Quale reciprocità?, di Bruno Forte
Riprendiamo dal sito dell'arcidiocesi di Chieti-Vasto un testo del suo arcivescovo mons. Bruno Forte, pubblicato il 23/2/2010. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (26/9/2010)
“Per i credenti come per tutti gli uomini di buona volontà, la sola via che possa condurre alla pace e alla fraternità è quella del rispetto delle convinzioni e delle pratiche religiose altrui, affinché, in maniera reciproca in tutte le società, sia realmente assicurato a ognuno l’esercizio della religione liberamente scelta”.
Queste parole rivolte lunedì scorso da Papa Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Marocco presso la Santa Sede, Ali Achour, contengono un triplice principio, il cui richiamo appare quanto mai importante in questi giorni segnati dalle drammatiche e violente reazioni delle società islamiche all’offesa ad esse arrecata dalle vignette satiriche su Maometto pubblicate in Occidente.
Il primo principio è quello del diritto alla libertà religiosa: in quanto tocca gli abissi più profondi della coscienza e l’esercizio della libertà nelle sue radici interiori e ultime, questo diritto è in un certo senso la cartina da tornasole di tutti gli altri. Dove esso fosse negato, sarebbe negata la dignità stessa della persona umana e quello spazio della libertà di coscienza a cui non a caso tutti i totalitarismi ideologici hanno cercato di porre limiti e condizioni.
Farsi portavoce e difensore di questo diritto significa per il Papa e per la Chiesa tutta sposare fino in fondo la causa dell’uomo e contribuire a realizzare società più libere e umane per tutti.
Il secondo principio indicato da Benedetto XVI è quello che non ci potrà essere pace senza giustizia e non ci sarà giustizia senza il rispetto della dignità di ogni persona umana: è l’idea su cui il Magistero sociale della Chiesa insiste da anni, e che ha trovato un’espressione perfino drammatica nel no di Giovanni Paolo II all’uso della guerra come risposta alla barbarie del terrorismo internazionale. Che la scelta militare dopo l’11 Settembre 2001 quale strumento punitivo e deterrente contro il fanatismo fondamentalista fosse la peggiore, lo aveva dichiarato senza mezzi termini l’allora responsabile dei rapporti con gli Stati della Santa Sede, il Card. Jean-Louis Tauran, che proprio oggi su mio invito sarà a Vasto per parlare della posizione della Chiesa in rapporto alla pace: il braccio desto di Giovanni Paolo II aveva definito l’azione militare in Iraq “illegale, immorale e inutile”, e bisogna dire che gli sviluppi di quanto allora avviato sembrano avergli dato pienamente ragione. Sarà peraltro lui stesso a illustrarlo a chi oggi verrà ad ascoltarlo.
Il terzo principio evocato dal Papa nelle parole riportate all’inizio è quello della reciprocità: quanto viene garantito a ogni immigrato legalmente accolto nelle società europee ed occidentali sul piano dei diritti umani, deve essere garantito allo stesso modo a tutti nelle società islamiche. Non è possibile usare due pesi e due misure: se ogni musulmano che vive in Italia ha diritto a professare e diffondere la sua fede, non si capisce perché la conversione al cristianesimo in molti paesi a maggioranza islamica è di fatto punita con la morte e pene gravissime sono comminate a chi diffonde la buona novella cristiana o amministra i sacramenti a chi liberamente li richiede.
Questa legge di reciprocità va naturalmente ben intesa: essa non si pone su un piano strettamente condizionale e pattizio, quasi che bisognerebbe da noi negare i diritti a chi proviene da una società in cui essi sono negati. L’assolutezza del diritto e del codice etico che lo ispira non potrebbe tollerare una simile applicazione della reciprocità: qui è proprio il cristianesimo che fa valere il valore asimmetrico dell’amore e del rispetto dell’altro, quando chiede di amare i propri nemici e di rispondere facendo del bene a chi ci fa del male.
Il gesto con cui la madre di don Andrea Santoro, morto martire del fanatismo islamico in Turchia, ha subito perdonato il giovane assassino di Suo Figlio, è di una statura morale che mostra da sola la ricchezza di valore anche civile che consegue alla fiducia accordata alla parola evangelica.
Questo carattere assoluto del rispetto dei diritti fondamentali della persona, a cominciare da quello alla libertà religiosa, se esclude una stretta applicazione giuridica del principio di reciprocità nei rapporti internazionali, non la esclude affatto sul piano morale e su quello della politica ispirata alla ricerca di una convivenza delle nazioni fondata nella giustizia e il dialogo.
Se non è compito della Chiesa spiegare agli Stati e alle Nazioni Unite come perseguire questo fine, ad essa è non di meno richiesto di ricordarlo come urgenza prioritaria, se si vorrà arrivare ad un incontro delle civiltà, che superi la barbarie dello scontro da alcuni voluto, provocato spesso anche da atteggiamenti superficiali e irresponsabili.
È insomma l’ora in cui la reciprocità auspicata deve sostenere comportamenti alti, fatti di coraggiosa ispirazione etica, di scelte concordi e responsabili in politica estera, di richiamo agli interlocutori non fondamentalisti del mondo islamico a farsi comprotagonisti della costruzione di cammini di pace e di rispetto per tutti. Da questo impegno dipenderà se il nostro domani sarà di scontro o incontro fra le civiltà e i mondi religiosi che le ispirano: e il credente non potrà non chiedere a Dio di aiutare tutti a farsi convinti costruttori di pace lungo la via del dialogo e della giustizia che non escludano nessuno.