche con il ricorso alla violenza, di renderle culto e adorazione (13,11-17). Alla Triade divina, dunque, da cui venivano grazia e pace per le 7 chiese d'Asia, si contrappone una Triade anti-divina e idolatrica, da cui per i discepoli dell'Agnello vengono invece insidie alla fede, e persecuzioni. In tal modo Giovanni delinea la vera e propria parodia con cui la Triade idolatrica scimmiotta Dio e l'Agnello,[31] e che potrebbe essere illustrata con i molti elementi di parallelismo antitetico contenuti nella narrazione,[32] ma che qui va illustrata a partire dai numeri e dal loro simbolismo. I numeri della Triade idolatrica, come quelli della Triade divina, sono in parte numeri "iconografici" e in parte numeri dell'"agire".
2. Il soprannumero dei 10 corni e diademi
Quanto ai numeri "iconografici", il Drago ha 7 teste, 10 corni e 7 diademi (12,3) mentre la Bestia-dal-mare ha 7 teste, 10 corni e 10 diademi (13,1; cf. anche 17,3.7.9ss). I numeri caratterizzanti sono dunque il 7 e il 10, di cui il 7 è parodia dei numeri di Dio e dell'Agnello, mentre il 10, che era numero del διάβολος già in 2,10, esprime grande potenza fisica (10 corni) e grande potere politico (10 diademi).[33]
Quello che merita attenzione è il soprannumero dei 10 corni sia del Drago sia della Bestia, in rapporto alle loro teste, che sono soltanto 7. Alcuni interpreti si limitano a registrare la mancata simmetria,[34] altri attribuiscono la discordanza dei numeri al maldestro accostamento di fonti non rielaborate e unificate come sarebbe stato necessario,[35] ma più probabilmente la sproporzione tra il 10 e il 7 è intenzionale e parla, da un lato di arrogante ostentazione di potenza e, dall'altro, di disordine e di caos. Nella già di per sé mostruosa policefalia di Drago e Bestia, c'è dunque un elemento che deve allarmare ed allertare i cristiani delle chiese d'Asia, e tutti i lettori.[36]
3. "3 e ⅟2" come 7 dimezzato e mancato
Se nella sua parodia antidivina la Triade si è appropriata dei numeri "iconografici" di Dio e dell'Agnello, non riesce però ad appropriarsi del 7 quale numero dell'agire. In 12,6 l'insidia del Drago costringe la Donna al ritiro nel deserto per 1.260 giorni. Nel doppione - più che parallelo - di 12,14 la Donna si rifugia nel deserto per «un tempo, e tempi,[37] e la metà di un tempo», e dunque per «3 tempi e ⅟2». La strana espressione riprende Dn 7,25 e 12,7 dove i tre tempi (καιροί) e mezzo sono i tre anni e mezzo della persecuzione di Antioco IV Epifane, durata dal giugno del 168 a.C. al dicembre del 165. In 13,5, poi, la Bestia-dal-mare riceve il potere di agire per 42 mesi.[38] Poiché si tratta sempre dello stesso tempo (1.260 giorni = 42 mesi di 30 giorni = 3 anni e ⅟2), e poiché la chiave interpretativa di questi numeri è nel rimando ai "3 tempi/anni e mezzo" ricavati da Dn 7,25,[39] ciò che con essi Giovanni vuol dire è che il Drago (12,6.14) e la Bestia-dal-mare (13,5) agiscono in un tempo che è la metà del 7. In ogni versione possibile, dunque, e cioè facendo il calcolo in giorni, in mesi o in anni, il Drago e la Bestia hanno un agire dai tempi dimezzati, un agire mancato, rispetto al potente ed efficace e perfetto agire di Dio e dell'Agnello.[40] La parodia di Dio e dell'Agnello da parte della Triade idolatrica ha corto respiro, dunque, e l'esito dello scontro tra i due schieramenti è prevedibile e scontato: la perfetta azione di Dio non può non avere la meglio sull'azione claudicante e dimezzata del Drago e della Bestia.
In tal modo, per Giovanni lo scontro tra i due schieramenti che si fronteggiano nella storia è esprimibile con i numeri. Mentre l'arma dei loro avversari è il caos e la prevaricazione, l'arma di Dio e dell'Agnello è l'ordine dei numeri: i numeri dell'agire divino e messianico sono come la rete in cui le forze sataniche sono chiuse da ogni lato, catturate, e vinte.[41]
III. Calcolare il numero della Bestia (13,18)
1. Coinvolgimento del lettore di Ap nei calcoli
L'invito in Ap 13,18 a calcolare il numero della Bestia non coglie di sorpresa il lettore perché già in precedenza egli è stato coinvolto in calcoli e operazioni aritmetiche e lo sarà soprattutto nella finale descrizione della Gerusalemme escatologica.[42]
In 7,4-8, per esempio, Giovanni prima dà la somma totale dei 144.000 contrassegnati con il sigillo del Dio vivente, e poi da gli addendi: «l 2.000 dalla tribù di Giuda, 12.000 dalla tribù di Ruben ecc., e 12.000 dalla tribù di Beniamino». In Ap 11-13 Giovanni poi chiede al lettore, come si è visto, di cogliere l'equivalenza tra i "3 tempi e ⅟2" di 12,14, i 42 mesi di 11,2 e 13,5, e i 1.260 giorni di 12,6, con i relativi calcoli di moltiplicazione o divisione. In Ap 12,3 e 13,1 probabilmente egli chiede poi al lettore, come si è visto, di notare il soprannumero dei 10 corni o diademi di Drago e Bestia rispetto alle loro 7 teste, e la non-corrispondenza si rileva con la più elementare delle sottrazioni. In Ap 17,10-11 chiede al lettore di sommare «5 + 1 + 1» per ottenere il totale di 7 re, anche se poi, in virtù della sua "speciale" aritmetica,[43] egli stesso sconvolge il calcolo soggiungendo che uno dei 7 re sarà anche l'ottavo della serie (v. 11b). In Ap 21, infine, il lettore deve moltiplicare «3 (porte) x 4 (lati della città escatologica)» così da raggiungere il numero di 12 porte come totale. E ancora con la divisione deve poi ritrovare il numero 12 quale numero di base nei 12.000 stadi di larghezza, lunghezza e altezza della città (v. 16), e deve sommare «1 + 1 + 1...» fino a 12, nell'elenco delle pietre preziose dei fondamenti della città (vv. 19b-20), e deve distribuire i 12 frutti dell'albero tra i mesi dell'anno, attribuendo una fruttificazione ad ogni mese: «... l'albero di vita (...) produce 12 frutti, dando per ogni mese il suo frutto» (22,2).
Quando Giovanni chiede al lettore questi calcoli non lo fa senza motivo, ma per impegnarlo in una lettura partecipata e creativa, e per dirgli che ciò di cui si sta parlando è importante e lo riguarda, e che è lui stesso a essere in questione. E questo non può non essere vero anche e soprattutto per il calcolo - esplicitamente richiesto (...ψηφισάτω τὸν ἀριθμὸν τοῦ θηρίου)! - che il lettore deve saper fare del numero del nome della Bestia.
L'antica mitologia greca metteva sulle labbra della Sfinge di Tebe l'enigma circa "l'animale che cammina prima a quattro gambe e poi a due e poi a tre", ma attraverso Edipo di esso dava la soluzione. Giovanni di Patmos invece non svela la soluzione del suo 666, limitandosi a invitare il lettore alla sapienza e alla perspicacia: «Qui sta la sapienza (σοφία). Chi ha perspicacia (νοῦς) calcoli il numero della Bestia: infatti è numero d'uomo. E il suo numero è 666». Il «qui/ ὧδε» con cui si apre l'invito al calcolo, per Ruperto di Deutz († 1130) era come un dito puntato con grande preoccupazione su qualcosa al cui riguardo è necessaria ogni vigilanza: «[Giovanni] vuole che il suo lettore sia vigilante quando, indicando con il dito il punto preciso, dice: "Qui sta la sapienza"».[44] Giovanni chiede σοφία e νοῦς; per qualcosa dunque che è ben più che un gioco.[45] Tra l'altro in 15,2 egli dice per esempio che il numero della Bestia è qualcosa che il credente vince, così come deve vincere la Bestia stessa: è dunque questione di vita o di morte, come nella Tebe della mitologia greca lo era la soluzione dell'enigma della Sfinge.
2. Il 666 secondo gli antichi e secondo i moderni
Volendo passare in rassegna le interpretazioni del fatidico numero della Bestia date nei secoli, il primo commentatore, e al riguardo probabilmente anche il più grande di ogni tempo, è Ireneo (Adv. Haer. 5, 28-30). Ireneo anzitutto ci informa sulla tradizione interpretativa a lui precedente riferendo tre nomi che erano a vario titolo ritenuti il nome nascosto in Ap 13,18. In secondo luogo difende con fermezza il 666 contro la variante testuale del 616 che egli attribuisce all'errore di un copista: merita indulgenza - dice Ireneo - chi ritiene il 616 con ingenuità e senza malizia, ma ricade sotto le minacce di Ap 22,18-19 chi invece per secondi fini toglie intenzionalmente cinquanta unità al numero della Bestia. In terzo luogo Ireneo tenta almeno quattro nuove vie interpretative del nome.
Quanto ai tre nomi con i quali i predecessori di Ireneo avevano interpretato il 666, essi sono: ΕϒΑΝΘΑΣ, ΛΑΤΕΙΝΟΣ e ΤΕΙΤΑΝ. Il primo sarebbe la libera traduzione in greco (εανθας, composto con ευ- e -ανθος, "fiore") del nome del procuratore della Giudea dal 64 al 66, Gessius Florus (florus, da flos, -ris),[46] il secondo rimanderebbe all'impero romano-latino, e il terzo rimanderebbe non solo ai Titani della mitologia greco-latina ma anche al culto del sole.[47]
Quanto al suo proprio apporto, Ireneo: (i) ricerca nella Scrittura numeri paralleli che possano avere valore tipico per la Bestia, e li trova nei 600 anni di Noè che sarebbero da sommare con i 60 cubiti di altezza e i 6 di larghezza della statua di Nabucodonosor, così che l'apostasia e l'idolatria dell'AT preannuncerebbero quelle del tempo dell'Anticristo con cui egli identifica la Bestia; (ii) dal contesto dell'intera vicenda della Bestia ricava che il 666 è il nome di qualcuno «che non ha consistenza» ("quasi qui non sit"), perché in 17,8 è detto che la Bestia «fu e non è (κάι οὐκ ἒστιν), ascenderà dall'abisso, e andrà in perdizione». Ma soprattutto Ireneo (iii) rinuncia a fare calcoli con lettere e numeri, dicendo che il 666 può equivalere a troppi nomi così che non ha senso accanirsi nei calcoli, e dicendo che, d'altra parte, se fosse stato indispensabile conoscere quel nome, lo Spirito Santo e Giovanni ce lo avrebbero consegnato; di conseguenza, (iv) egli riflette sul 666 in sé stesso, rilevando che contiene tre volte il 6: una volta per le unità, una volta per le decine, e una volta per le centinaia; (v) è così che Ireneo attribuisce al 666 il valore e la forza di numero "di ricapitolazione", e ciò che il 666 ricapitola e riassume è detto da Ireneo con una lunga serie di sinonimi: l'iniquità, la malvagità, la ribellione a Dio, la falsità dell'idolatria, l'apostasia, la malizia, la pseudoprofezia, e l'inganno.
Ireneo ha fatto scuola e le strade da lui aperte sono state battute dopo di lui per tentativi simili. Qualcuno come lui ha cercato nelle Scritture numeri simbolici e collegabili con il 666: è il caso di Beda il Venerabile, il quale trova nell'AT che a Salomone, vero re, ogni anno veniva pagato un tributo di 666 mila talenti d'oro, e l'Anticristo, seduttore e tiranno, vorrebbe lo stesso omaggio (PL 93, 172.D); ed è il caso di Ruperto di Deutz, il quale scrive esplicitamente: «Sanctam Seripturam consulamus ecc.» (PL 179, 1085.A).
Spesso, poi, è stata ripetuta la riflessione sul numero 6 come numero (non di ricapitolazione ma) d'incompletezza,[48] o - stranamente come numero di perfezione.[49] Qualche volta si è saggiamente imitata la ritrosia di Ireneo a dare soluzioni: così hanno fatto Riccardo di San Vittore, Bruno di Asti, e soprattutto Berengaudo che scrive: «De re tam incerta nihil audeo definire» (PL 17, 972.A).
Molto più spesso, invece, chi commentava il 666 di Ap 13,18, ha percorso la strada dei precursori di Ireneo così che, sotto il suo influsso,[50] alcuni per esempio hanno riproposto TEITAN[51] o ΛATEINOΣ,[52] prolungando dunque l'interpretazione antiromana di Ap. Sulla stessa linea e in base allo stesso metodo, quello del valore numerico delle lettere o gematria, sono poi stati proposti ANTEMOΣ, "[honori] contrarius" e quindi "inetto",[53] o "contrapposto" a Dio e al Cristo; e poi APNϒME,[54] «nego, negator», in quanto l'Anticristo è colui che combatte e nega il Cristo; e poi DICLUX, nome in lingua latina e vicino al nonsenso;[55] e infine ΓΕΝΣΕΡΙΚΟΣ, inteso come "gentium seductor", nome che fu proposto evidentemente sotto l'impressione suscitata in tutta Europa dall'occupazione di Cartagine (439 d.C.) e dal saccheggio di Roma (455 d.C.) da parte del re dei Vandali.[56]
L'unica ulteriore precisazione che dopo Ireneo i commentatori antichi hanno aggiunto è che la lingua del nome da proporre dev'essere il greco, dal momento che l'Ap è scritta in lingua greca. Dice per esempio Bruno di Asti: «Alcuni hanno voluto esprimere questo nome anche in latino, ma poco pertinentemente, poiché questo libro è stato scritto in greco» (PL 165, 677.C).[57]
Nell'epoca delle controversie confessionali nella quale l'Ap è stata selvaggiamente strumentalizzata come arma per colpire l'avversario, ha portato i protestanti a vedere nella Bestia il papato e a interpretare il suo numero per esempio con ITAΛIKH EKKΛHΣIA, "la chiesa italica", oppure con ΠΑΠΕΙΣΚΟΣ, "papista", mentre da parte cattolica è stato proposto per esempio ΛΟϒΘΕΡΑΝΑ, "(ribellione) luterana / cose luterane".[58] Il ritorno all'interpretazione di Ap in chiave di storia contemporanea e in particolare in chiave anti-imperiale, ha portato invece gli interpreti degli ultimi secoli a cercare nel 666 il nome di qualche imperatore romano. J.B. Bossuet (scripsit 1689) ha riproposto DICLUX interpretandolo come DIoCLes aVgVstVs, "Diocleziano Augusto"; Grotius (= H. de Groot, scripsit 1644) ha proposto OϒΛΠΙΟΣ, "Ulpio (Traiano)"; F. Spitta (1889) ha proposto ΓΑΙΟΣ KAIΣAP, "Gaio (Caligala) imperatore";[59] G.A. Deiβmann (1908) ha proposto KAIΣAP ΘEOΣ, "[L'] Imperatore [è] Dio";[60] H. Kraft (1974) ha proposto M. NEPOϒA, "M. Nerva imperatore"; L. von Hartingsveld (1978), ha proposto QEYSAR DWMYTYANUS, "Domiziano imperatore" (in lettere ebraiche), e precedentemente quattro interpreti (C.F.A. Fritzsche, 1831; F. Benary, 1836; F. Hitzig, 1837; E. Reuβ, 1837), ognuno indipendentemente dall'altro, avevano proposto QSR NRWN, "Nerone imperatore" (in lettere ebraiche),[61] che è attualmente la più condivisa delle interpretazioni.[62]
A partire da A.G. van den Bergh van Eysinga (1912), con una certa insistenza viene poi proposta un'interpretazione aritmetica del 666, che è un numero doppiamente triangolare, essendo esso triangolare del numero 36 che, a sua volta, è triangolare del numero 8.[63] La somma dei numeri da 1 a 8, cioè, ammonta a 36, e la somma dei numeri da 8 a 36 ammonta a 666. Poiché secondo gli antichi il numero triangolare (ἀριθμὸς τρίγωνος) ha lo stesso valore e significato del suo numero di base, il numero 666 di Ap 13,18 è da mettere dunque in relazione al numero 8, come in qualche modo fa il v. 17,11: «... e la Bestia [il cui numero è 666] che era e non è, è l'ottavo re /ὄγδοος, ed è uno dei 7». In conclusione, come numero doppiamente triangolare, il 666 sarebbe in stridente contrasto con il numero quadrato[64] del Cristo e con il 144.000 dei suoi discepoli, rappresentando tutta l'iniquità dell'Anticristo e, insieme,[65] la repentinità della sua fine.
3. Bilancio e prospettive
Intorno all'"irritante mistero"[66] del numero di Ap 13,18 sono dunque sorti tre tipi d'interpretazione. L'interpretazione più antica perché anteriore a Ireneo e tuttora di gran lunga la più diffusa è quella gematrica, la quale va in cerca di un nome le cui lettere ebraiche o greche o latine diano la somma di 666 con il loro valore numerico. Ireneo poi ha inaugurato l'interpretazione del valore del 666 come numero ricapitolativo e simbolico, interpretazione che alcuni antichi hanno seguito spesso in linea subordinata alla gematria e che non è assente neanche tra gli interpreti moderni. L'interpretazione aritmetica del 666 come numero triangolare, l'ultima a essere proposta, la quale si colloca idealmente in continuità con le speculazioni numerologiche di pitagorici e gnostici, è andata pian piano guadagnando sostenitori, ma stenta a farsi accettare.
E non senza motivo.[67] L'interpretazione aritmetica infatti, se in qualche modo spiega il rimando di Giovanni al numero della Bestia, non spiega invece il rimando al suo nome, non prendendo neanche in considerazione il fatto che Giovanni parli del nome della Bestia (13,17bis; 14,11; 15,2) e soprattutto del «numero del suo nome» (13,17; 15,2). L'interpretazione gematrica invece è con ogni probabilità presupposta dall'imperativo ψηφισάτω. Il verbo ψηφίζω deriva da ψῆφος, "sassolino levigato"[68] e significando di per sé "contare con pietruzze", qui significa invece "calcolare con lettere" perché il calcolo riguarda un nome. Non c’è commentatore allora che con A. Deiβmann e Th. Zahn non rimandi al graffito pompeiano che in lingua greca dice: «Amo colei il cui numero è 545 – φιλω ης αριθμος φμε», ma è forse ancora più esplicito il testo citato nel dizionario di Liddell - Scott - Jones alla voce "ψηφίζω", perché invita a calcolare con le lettere: «ἐὰν ψηφίσῃς τὸ ἕν ἐν γρἀάμμασιν κτλ /se calcolerai il [termine] ἕν in base a [1 valore numerico delle sue] lettere, ...» (Theologoumena Arithmeticae 64).
Se la via gematrica è probabilmente quella intesa e voluta da Giovanni per i suoi contemporanei, essa però non potrà mai portare ad alcun risultato certo perché come molti autori fanno osservare non sappiamo quale sia l'alfabeto in base al quale si deve fare il calcolo, né sappiamo di quante lettere sia composto il nome, così che l'enigma resta necessariamente aperto a un numero indefinito di possibili soluzioni.[69] Le lettere greche con valore numerico sono 27,[70] e, se per esempio il nome nascosto sotto il 666 fosse di 6 lettere come il TEITAN di Ireneo, avremmo sei incognite, ognuna delle quali dovrebbe essere elevata alla 27a potenza. È ben vero che poter raggiungere la certezza circa il nome nascosto in 13,18 significherebbe raggiungere la certezza anche sull'interpretazione globale di Ap, e in particolare circa il bersaglio principale preso di mira dall'aggressivo Giovanni di Patmos. Ma quella certezza ci è dunque irrimediabilmente preclusa.
Di conseguenza bisogna rinunciare alla soluzione piena dell'enigma e, senza rimpianti e con un po' di opportunismo, accontentarsi di una soluzione parziale. Di fatto il 666 può cedere un po' del suo mistero se viene collegato e confrontato con gli altri numeri di Ap, perché fortunatamente il resto del simbolismo numerico giovanneo, come si è visto, è in buona misura alla nostra portata. Richiamando Ireneo, P. Prigent dice che la sua interpretazione del 6 come numero di ricapitolazione non è molto convincente, ma che il principio è interessante. Ed è su questa strada che bisogna mettersi a cercare.[71]
4. Tentativi di interpretare il 666 in base al simbolismo del 6
Un numero che abbastanza spesso viene messo in relazione di contrasto con il 666 è il numero 7, e cioè il numero dell'agire perfetto di Dio e dell'Agnello. Restando per tre volte al di sotto del 7, il 666 significherebbe una perfezione clamorosamente mancata. E.-B. Allo per esempio usa le espressioni: «pouvoir incomplet», «une chose manquée» e Prigent: «7 lacunoso» e «imperfezione irrimediabile».[72] Altri autori arrivano alla stessa conclusione mettendo il 666 in relazione con il numero 8 o, meglio con l'888 che, secondo il calcolo di Orac. Sybill. l, 324-331, è il valore numerico del nome di Gesù in greco, IHΣΟϒΣ.[73]
Delle due proposte, la prima si scontra però con il fatto che il 7 è da Giovanni attribuito anche al Drago (12,3: 7 teste e 7 diademi) e alla Bestia (13,1; 17,3.7.9ss: 7 teste),[74] così che a ragione H. Kraft scrive: «Anche l’imperfezione ha il suo vertice nel numero 7».[75] Tra l'altro proprio sulle 7 teste della Bestia, Giovanni imbastisce tutta una vera e propria speculazione iconografica per dire che la Bestia è vulnerabile («una delle teste fu colpita a morte», 13,3), o per aiutare il lettore a collocare topograficamente la Grande Prostituta che la cavalca («le 7 teste sono 7 monti su cui siede la donna», 17,9), o per dire che le 7 teste sono simbolo di potere politico («le 7 teste ... sono 7 re»), e per dire che uno di quei re è la Bestia stessa, la quale va in perdizione ecc. (17,11). Quanto poi al confronto da stabilire tra il 666 e il numero 888 quale numero di Gesù, la difficoltà viene dal fatto che in Ap il numero 8 è una volta numero della Bestia (17,11) e mai in nessun modo numero di Gesù, tanto è vero che l'888 e il suo simbolismo cristologico sono da cercare negli Oracoli Sibillini.[76]
Un'intuizione di Ch. Brütsch, da lui non messa a frutto, aiuta a dire qualcosa di meglio. L'idea è quella di vedere il 6 o il 666 non in se stessi, ma integrandoli nel sistema simbolico dei numeri di Ap.
5. Il 666 in relazione al 12 e non al 7
Nel commento ad Ap 1,4 dove si incontra il primo numero di Ap, Brütsch afferma che i numeri 7 e 12 caratterizzano generalmente la pienezza dell'opera divina mentre le cifre "troncate" come il 3 e ⅟2 e il 6, metà del 7 e rispettivamente del 12, lasciano intravedere l'imperfezione, l'inconsistenza e la fine miserabile delle imprese demoniache.[77] Dei due elementi sui quali Brütsch fa leva, quello del 7 come numero della perfezione è stato escluso poco più sopra, perché il 7, come s'è visto, è numero anche del Drago e della Bestia. A questo si aggiunge il fatto che in Ap la regola dei numeri imperfetti in quanto mancanti di una unità, è sconosciuta. È invece attestata in 5 testi (11,2.3; 12,6.14; 13,5) la regola del numero imperfetto perché dimezzato, anche se per il solo numero 3 e ⅟2, quale metà del 7.[78]
In tal modo, la via del 6 quale metà del 12, intravista da Brütsch, non solo è senza controindicazioni, ma rientra nel modo giovanneo di costruire simbolismi numerici. È ben vero che in greco il 666 non è l'accostamento di tre 6 come nei numeri arabi,[79] bensì di 600 (ἐξακόσιοι), di 60 (ἐξέκοντα), e di 6 (ἐξ), e tuttavia è pur sempre multiplo del 6 e somma di suoi multipli. C'è di più perché, quando il lettore (Ap 1,3) avrebbe letto nelle assemblee delle chiese di Asia l'invito a calcolare il numero della Bestia, l'orecchio degli ascoltatori sarebbe stato colpito tre volte dallo "ex-" e dalla sibilante con i quali iniziava sia il numero delle centinaia (ex-akosioi), sia il numero delle decine (ex-ekonta), sia infine il 6 delle unità (ex).[80]
Il 666 è dunque anzitutto una cifra tutta giocata sul numero 6, miserabile metà del numero 12, che è il numero del popolo di Dio. Di conseguenza, in secondo luogo, esso dice che la Bestia non ha nulla a che fare con il popolo di Dio, e che, viceversa, le chiese d'Asia e tutti i discepoli dell'Agnello non hanno nulla a che fare con la Bestia. Senza la minima esitazione, chi legge l'Apocalisse deve conseguentemente optare per la parte giusta: deve mettersi dalla parte dei 12 apostoli dell'Agnello, e dei 144.000 segnati in fronte col sigillo del Dio vivente, e dev'essere ben consapevole che la patria verso cui è in cammino è la Gerusalemme nuova, con le sue 12 porte, con i suoi 12 fondamenti, e con i 12 frutti dell'albero di vita.
I numeri di Ap parlano dunque di Dio e del Cristo, del loro essere e del loro agire. Parlano delle 7 chiese d'Asia, dell'azione pneumatica che in esse Dio e l'Agnello dispiegano, e del popolo che venendo da lontano, dall'Israele delle 12 tribù, va verso la città delle 12 porte e dell'albero di vita. Non parlano però solo del passato o del futuro: parlano anche delle insidie che nel tempo intermedio, breve ma decisivo, vengono dal mondo che cerca di sostituirsi a Dio, di carpire ai popoli l’ adorazione che devono a Dio, e cerca d'incrinare la fedeltà dei discepoli dell'Agnello.
I numeri di Ap dicono dunque come credere e quali scelte fare. E così che il lettore passa da un episodio all'altro del libro, imparando a riconoscere, a scegliere, e a schierarsi, con la certezza interiore che i numeri trasmettono. Il lettore di Ap è coinvolto anche emotivamente: lo dicono le immagini, il vocabolario e la vasta gamma di generi letterari cui Giovanni ricorre. Ma a lui Giovanni insegna di dominare le emozioni con la lucidità e razionalità dei numeri, così che i numeri di Ap chiedono e danno sapienza e perspicacia.
Note al testo
[1] O. Rühle, «ἀριθμέω, ἀριθμός», in GLNT, I (Brescia 65 [Stuttgart 1933]), 1230, spiega il sorgere dell'uso religioso dei numeri come segue: «L'uomo si avvede in qualche modo che dietro ai numeri vi è una forza o una legge, giacché nota che alcuni numeri ricorrono regolarmente. Ma tale legge egli non è in grado di afferrare, così che quello che i numeri hanno di inintelligibile diventa per lui un mistero, e allora immagina che nei numeri, come anche nelle lettere dell'alfabeto, agisca qualche forza arcana... Nascono in tal modo i numeri sacri che si incontrano ad ogni piè sospinto nella magia e nella religione, senza che si possa capire perché siano proprio certi numeri, come ad esempio 3, 7, 9 a godere di una speciale preferenza».
[2] Adela Yarbro Collins, «Numerical Symbolism in Jewish and Early Christian Apocalyptic Literature», in A.N.R.W., II, 21.2 (Berlin - New York 1984), 1272, 1286, afferma che l'Apocalisse giovannea detiene il primato, non solo all'interno del NT ma anche nei confronti di tutta la letteratura apocalittica. - I numeri di Ap, tra cardinali, ordinali e frazionali, sono 275 (283, se si contano quelli che entrano in composizione), in un totale di 405 versetti e 22 capitoli, con una frequenza media di 1,3 numeri per ogni due versetti e di 12,5 numeri per ogni capitolo.
[3] U. Vanni, «Il simbolismo dell'Apocalisse», in Greg 61 (1980), 461-506, ripreso in U. Vanni, L'apocalisse. Ermeneutica, esegesi e teologia (Bologna 1988), 31-61 (da cui le citazioni); Adda Yarbro Collins, «Numerical Symbolism», 1221-1287.
[4] Cf. C. Clemen, in ZNW 2 (1901), 109-114; 11 (1910), 204-223; P. Corssen, in ZNW 3 (1902), 238-242; 4 (1903), 264-267; 5 (1904), 86-88; E. Vischer, in ZNW 5 (1904), 84-86; C. Bruston, in ZNW 5 (1904), 258-261; G.A. van den Bergh van Eysinga, in ZNW 13 (1912), 293-305; A.H. McNeile, in JThSt 14 (1913), 443-444; H.A. Sanders, in JBL 37 (1918), 95-99; W. Hadorn, in ZNW 19 (1919-1920), 11-29; W.E. Beet, in Exp 8ᵗᵗͪ S 47, n. 121 (1921), 18-31; F. Dornseiff, in FF 12 (1936), 369; E. Vogt, RevBíb 6 (1944), 192-194; P.W. Skean, in CBQ 10 (1948), 398; P.S. Minear, in JBL 72 (1953), 93-101; F. Cramer, in ThGl 44 (1954), 63; C. Cecchelli, in Studi in onore di G. Funaioli (Roma 1955), 23-31; D.R. Hillers, in BASOR n. 170 (1963), 65; E.M. Bruins, in NedThT 23 (1968-1969), 401-407; Th. Häberle, in SchwKZ 137 (1969), 548-550; W.G. Baines, in HeithJ 16 (1975), 195-196; L. van Hartingsveld, in T. Baarda et al., a cura di, Miscellanea Neotestamentica, II (NTSuppl 48, Leiden 1978), 191-201; M. Oberweis, in ZNW 77 (1986), 226-241; G. Bohak, in JournStudPseud 7 (1990), 119-121; M.G. Michael, in DeltBibMel 28 (1999), 33-39.
[5] Le ricorrenze di ἑπτά in Ap sono 60 su di un totale neotestamentario di 88, mentre l'aggettivo ordinale ἕβδομοϛ; ricorre 5 volte in Ap su un totale neotestamentario di 9 ricorrenze.
[6] Andrea di Cesarea (fine sec. VI), PG 106, 353.B: πανταχοῦ τòν ἕβδομον ἀριθμòν παραλαμβάνει ; Beda († 735), PL 93, 131.A: «Hunc enim mystica solertia numerum pene ubique servat»; Berengaudo (sec. IX o, meglio, sec. XII), PL 17, 845.D, e 892.B: «Totus hic liber in septenario numero consistit»; Gioacchino da Fiore († 1202), Enchiridion super Apocalypsim, Burger ed., 101-102: «Librum istum septenarius totus [= totum ?] possidet numerus». - Su Berengaudo, sul suo nome, e sulla sua ambientazione cronologica cf. G. Biguzzi, I settenari nella struttura dell'Apocalisse (Bologna 1996), 13, nota 4.
[7] Cf. K.H. Rengstorf, «ἑπτά », in GLNT, III (Brescia 1967 [Stuttgart 1933]), 807: «... la ragione [della rilevanza del numero 7 presso molti popoli] quasi certamente non va cercata nell'esistenza dei sette pianeti, ma nelle quattro fasi lunari di sette giorni ciascuna». - Le fasi lunari, osservabili a qualsiasi latitudine, da sempre sono servite da base per il computo e la divisione del tempo, come dicono i molti calendari lunari dell'antichità.
[8] Troade era circa alla stessa distanza a nord di Pergamo, che Efeso a sud. La celebrazione notturna di cui parla At 20,7ss (ma cf. anche 2Cor 2,12) dice che già alla fine degli anni 50 a Troade esisteva una comunità di credenti con assemblee eucaristiche settimanali.
[9] Canone Muratoriano (180 d.C. circa), ll. 58-59; Vittorino († 304), PL Suppl. I, 110.
[10] Cf. Primasio di Adrumeto ( † 552), Andrea di Cesarea (fine sec. VI), Beda († 735), Ambrosio Autperto († 784), Beato di Liébana (scripsit 786 circa), Alcuino († 804), Aimone di Halberstadt († 835), Walafrido Strabone († 849), Bruno di Segni (scripsit 1079 circa), Anselmo di Laon († 1117), Riccardo di San Vittore († 1173), Berengaudo (sec. IX, o XII), Martino di Leόn (sec. XIII), e il commentatore siro Dionisio Bar Salībī (sec. XII).
[11] R. Bauckham, The Theology of the Book of Revelation (Cambridge 1993), 112-113: «The seven Spirits are sent out into all the earth to make his victory effective throughout the world. While God himself (...). dwells in heaven, not yet on earth, and while the Lamb, victorious through his death on earth, now shares his Father's throne in heaven, the seven Spirits are the presence and power of God on earth, bringing about God's kingdom by implementing the Lamb's victory throughout the world».
[12] Cf. per esempio A. Schlatter, Die Briefe und die Offenbarung des Johannes (Stuttgart 1921), 235-136, che commenta Ap 1,4 scrivendo: «Daß in der Provinz Asien sieben Gemeinden nebeneinandergestellt sind, ist die dortige Kirche als ein Werk der göttlichen Weisheit und Kraft gekennzeichnet, die nichts unvollkommen tut».
[13] F. Hauck, «δέκα», in GLNT, II (Brescia 1966 [Stuttgart 1935]), 832: «[In Ap 2,10 il numero dieci] indica una persecuzione di breve durata, cf. Dan 1,12.14».
[14] Cf. lo stesso F. Hauck, «δέκα», 829.: «Alla radice dell'importanza attribuita al numero dieci sia in Israele che in altri popoli sta l'abitudine originaria di numerare sulle dita di una o di entrambe le mani», e cf. O. Rühle, «ἀριθμέω, ἀριθμός», 1229: «In origine il contare non era un atto intellettuale, ma un atto di estrema concretezza, poiché il primitivo può contare solo aiutandosi con le dita delle mani ecc.». A. Quacquarelli, «Numeri (simbolica)», in DPAC (Casale M. 1983), 2446, parla di "flexio digitorum", "loquela digitorum".
[15] I "10 giorni" di Ap 2,10 in qualche modo sono l'equivalente di quanto dice 1Cor 10,13, secondo cui Dio non mette alla prova gli uomini oltre le proprie forze, e, insieme con le prove, dà la forza per sopportarle.
[16] Di per sé ὁ διάβολος; si potrebbe tradurre anche genericamente con "l'avversario", "chi ti è ostile", ma più probabilmente va qui tradotto con "il diavolo", "Satana", soprattutto per l'assenza del genitivo «di voi / ὑμων».
[17] Un unico probabile riferimento alle chiese d'Asia è in Ap 22,16: «Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per testimoniare a voi circa le chiese (ἐπὶ ταῖς ᾿εκκλησίαις)».
[18] Cf. G. Biguzzi, I settenari nella struttura dell'Apocalisse, 288-291.
[19] Cf. Ibidem, 11-13.
[20] I corni vanno intesi in continuità con il linguaggio del salmista secondo il quale in essi si concentra la potenza d'urto e la pericolosità del bufalo: «Salvami dalla bocca del leone, e dai corni dei bufali» (Sal 21,22; cf. anche Nm 23,22; Dt 33,17). - I corni compaiono in molta iconografia orientale antica sulle teste delle divinità per dire la loro potenza divina positiva: cf. J.B. Pritchard, ANEP, nn. 513-515, 524-526, 529, 538 ecc.
[21] Per E.-B. Allo, Saint Jean. L'Apocalypse (Paris 1921), 102, gli angeli delle trombe sarebbero appunto al servizio dell'Agnello, e quelli delle coppe sarebbero da identificare con quelli delle coppe (p. 229).
[22] Cf. G. Biguzzi, I settenari nella struttura dell'Apocalisse, 152-154, per il settenario delle trombe, e 166-167, per il settenario delle coppe.
[23] Cf. Ibidem, 179-196.
[24] Cf. per esempio A. Schlatter, Die Briefe und die Offenbarung des Johannes, 135, che scrive: «... dient die Siebenzahl als Merkmal für die Werke Gottes, um die Vollkommenheit auszudrücken. in der sich der Wille Gottes in ihnen offenbart und verwirklicht».
[25] Il primo Vivente ha le fattezze del leone, e universalmente il leone è ritenuto il più forte degli animali selvatici. Il secondo Vivente ha le fattezze del toro, e il toro è il più forte degli animali domestici. Il terzo Vivente ha volto come di uomo, e l'uomo è l'essere più nobile di tutto il regno animale. Il quarto Vivente, infine, ha le fattezze dell'aquila e l'aquila è il più forte dei volatili. Che Giovanni voglia sottolineare le caratteristiche tipiche dei quattro "animali", lo si ricava non solo dal fatto (trascurabile ma a suo modo indicativo) che l'aquila si libri in volo (ὅμοιον ἀετῷ πετομένῳ) quasi a dire che un'aquila non è tale se non è in volo, ma si ricava poi soprattutto dal fatto che le quattro fattezze caratterizzano l'identità distinta dei Quattro Esseri, mentre esse sono ibridamente presenti in ognuno dei Viventi in Ez l. - Quanto all'ordine di successione, Giovanni parte dalla foresta (leone), continua con l’ambiente domestico (bue, uomo) e finisce con il cielo (aquila), coinvolgendo la totalità dei luoghi dove si manifesta la vita, sia in linea orizzontale, sia in linea verticale: l'uomo non è al vertice ma al centro, perché al vertice ci sia il cielo, abitazione di Dio.
[26] H. Balz, «τέσσαρες», in GLNT, XIII (Brescia 1981 [Stuttgart 1969]), 1160: «I quattro punti cardinali e le quattro regioni del mondo abbracciano l'intero orizzonte. È quindi breve il passo per giungere al significato traslato della quaternarietà come base e fondamento della globalità, della totalità, della completezza»
[27] I quattro angoli (γωνίαι) della terra, menzionati anche in 20,8, sono da intendere come i quattro quadranti della terra, corrispondenti ai quattro punti cardinali (così H. Balz, «τέσσαρες», 1177, nota 75), più che come i quattro lati della terra che sarebbe concepita come un quadrangolo, come vogliono E. Lohmeyer, Die Offenbarung des Johannes (Tübingen 1926), 65; e J. Jeremias, «γωνία », in GLNT, II (Brescia 1966 [Stuttgart 1933,]), 735 («La terra è immaginata rettangolare»). Cf. il titolo accadico "re dei quattro angoli della terra", citato in Balz (ibid., 1160, nota 15).
[28] Così per esempio J. Sweet, Revelation (Philadelphia, PA), 233, che scrive: «...a symbol of the world (4x4 - the four corners)», ma cf. già Girolamo nella recensio Victorini: «... id est per omnes mundi quattuor partes» (PL Suppl. I, 162).
[29] Cf. G. Biguzzi, «La Donna, il Drago e il Messia in Ap 12», in Theotokos 8 (2000), 33-34.
[30] Così intendono per esempio anche alcuni commentatori antichi come Vittorino (PL Suppl. I, 121: «... sunt xxiiii patres xii apostoli et xii patriarchae»); Andrea di Cesarea (253.D: «διὰ τῶν ιβ’ πρεσβυτέρων, τοὺς ἐν τῇ Παλαιᾷ διαλάμψαντας διἀ δὲ τῶν ἑτέρωνιβ’, τους ἐν τῇ Νέᾳ διαπρέψαντας»), e cf. Walafrido Strabone che invece dei patriarchi introduce 12 profeti (PL 144, 718.C: «Viginti quatuor seniores: duodecim prophetae, duodecim apostoli»).
[31] Per tutti cf. R. Halver, Der Mythos im letzten Buch der Bibel. Eine Untersuchung der Bildersprache der Johannes-Apokalypse (Hamburg - Bergstedt 1964), 39, che chiama Satana "la scimmia di Dio - die Affe Gottes".
[32] Cf. per esempio il titolo di P. Barnett, «Polemical Parallelism etc.», in JSNT n.35 (1989), 111-120.
[33] Quanto alle 7 teste, D.H. Lawrence, Apocalisse (Roma 1995 [Firenze 1931]), 77, scrive lapidariamente: «Sette teste, sette vite», mentre Ch. Hauret, «Eve transfigurée. De la Genèse a l'Apocalypse», in RHPR 59 (1979), 330, definisce i diademi del Drago come "emblème de sa royauté multiforme". Sui diademi cf. poi G. Biguzzi, «La Donna, il Drago e il Messia in Ap 12», 39-41.
[34] E.-B. Allo, L'Apocalypse, lxi («Comment done faudrait-il répartir les cornes sur les têtes?»); J. Bonsirven, L'Apocalypse de Saint Jean (Verbum Salutis, 16; Paris 1951), 216 («Les dix cornes ... s'accordent peu avec les sept têtes»), Ch. Brütsch, La clarté de l'Apocalypse (Genève ₁1940, ⁵1965), 206 («... tout cet attirail surchargé le rend peu symétrique et assez cocasse»).
[35] Così W. Bousset, Die Offenbarung Johannis (Göttingen 11896, 61906), 337; A. Loisy, L'Apocalypse de Jean (Paris 1923), 228; E. Lohmeyer, Die Offenbarung des Johannes, 97; A. Gelin, L'Apocalypse, in L. Pirot, a cura di, La Sainte Bible, XII (Paris 1938), 629; E. Lohse, L'Apocalisse di Giovanni (Brescia 1974 [Göttingen 31971]), 125-126 («Questi due elementi, derivanti da tradizioni diverse, non vengono armonizzati fra di loro»). Difficilmente però il soprannumero può essere spiegato a questo modo, dal momento che lo si ritrova sia per il Drago che per la Bestia.
[36] G. Biguzzi, «La Donna, il Drago e il Messia in Ap 12», 38-41.
[37] B.J. Le Frois, The Woman Clothed with the Sun (Ap 12), (Roma 1954), 186, scrive che nel libro di Dn «it may reasonably be supposed that the plural stands for the dual»; similmente A. Kassing, Die Kirche und Maria. Ihr Verhältnis im 12. Kapitel der Apokalypse (Düsseldorf 1958), 53.
[38] Cf. poi i 42 mesi durante i quali la città santa è lasciata in balìa delle genti (11,2) e i 1.260 giorni del difficile ministero profetico dei Due Testimoni fra gli "abitanti della terra" (11,3).
[39] W. Hadorn, Die Offenbarung des Johannes (Leipzig 1928), 8, parla di "danielische Zahl".
[40] Cf. E.-B. Allo, L'Apocalypse, 143, che cita da Holtzmann l'espressione "die gebrochene Siebenzahl", e che di suo aggiunge: «3⅟2... signifie ce qui est arrêté au milieu de son cours».
[41] G. Biguzzi, I settenari nella struttura dell'Apocalisse, 252-253, nota 99, citando M. Rissi (1952), R. Halver (1964), e Adela Yarbro Collins (1984).
[42] Cf Ibidem, 111, e 137, con molti rimandi a U. Vanni, «II simbolismo dell'ApocaIisse», in Id., L'Apocalisse. Ermeneutica, esegesi e teologia (Bologna 1988, rist. 1998).
[43] J. Bonsirven, L'Apocalypse de Saint Jean, 36 («Cette opération ne relèverait-elle pas d'une arithmétique spéciale au voyant et lui permettant de dire "qu'un huitième fait partie des sept" nommés antérieurement, mélange de l'ordre quantitatif et du qualitatif?»).
[44] «Vigilantem vult esse auditorem dum quasi digito designans atque circumspiciens: "Hic, inquit, sapientia est"» (PL 169, 1083.D). - Già Ireneo riteneva l'indicazione di quel nome come stimolo alla vigilanza («Nunc autem numerum nominis ostendit, ut caveamus illum venientem, scientes quis est»). Secondo Martino di Léon invece la sapienza e l'intelligenza sono necessarie per non cadere nell'inganno, dal momento che l'Anticristo si presenterà con il nome di Cristo, essendo in realtà suo avversario implacabile (PL 209, 371.D).
[45] Cf. G.R. Beasley-Murray, The Book of Revelation (Grand Rapids, MI, 1978), 219:«John did not intend to pose a riddle for his readers. The issue was far too serious for that».
[46] Così F.H. Colson, «Euanthas», in JThSt 17 (1916), 100-101: «It seems to me incredible that the suggestion whom first put forward should have been meaningless (...). The governor [= Gessio Floro] whose barbarities are described at length by Josephus, (...) whose oppression brought on the fatal war, perhaps according to his deliberate intention, of whom Tacitus says 'duravit tamen patientia ludaeis usque ad Florum procuratorem', must long have been a name of horror to every Jew» (p. 100). Va detto comunque che per designare il procuratore romano in questione, Giuseppe Flavio adopera la traslitterazione Γέσσσιος Φλῶρος. È meno convincente l'interpretazione di Ευανθας proposta da F. Dornseiff, «Die Rätsel-Zahl 666 in der Offenbarung des Johannes», 369 («Ευανθας...: ein 'Wohlblühender'! das ist ein grimmiger, bitterer Witz. Dem römischen Kaiser und dem Römer überhaupt, dem 'Lateiner', ging es wirklich gut; der konnte sich aus der Habe seiner Opfer vollfressen»). Sulla scia di Colson, cf. J. Bonsirven, L'Apocalypse de Saint Jean, 235-236, nota l. - Per molti autori Ευανθας, è invece un nome senza significato: cf. H.B. Swete, The Apocalypse of St. John (London 11906, 21907), 175 («the impossible word Euanthas»); W. Barclay, «Revelation XIII», in ExpT 70 (1959), 295 («Euanthas is itself meaningless»); Josephine Massyngberde Ford, Revelation (Anchor Bible, 38; Garden City, NY, 11975,41980), 226 («Ευανθας...is meaningless»).
[47] Scrive infatti Ireneo: «... et divinum putatur apud multos esse hoc nomen, ut etiam sol 'Titan' vocetur ab his qui nunc tenent». Cf. poi per esempio anche la recensio Victorini che dice: «'Teitan', quem gentiles Solem Phoebumque appellant...» (PL Suppl. I, 157). - Per ulteriore documentazione su Teitan cf. Th. Zahn, Die Offenbarung des Johannes, II (Leipzig - Erlangen 1926), 467, nota 79.
[48] Così Ruperto di Deutz, per il quale il numero 7 è numero di Dio, il quale nel settimo giorno della creazione si riposò, ed è numero dell'Agnello che secondo lo stesso libro di Ap ha 7 corni. Ma l'Anticristo si ferma al numero 6 - dice Ruperto -, perché «nusquam ad septimum pervenit, quia numquam poenitentiam egit, sive acturus est» (PL 169, 1088.C).
[49] Così Walafrido Strabone (734.C), Anselmo (PL 162, 1549.C-D), per i quali il 6 indica la perfezione minima, quella dei coniugati; il 60 la perfezione mediana, quella di coloro che abbandonano il matrimonio e vivono in castità; il 600 la perfezione massima, quella di chi vive compiutamente l'integrità del corpo e dello spirito. E cf. poi Aimone (PL 117, 1103 D1104.B), e Riccardo (PL 196, 809.A-B).
[50] Non è certo a caso che per esempio Ippolito (prima metà sec. III) riproponga gli stessi tre nomi che si trovano in Ireneo (De Antichr. 50,11-14).
[51] Così hanno fatto Ippolito (De Antichr. 50,10), le recensioni posterior e postrema di Vittorino di Pettovio, Andrea e Areta di Cesarea, Beda, Aimone, Walafrido Strabone, Ruperto di Deutz (che parla di "giganteum nomen", 1084.C), e Martino di Léon.
[52] Riproponendo le interpretazioni di Ireneo, Ippolito sposta la sua preferenza su AATEINOS («οἱ κρατοῦντες ἔτι νῦν ἐισι Λατεῖνοι», De Antichr. 50,17). Sulla sua scia si collocano Andrea di Cesarea (340.D), e Areta di Cesarea (PG 106, 681.B). 53.
[53] Così, per, esempio le recensioni di Vittorino, e poi Primasio, Beda, Aimone, Anselmo di Laon, Ruperto di Deutz (da cui sono tratte le traduzioni in latino dei singoli nomi), e Riccardo di San Vittore. - Senso migliore è quello attribuito ad "ANTEMOΣ" da Walafrido Strabone: «... qui Christo contrarius dicitur» (734.B), e da Bruno, che aggiunge: «... inde enim Antichristus vocatur» (677.A).
[54] Così Ippolito (De cons. mundi 28,20), Primasio, Beda, Aimone, Walafrido Strabone, e Ruperto. - Per il mondo bizantino cf. le soluzioni riportate da Andrea di Cesarea (340.D).
[55] Tra gli antichi, Ruperto si trova in difficoltà a dare un qualche significato a questo nome («... quid ad illum hominem hic numerus pertineret?», 1084.D). Altri invece azzardano interpretazioni più o meno soddisfacenti: «... Diclux, quo nomine per antiphrasin expressum intelligimus Antichristum; qui cum a luce superna priuatus sit atque abscissus, transfigurat tamen se in angelum lucis, audens se dicere lucem» (le recensioni di Vittorino, PL Suppl. I, 157 e 158); «... quia ipse se lucem esse dicit» (Walafrido Strabone, PL 114, 734.C); «Ipse ... fatebitur se esse lucem» (Aimone, 1103.B); «Quid aliud hoc significare videtur, nisi quod ejus adulatores eum deprecantes, dicent: "Dic Lux"; loquere, legislator, ne taceas, tu qui lumen es, monstra per quam viam incedere debeamus» (Bruno, 677.C-D).
[56] Così le recensioni di Vittorino posterior e postrema, Aimone, Bruno, e Ruperto.
[57] Così Vittorino, le Omelie pseudo-agostiniane (attribuite a Cesano d'Arles, †543), Primasio, Aimone, Walafrido, Anselmo, Riccardo, e Martino di Léon. - Bruno dice chiaramente che va esclusa la lingua latina (di DICLUX). Unica eccezione è il pseudo-Isidoro (PL Suppl. IV, 1860) per il quale la lingua dev'essere invece quella ebraica.
[58] Cf. la rassegna di W. Barclay, «Revelation xiii», 295-296.
[59] Per queste informazioni su Bossuet, Grotius e Spitta cf. E.-B. Allo, L'Apocalypse, 212.
[60] Per quest'interpretazione (e per quella di L. von Hartingsveld, 1978) la somma del valore numerico delle lettere è 616, e dunque l'interpretazione presuppone la variante dei manoscritti che era conosciuta già al tempo di Ireneo.
[61] L'informazione si trova in W. Bousset, Die Offenbarung Johannis, 105-106, e E.-B. Allo, L'Apocalypse, ccxl. - La scrittura difettiva di QSR (invece di QYSR) che costituiva una difficoltà per l'accettazione dell'ipotesi, è stata poi confermata da uno dei documenti di Wadi Murabba'at (DJD II, n. 18, tav-. XXIX), come documenta D.R. Hillers, «Revelation 13,18 and a Scroll from Murabba'at», 65.
[62] Così per esempio W. Bousset, Die Offenbarung Johannis, 106, e 373 ("endgültig sichergestellt"; "diejenige Lösung, die alle andern aus dem Felde schlägt"); R.H. Charles, A Critical and Exegetical Commentary on the Revelation of St John, I (Edinburgh 1920), 367 («This solution appears to satisfy every requirement»); J. Roloff, Die Offenbarung des Johannes (Zürich 1984), 145 ("wird man urteilen müssen daβ..."); C.H. Giblin, The Book of Revelation (Collegeville, MN, 1991) 135 ("almost certain").
[63] G. A. van den Bergh van" Eysinga. «Die in der Apokalypse bekämpfte Gnosis», in ZNW 13 (1912), 293-305; E. Lohmeyer, Die Offenbarung des Johannes, 115-116, J. Sweet, Revelation, 218-219 E. Lupieri, L'Apocalisse di Giovanni (Milano 1999), 218-219 (presso il quale cf. la disposizione "triangolare" dei numeri da 1 a 36).
[64] Sui numeri triangolari, quadrati, e rettangolari, cf. R. Bauckham, The Climax of Prophecy. Studies on the Book of Revelation (Edinburgh 1993), 390-394 e, in particolare l'essenziale definizione dei tre tipi di numeri a p. 392: «... the sum of successive numbers [= numero triangolare] the sum of successive odd numbers [= numero quadrato], the sum of successive even numbers [= numero rettangolare]».
[65] J.-P. Charlier, Comprendre l'Apocalypse, I (Paris 1991), 291: «Nous serions donc en présence d'une absolutisation de 8, par voie de double triangulation».
[66] P. Prigent, L'Apocalisse di S. Giovanni (Roma 1985 [Lausanne - Paris 1981]), 426.
[67] Ibidem, 427, questa soluzione è messa al gradino più basso delle possibilità di essere quella giusta.
[68] Il verbo ψάω significa "raschiare", "spianare", "levigare". L'equivalente latino di ψῆφος è calculus – che a sua volta viene da calx, "calce" -, da cui "calcolo, calcolare".
[69] Cf. J. Bonsirven, L'Apocalypse de Saint Jean, 235:«... comportant un nombre indéfini de solutions»; A. Loisy, L’Aporcalypse de Jean, 258-259: «Le chiffre peut s'adapter à bien des noms... La signification du chiffre est introuvable si l’on ne consulte quel es possibilités de combinainson arithmétiques»; J. Behm, Die Offenbarung des Johannes (Göttingen 71956 11932), 78: «Das Ratspiel um die zu wählenden Zahlen und Buchstaben ist endlos»; O. Rühle:«ἀριθμω, ἀριθμός », 1237: «Di tutti i tentativi di soluzione nessuno è pienamente soddisfacente, così che viene spontaneo chiedersi se valga la pena di farne degli altri, che avrebbero sempre soltanto il carattere di puri tentativi». Ma cf. già Ireneo «... multa sunt quae inveniuntur nomina habentia numerum hunc ...» (Adv. Haer. 5, 30,3).
[70] Nell'età ellenistica si usarono i 24 segni dell'alfabeto attico con l'aggiunta dello stigma (ς) per il numero 6, del Koppa (corrispondente al latino q) per il numero 90, e del sampi (ϡ, antico segno locale per σσ) per il numero 900; cf. D. Pieraccioni, Morfologia storica della lingua greca (Messina - Firenze 31975, 11954), § 171, con la nota n. 2, e § 172.
[71] Cf. P. Prigent, L'Apocalisse di S. Giovanni, 430-433 (citazioni alle pp. 431 e 432). Sulla stessa linea cf. poi per esempio L. Morris, Revelation (Grand Rapids, MI, 1987), 169: «We should understand the expression purely in terms of symbolism of numbers»; G.R. Beasley-Murray, The Book of Revelation, 220: «It [= 666] was significant in itself»; W.J. Harrington Revelation (Sacra Pagina, 16; Collegeville, MN, 1993), 144: «If seven is the perfect number, then six is penultimate, incomplete number».
[72] E.-B. Allo, L'Apocalypse, 194; P. Prigent, L'Apocalisse di S. Giovanni, 432.
[73] Cf. per esempio R. Halver, Der Mythos im letzten Buch der Bibel, 40: «... ist die Zahl des Tieres 666 der Versuch, die heilige 7-Zahl zu erreichen, ohne es zu vermögen», e G.R. Beasley-Murray, The Book of Revelation, 221: «If the contrast between 666 and 888 was present to John’s mind, the use of 666 in 13,18 crowned in a superb way the theme of satanic imitation that runs throughout chapter 13».
[74] Lo fa notare per esempio B.J. Le Frois, The Woman Clothed with the Sun, 124 nota 1: «It is worth noting that whereas the number 7 is employed in the Apocalypse both for the things of God and for the mimicry of Satan, the number 12 (and its multiples) is used exclusively in a god sense for those who are on the side of God».
[75] H. Kraft, Die Offenbarung des Johannes (Tübingen 1974), 183: «Auch die Unvollkommenheit has ihren Höhepunkt in der Sieben».
[76] Cf. anche Ireneo, Adv. Haer. 1, 15, 2.5.
[77] Ch. Brütsch, La clarté de l'Apocalypse, 26, e 232: «Alors que 7 et 12, ainsi que les nombres dérivés, caractérisent généralement la plenitude de l'oeuvre divine, les chiffres tronqué (comme 3 ⅟2 et 6, la moitié respectivement de 7 et de 12...) trahissent l’imperfection, l’inconsistance et même l'effondrement final des entreprises démoniaques»; «…on a relevé que ce chiffre contient 3 fois celui de 6, qui n'atteint pas à la plénitude de 7 et n'est pas que la moitié de 12».
[78] Cf. gli autori citati nella nota 40.
[79] Cf. invece per esempio W.E. Beet, «The Number of the Beast», 25: «Let us seek for a solution by treating the number [666] in pure symbolic wise... For us it will no longer be six hundred and sixty-six, but simply 6, 6, 6, three sixes standing side by side, and by their juxtaposition emphasising the idea or ideas represented by a single 6»; E.-B. Allo, L'Apocalypse, 194 ("formé de trois six"); W.J. Harrington, Revelation, 144 («"six-six-six" being emphatically negative»), e G.K. Beale, The Book of Revelation (Grand Rapids, MI, 1999), 718-728, che a più riprese parla di "triple six", "triple sixes", "triple repetition of sixes", "six repeated three times".
[80] Essendo il 666 l'elemento centrale di una delle esortazioni più enfatiche e più solenni di Ap, non è fuori luogo segnalarvi la presenza di una figura retorica: il triplice ripetersi di "ex" dà vita infatti ad una allitterazione (cf. Blass - Debrunner, § 489, 7); anzi, ad una "assillabazione", poiché nelle tre parole si ripete la stessa sillaba (cf. R. Berardi, Dizionario dei termini della critica letteraria, Firenze 1969, 15, e 34). Per la sonorità della ripetizione di "ex", cf. R. Bauckham, The Climax of Prophecy, 394.