L’ideologia radical-liberale che ha finora sconfitto cristianesimo e comunismo: l’analisi di Pietro Scoppola sulla fine della nuova cristianità, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Il novecento e Teologia pastorale.
Il Centro culturale Gli scritti (4/10/2020)
Una delle tesi più interessanti e spiazzanti di Pietro Scoppola, ne La «nuova cristianità» perduta[1], era quella che indicava come elemento decisivo della storia italiana del dopoguerra la “svista” del cristianesimo moderno: esso aveva additato come suo nemico il comunismo ed era stato invece sopraffatto da un nemico strisciante giunto alle spalle e precisamente il consumismo liberista, la società dei consumi e dei media.
La sua tesi conserva anche oggi una sua plausibilità in questo indicare il bersaglio sbagliato contro il quale si sarebbe appuntato lo sguardo di un’intera generazione.
Eppure tale tesi si rivela oggi incompleta. Se non la si allarga al suo reciproco.
Infatti, anche il mondo della sinistra italiana ha combattuto una battaglia estenuante contro la chiesa, senza accorgersi anch’esso, a sua volta, di quel liberismo radicale e consumista che lo ha divorato come ha estenuato la chiesa - di questo Scoppola non si era accorto e nemmeno l’intellighenzia del paese ha ancora preso coscienza.
Il vedere nel cristianesimo e nei suoi uomini l’avversario, ha portato la sinistra italiana - ed europea - a non accorgersi dell’invadenza del pensiero “radicale”, totalmente disinteressato alle questioni del lavoro - che erano invece da sempre decisive in quella tradizione come in quella cattolica - e proteso ad enunciare una schiera infinita di “diritti individuali” che, in realtà, erano solo i “pallini” del borghese desideroso di soddisfare ogni suo desiderio legittimo e illegittimo.
La sinistra italiana non ha così articolato alcuna critica al pensiero “radicale” di origine liberista, così come non si è accorta che il portato di altre religioni era non solo problematico, ma anzi molto più problematico di quello cristiano.
Insomma anche quel pensiero, come quello cattolico, è stato attaccato alle spalle, di modo che molti intellettuali nemmeno ne sono divenuti coscienti e tuttora confondono le pretese radical-liberali con le rivendicazioni tipiche della solidarietà comunista - difficile accorgersene, presi come si è dal conflitto con la chiesa.
Ecco così l’impasse in cui talvolta il pensiero di sinistra si trova impantanato: la sua ossessione nel combattere la fede lo porta a non accorgersi di esigenze e di pericoli ben più gravi che incombono.
Si pensi solo all’assoluta trascuratezza della questione lavorativa nell’integrazione dei migranti. Il pensiero di sinistra, come si diceva, ha un’appassionata consapevolezza che il lavoro è la questione decisiva: senza lavoro non c’è possibilità di crescita. Invece, l'intellighenzia è oggi ossessionata dalle questioni del razzismo - che confonde una presunta discriminazione che sarebbe presente in Italia a motivo della carnagione della pelle mescolata con ogni altro tipo di diversità -, di modo che non apporta più alcun reale contributo alla questione e rimane cieca dinanzi alla vera discriminazione e cioè di fronte al fatto che la maggior parte dei migranti si ritrovano a finire nelle braccia della malavita o della prostituzione, per mancanza di lavoro.
Per sostenere il “diritto” a cambiare nazionalità o a mantenere la propria identità nel nuovo contesto culturale, non si accorge che dovrebbe invece elaborare prospettive economiche e lavorative. Tutta protesa a discutere del Mediterraneo e delle tristi morti in mare, non discute mai delle altrettanto tristi e più numerose morti nel deserto, non elabora progetti di dialogo con i paesi d’origine delle migrazioni, non costruisce cooperative e inserimento lavorativo in Italia.
Si pensi ancora al recente pensiero transgender che è divenuto il secondo caposaldo dell’intellighenzia, nella dimenticanza della questione lavorativa che era un tempo il cardine: tale corrente di pensiero giunge ad accusare ormai pure il femminismo di non essere attento a chi pretende come transessuale di essere considerato donna, giungendo così a cancellare la peculiarità della condizione femminile per la quale da decenni il pensiero di sinistra si era battuto (cfr., ad esempio, i casi Navratilova e Rowling in Il caso Martina Navratilova e il vicolo cieco della legge sulle discriminazioni transomofobiche. Breve nota di Giovanni Amico e due articoli da Il Corriere della Sera e da La Stampa e 2/ Omofobia. La gogna social di J.K.Rowling per un tweet sulle donne. L'autrice di Harry Potter sommersa d'insulti per aver scritto che le "persone che mestruano" possono essere chiamate "donne" e accusata di discriminare chi vuole cambiare sesso, di Silvia Guzzetti 3/ J.K. Rowling: le parole dell’autrice di Harry Potter sul proprio blog).
Anche qui l’ossessione anti-familiare ha portato gli intellettuali a non accorgersi che esiste un problema nelle rivendicazioni del gender, perché esse nascono da un pensiero radical-liberale e non solidaristico.
Si può dire, insomma, che il reciproco schierarsi l’un contro l’altro armati dell’intellighenzia cattolica e di quella di sinistra ha impedito ad entrambe di accorgersi dell’ideologia liberale e le ha rese impreparate su altre questioni.
Quanto detto intende non sostituirsi alla tesi di Pietro Scoppola, bensì integrarla.
Note al testo
[1] P. Scoppola, La «nuova cristianità» perduta, Roma, Studium, 1985, p. 20.