Di una recente relazione di Armando Matteo e dei nodi che bypassa allegramente. Breve nota di Giovanni Amico
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Educazione e Teologia pastorale.
Il Centro culturale Gli scritti (4/10/2020)
N.B. Le note che seguono non intendono prendere di mira il povero Armando Matteo – che ci è simpatico -, bensì indicare, attraverso il riferimento all’impostazione della sua analisi sociologica, un modo di procedere tipico di gran parte dell’analisi sociologica contemporanea e di gran parte delle errate analisi teologico-pastorali e catechetiche che compiacciono le orecchie degli uditori bypassando 50 anni di storia del paese.
Armando Matteo parla di nonni e nipoti, affermando che fra di essi vi è un abisso maggiore di quello che esisteva fra Abramo e i nostri nonni. Sì, ma perché non parla dei genitori che sono in mezzo fra quei nonni e quei nipoti?
Sembrerebbe una svista o una figura retorica per accentuare ancor più la differenza e creare opposizione fra due diversi “modelli”, invece è in gioco una questione essenziale che la “modellizzazione” tradisce.
Sono molti in Italia che pretendono di avere la chiave per capire dove dobbiamo andare, confrontando le nuove generazioni con quelle del pre-concilio.
Il problema è, invece, esattamente la generazione di mezzo, quella degli adulti – che fra l’altro si stanno avvicinando a diventare nonni! Il problema è quella generazione perché in quei 50 anni centinaia di teologi, pastoralisti e sociologi hanno emesso le loro sentenze e fatto le loro proposte di rinnovamento che si sono dimostrate fallimentari e inincidenti.
Perché non se ne parla mai? Perché è facile dare la colpa del fallimento nella trasmissione della fede a qualsiasi impostazione che ricordi quella pre-conciliare, mentre è molto meno politicamente corretto mostrare come tutte le teorie pedagogiche, filosofiche, teologiche e pastorali dagli anni ’70 in poi abbiano preso una cantonata dopo l’altra e, unitamente al grande sviluppo tecnologico, abbiano portato ad un mondo molto mutato. Se si tace di quel fallimento, si possono riproporre le prospettive che hanno fallito, spacciandole per nuove.
Si noti bene, non c’è in questo giudizio niente di morale. Le intenzioni di quegli autori erano buone, ma, di fatto, non hanno prodotto gli esiti sperati. La prospettiva non è quella di una condanna, ma di un’analisi che sia scientifica e concreta, aderente al reale.
In realtà, se si analizzasse la categoria dei genitori, senza bypassarla allegramente, ci si accorgerebbe che è già in quei decenni che si è scavato un abisso nella trasmissione della cultura non solo cristiana, ma più in generale classica e umanistica del passato. E che tale abisso si è scavato quando i maestri degli anni ’70-’90 erano in auge e dettavano legge.
Dinanzi all’evidenza che gli adulti e i genitori degli ultimi decenni non sono stati in grado di trasmettere ciò che i nonni avevano loro trasmesso, ecco che la questione pastorale si precisa.
Si tratta non di elaborare una pastorale che si distacchi dai modelli degli anni cinquanta, bensì itinerari di evangelizzazione che si distacchino da quelli degli anni ’70, ’80 e ’90, poiché questi non erano e non sono più adatti.
Ma è difficile mettere in crisi i modelli pedagogici e catechetici di coloro che sono ancora in auge sulle cattedre e nelle conferenze, ed è più facile prendersela con coloro che sono morti e sepolti nelle tombe e non possono rispondere.
Si comprende così anche l’uso distorto che viene fatto della nozione di “cristianità” perduta. Se, en passant, Armando Matteo afferma che essa è già di Chenu: il teologo domenicano ne parlava ai tempi del Concilio! Dopo di lui è stato Pietro Scoppola – nel 1985! – a parlare della “nuova cristianità perduta”, cioè ben 35 anni fa!!!
Ebbene ora tale categoria sarebbe adatta a comprendere il presente, per la prima volta nuovo, dopo che si parla di tali cose dal 1965 e poi di nuovo nel 1985?
L’assenza dei decenni che vanno dal 1970 al 2000 è indice evidente di un’analisi storica che è ideale e non aderente alla storia, poiché omette la fatica di capire cosa è avvenuto in quei decenni decisivi nella genesi dell’oggi.