Si tratta non solo di dire cose diverse da quelle che enuncia l’intellighenzia, ma ancor più di parlare di altre cose. Solo questo, infatti, mostra quanto essa sia di parte e quante cose ignori, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Educazione e cultura.
Il Centro culturale Gli scritti (19/10/2020)
Man mano che invecchio, mi rendo sempre più contro di quanto l’intellighenzia pretenda assenso al proprio pensiero e di quanto sia necessario, invece, esserne liberi.
Certamente viene subito in mente quanto siano forti determinata posizioni, ad esempio le pretese degli “intellettuali” nate in relazione al gender, che esista un “diritto” ad avere un bambino.
Ma la questione più seria non consiste in questo. Non consiste solo nella pretesa che solo le tesi dell’intellighenzia siano tolleranti, moderne, aperte, “scientifiche”.
La questione più seria è data dal fatto che l’intellighenzia pretende di dettare gli argomenti di cui si deve parlare e di silenziare altre questioni.
Per questo non si tratta tanto di rispondere con argomenti a ciò che afferma il pensiero dominante. Anzi, così facendo, si rischia talvolta di darvi ancora più importanza.
Ciò che è decisivo è, invece, indicare altri temi, altre questioni, altri autori, altre prospettive.
Non si tratta cioè di un corpo a corpo su quelle tematiche così care allo “spirito del tempo”, si tratta, invece, di far emergere altre questioni rispetto a quelle sulle quali la leadership culturale pretende lo scontro.
Chi parla ad esempio, della passione dei giovani per autori che sappiano spiegare loro Dante, Leopardi o Omero? Chi parla della necessità che i docenti ritornino a declamare poesie e testi? Chi ricorda che Pennac insegnava ogni settimana un brano a memoria ai suoi studenti di istituti tecnici, mostrando prima loro l’enorme bellezza dei testi che egli recitava e insegnava a memoria?
Chi racconta che la Madonna dei Pellegrini di Caravaggio è una Madonna di Loreto, nella quale il Merisi dipinge la Vergine che discende dal cielo per apparire ai due pellegrini, avendo i piedi nudi ancora sollevati perché giunta dall’alto apposta per loro?
Chi racconta oggi nelle scuole di Guareschi o di Tolkien o di Lewis che meriterebbero di essere letti e riletti e che entusiasmerebbero i giovani?
Chi parla di natalità come del più grande problema dell’Europa? E chi prova a mostrare che far nascere un bambino che potrebbe avere la sindrome di Down vuol dire mettere al mondo una persona che potrà esser felice?
Polemizzare sui temi che si pretende siano gli unici a meritare attenzione, ossessivamente, è un boomerang: contribuisce a che si discuta solo dell’agenda dettata dal pensiero dominante. Si tratta, invece di mostrare che esistono altri autori, altre opere, altre questioni molto più interessanti e molto più urgenti, molto più decisive e molto più cariche di futuro dei triti e ritriti temi che la cultura dominante impone a tutti. Esiste ciò che è bello e vero e che attira, attrae a sé.
Questo è il compito di chi lavora sui social: indirizzare lo sguardo sulle questioni più vere e più urgenti che non sono quelle di cui si parla, quelle su cui ci si attacca e ci si difende, quelle sulle quali tutti ossessivamente si pronunciano.