Per elaborare un progetto pastorale non basta né la Bibbia, né la realtà (e nemmeno un mix delle due). Riflessioni dal corso di Teologia pastorale fondamentale del prof. Asolan, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito alcuni appunti di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Teologia pastorale; cfr. in particolare Appunti del prof. Sergio Lanza. Dispense di Teologia pastorale fondmentale.
Il Centro culturale Gli scritti (10/8/2020)
N.B. Le note che seguono sono state prese durante il corso di Teologia pastorale fondamentale del prof. Asolan. Non viene però presentato qui il suo corso, ma solo qualche nota che mi ha colpito, inframezzata da mie proprie riflessioni. Qualsiasi esemplificazione scorretta o incomprensione è da attribuire al sottoscritto che ha prescelto alcuni passaggi del corso, inserendovi le sue proprie note, e non al docente il cui corso era molto più ricco e articolato. Gli asterischi separano alcuni punti che sono stati prescelti per la redazione di questo articolo, senza cercarne un collegamento esplicito, come avveniva invece nel corso.
1/ TEOLOGIA PASTORALE: UN PERCORSO STORICO
La prima parte del corso di teologia pastorale fondamentale del prof. Asolan ha il grande merito di mostrare de facto e non in teoria come nella storia si sia dispiegato l’agire della chiesa e come tale agire abbia saputo tenere in tensione reciproca e asimmetrica la fede cristiana assolutamente originale e la creatività dei credenti di una determinata generazione che hanno fatto cultura, impastando il vangelo con una precisa comprensione del dato storico che via via si modificava, come si può vedere da alcuni passaggi tratti dagli appunti del corso che seguono immediatamente.
Importantissimo è rendersi conto, seguendo gli esempi riportati, come scelte importantissime, si pensi solo ai diaconi o al monachesimo, non siano dipese direttamente da richieste esplicite e letterali di Gesù, bensì come la vita della Chiesa sia un continuo ripensamento creativo della vita di Gesù. Anche da questo punto di vista la sola Scriptura non ha alcun senso e ciò sia detto non in polemica anti-protestante, bensì a correzione di tutte quelle visioni della fede dove pare bastare la preghiera e la vita interiore o la sola teologia dogmatica, senza alcun apporto culturale e nessun ascolto dei segni dei tempi, senza alcun pronunciamento sulla realtà.
*Nei Vangeli il destinatario non è consecutivo, non arriva alla fine, ma è costitutivo.
*Ad esempio, Gesù di sé non ha mai detto di essere il Logos (ha detto invece di essere pastore, pane della vita…).
È la filosofia greca che cerca il logos, la ragione delle cose, il senso delle cose. Talete, Anassimene e gli altri hanno cercato il senso delle cose. Eraclito di Efeso cercava le regioni delle cose e pensava di trovarla nel conflitto, nella guerra madre di tutte le cose (concetto che è alla radice anche del pensiero marxista). Giovanni deve annunciare il Vangelo in un contesto filosofico. Ed ecco che utilizza l’espressione il Logos! Si vede bene come il destinatario è interno alla fede cristiana e alla pastorale.
*Ancora gli Atti degli Apostoli racconta di come nascano i diaconi, di cui Gesù non ha mai parlato. Fanno un abuso gli apostoli? Certo che no. La Teologia Pastorale serve a comprendere l’agire della chiesa ed anche scelte come questa. La prassi della comunità cristiana ha un potenziale rivelativo, non sono semplici fenomeni umani, ma fatti entro i quali riconoscere la relazione dei fatti con le parole e il “mistero” santo di Gesù. Non è solo questione di distribuire i pani, ma di cosa Dio sta dicendo alla sua Chiesa.
*San Martino, pretoriano romano e catecumeno, da soldato aveva uno schiavo a disposizione (cioè una “cosa animata” – come si diceva allora presso i romani - a disposizione del suo padrone, secondo la visione dell’epoca): venne deriso dai suoi commilitoni quando cominciò a preparare da mangiare al suo schiavo e lo trattava familiarmente. Questo fatto ha rotto l’impero della schiavitù e il cambiamento non è avvenuto innanzitutto attraverso una riflessione, bensì attraverso una prassi ordinaria possibile a tutti.
*I monasteri di matrice benedettina sono stati all’origine dell’evangelizzazione dell’Europa in cui comunità stabili di uomini che vivevano assieme hanno evangelizzato per irradiazione non solo attraverso l’annuncio del kerygma, ma anche incidendo con il mostrare la praticabilità della fede cristiana, rendendo possibile vivere il Vangelo e mostrando come esso corrispondeva ad una grande opera di civilizzazione (coma lavorare la terra, trasmettere cultura, …). Lo schiavo, nella mentalità romana, lavorava, mentre l’uomo libero si dedicava alla scuola, alla filosofia, alla guerra. Solo con Benedetto diviene normale che un uomo libero lavori e questa scoperta del lavoro è un dono di Benedetto (l’articolo 1 della Costituzione italiana non ci sarebbe stato, senza il monachesimo che pose il lavoro alla base della vita comune).
*Il periodo della persecuzione genera la produzione dei padri apologeti che intendevano rendere ragione: i pagani ritenevano che i cristiani fossero atei e ignoranti e a questo si intendeva rispondere. Era una necessità farlo. C’è, inoltre, una comprensione della Chiesa che la polarizza sulla figura del martire.
*Se si legge Giovanni Crisostomo (ma anche Basilio) sulla corruzione del clero, si comprende che c’era fra i preti chi si faceva i riccioli con il ferro rovente, chi pagava per diventare vescovo perché la gente facesse il tifo per farlo diventare tale, c’era chi aveva pantofole di velluto!
*I monaci resero possibile l’inculturazione del vangelo fino al fondo della coscienza umana: aiutarono a riflettere fin dove nascono i pensieri e maturano le scelte: gli apoftegmi dei padri del deserto aiutano la personalizzazione o internazionalizzazione del vangelo. Con il discernimento degli spiriti, l’abba il padre, il monaco, prestò il servizio ecclesiale del discernimento, della crescita della fede nella paternità. I monaci erano così partecipi della vita della Chiesa, anche se avevano scelto la separazione
*Dal monachesimo irlandese derivò anche la chiarificazione della Confessione con l’ascolto auricolare dei peccati, legata ovviamente al grande tema della conversione di vita.
*Una cosa che accomuna i padri è la derivazione della loro teologia dal lavoro pastorale (cfr. su questo Tornare alle origini significa semplicemente tornare alla Scrittura o riscoprire insieme ad essa anche i Padri della Chiesa? J. Ratzinger e il ritorno alle fonti. Appunti di Andrea Lonardo).
Ad esempio le grandi questioni di Sant’Agostino sui sacramenti, sul sacerdozio, sono sollecitate dalla questione dei donatisti.
*Rufino di Concordia, Gaudenzio di Brescia, Eusebio di Vercelli sono all’origine della vita comune del clero: Eusebio veniva dall’Asia e venne mandato in esilio nella valle di Oropa ed era per un ministero se non condiviso, certamente comunitario.
*Con Gregorio Magno si comprende che il vescovo deve affrontare e risolvere i problemi. Non c’è di peggio di un vescovo o di un prete che non si assume responsabilità, non prende decisioni, non porta a termine quanto propone. Un vescovo che esprime solo il dover essere, le critiche, ma non soluzioni concrete del problema, è un disastro. Non si tratta di descrivere o riconoscere il problema: bisogna risolverlo. La capacità di risolvere tocca il punto della concretezza. Ad esempio, se diciamo che dobbiamo essere una chiesa in uscita, cosa vuol dire questo? Cioè? Spesso abbiamo una mera enunciazione dei problemi, con citazioni di frasi del papa.
*Gregorio interviene sul livello amministrativo e pratico: il governo, la soluzione del problema. Si occupò dei carri di viveri per i poveri che dovevano raggiungere Roma, riorganizzando l’approvvigionamento della città per le crisi di carestia. Moltiplicò il pane, fermò i longobardi, si occupò della guerra. Ritorna nella storia di Roma, il fatto che il papa salva la città. L’ultimo a farlo è stato Pio XII. Gregorio istituì i “nunzi” per avere informazioni. Su tutto ci fu un suo ruolo profetico, fece appello alle risorse della Scrittura.
Fino all’età carolingia chi era ordinato vescovo giurava sulla Regola pastorale di Gregorio Magno! Nella Gallia e nell’Hispania i vescovi, prima di essere ordinati, giuravano sui Vangeli e sulla Regola pastorale.
*San Tommaso d’Aquino predicò in napoletano, perché il popolo era affamato di capire la fede, voleva essere formato.
*In realtà Bonaventura non era uomo di potere: il francescanesimo aveva delle derive che andavano dal pauperismo a forme di fede meno ortodosse e il lavoro di Bonaventura fu quello che San Francesco non era riuscito a fare.
*Ci furono frati che cominciarono a insegnare alla Sorbona e molti vescovi che vennero presi dai frati, perché la loro vita li rendeva adatti alla riforma che veniva sollecitata. Jedin scrive che se si fossero attuate le riforme del Lateranense IV non ci sarebbe stata la riforma protestante. Siamo nel 1215! Abbiamo in mezzo tre secoli di riforme mancate che si sarebbero potute realizzare.
*Già nel Lateranense IV c’è l’obbligo dell’istituzione di un magister che insegni tutto ciò che attiene alla cura delle anime.
*In Gregorio Magno non troverete giudizi tagliati con l’accetta: in Lutero invece c’è un atteggiamento da “accetta”, anche se dobbiamo riconoscere che su istanze di riforma effettiva Lutero si sia impegnato più di alcuni vescovi e papi. Ma ci sono espressioni di Lutero che sono antropologicamente problematiche (ad esempio, scomporre fede e opere): è una scissione che si contrappone a quanto andiamo dicendo della teologia pastorale.
*Lutero lottò contro gli anabattisti che erano anarchici, a favore dei pastori, posti sotto la tutela del principe, per una comunità organizzata.
*Dopo Lutero non c’è più chiarezza e convergenza non solo sulla dottrina, ma anche sulla prassi: nascerà da qui anche l’istanza della teologia pastorale accademica. Esiste, infatti, una domanda fondamentale: Cosa c’entra Dio con noi e con il mondo?
*I “canoni” conciliari servivano a riparare una prassi malata: i “canoni” del Concilio di Trento sono più importanti del Decreto sull’ordine: sono bellissimi i canoni sui preti.
*A Trento tutto iniziò con una processione di una trentina di cardinali, forse era Pentecoste, c’erano stati problemi politici città e nessuno credeva più nella convocazione. Fra come è iniziato e come è finito, Trento è una prova dell’esistenza di Dio. Siamo in un periodo che ha generato una schiera incredibile di santi.
Si toccano con mano le varie figure di santità: Ignazio per la vita intellettuale e la missione ai confini, Carlo Borromeo per i vescovi, Filippo Neri per il clero, Teresa d’Avila per l’interiorità, ma anche per la riforma della chiesa. Stagione travagliata, ma luminosa.
*La grandezza e la debolezza sta nella contrapposizione a Lutero: il Concilio non intese riaffermare tutto, ma quella parte del dato di fede che era contestato da Lutero. Il Concilio è stato geniale, non ha ripetuto: il Decreto sul peccato originale e sulla giustificazione sono stati geniali. Il Concilio riafferma che esiste il sacramento dell’ordine: differenza che non è solo di cose da fare, ma sacramentale e ontologica. Non è solo coordinamento della comunità, ma è la persona ad essere costituita sacramento. L’ecclesiologia della communio non significa che tutti sono uguali: le diversità sono per la reciprocità. Viene affermata la dottrina del carattere e del suo carattere permanente: la persona è modificata. La persona del ministro costituisce la presenza sacramentale di Cristo. Ma poi, fissato il dato, si passa ai Canoni: “Poiché è di diritto divino che il pastore debba conoscere le sue pecore, allora questo sacrosanto Concilio … ordina la costituzione della parrocchia territoriale!”.
Il Concilio previde anche il sostentamento del clero. Se volete fare una riforma dovrete anche pensare all’economia. I preti scappavano dalle parrocchie perché dovevano trovare soldi. Bisognava partecipare ad un concorso e dimostrare di saper reggere una parrocchia, prima di diventare parroco. Bisogna tenere in ordine i registri del matrimonio, dei sacramenti
*Leonardo Boff, Ecclesiogenesi, è teologia tedesca non latino-americana. Il problema di Boff è che ha studiato in Europa e guarda all’America Latina con occhi di europeo.
*Con Graf la questione è come accade la salvezza, la salvezza passa tramite la mediazione ecclesiale… questo sarà un problema. Ma si configura anche il problema: Cosa è la salvezza? Come avviene? Con Sant’Anselmo potremmo dire: Perché Dio si è fatto uomo?
*L’Oriente sottolinea l’incarnazione, il mondo latino la redenzione. Per Lanza comincia un dualismo pernicioso. Non dobbiamo pensare in termini di opposizione fra incarnazione e redenzione.
*La creazione allarga il compito pastorale. Nella creazione è già iscritto un compito di salvezza. Il grande scontro su GS è fra incarnazionisti ed escatologisti.
*Alla metà del XIX secolo la TP cambia perché appaiono le scienze umane, appare un interesse scientifico – cioè guidato da un metodo. Non la psicologia e basta, ma la psicologia con un metodo che intenda risalire a delle leggi, per poter prevedere o guarire. Emerge un applicazione del metodo sperimentale, con criteri di verifica, applicata a ciò che l’uomo è.
Inizia la sociologia della religione e la psicologia della religione. Queste scienze offrono degli studi, conclusioni, analisi che sono interessanti, anche se hanno metodi diversi dalla teologia pastorale. Questo pone la questione del rapporto fra la teologia pastorale e le scienze umane
*La teologia pastorale tedesca è molto “sociologia religiosa”. All’opposto avrete una propensione individuale, addirittura devozionistica, l’interesse alla singola persona. Tutto dipende da quale rapporto si pone fra individuo, teologia pastorale e scienze sociali.
*Il problema dell’impronta di Armando Matteo è che i suoi non sono libri di teologia pastorale ma di sociologia religiosa: si sciorinano percentuali, come se i dati ci dicessero tutto della realtà, senza una precomprensione teologica che guidi la lettura dei dati. Ma anche il filone della teologia della liberazione ha accolto l’analisi della sociologia marxista come chiave di lettura (pur criticandola). Si passa, insomma, alle conclusioni della filosofia marxista in sede di teologia pratica, bypassando una comprensione teologica.
*Se uno ripete sempre le stesse cose in teologia, le stesse che diceva 30 anni fa, ma in mezzo c’è stato il crollo di Berlino, c’è stato papa Francesco, ecc. ecc., vuol dire che non è andato avanti, vuol dire che la sua TP è superata.
*Lanza ha ripreso la Dottrina sociale: ma non come un capitolo della teologia morale, bensì come un compito della teologia pastorale.
Non dite mai agli esami: la Dottrina sociale è nata nel 1891… È nata quando è nata la Chiesa! Da Date a Cesare quel che è di Cesare o da Gesù e Pilato e la regalità. Nel 1891 la Rerum Novarum segna la ripresa di un tema sistematizzato rispetto alle nuove sfide da affrontare e, in particolare, alla questione operaia.
*Nella rivoluzione industriale l’introduzione delle macchine, la specializzazione del lavoro, lo sradicamento culturale, l’immissione in situazioni di precarietà, con schiavizzazione, turni, orario di lavori iniqui, ha cambiato tutto. Le parrocchie fecero una battaglia molto dura per il riposo festivo. L’8 marzo nasce per una sciagura sul lavoro. Ma la rivoluzione industriale ha toccato non solo questioni lavorative, ma ha introdotto delle mutazioni. Oggi ci sono i vegani: ma sarà possibile tornare ad una fase pre-industriale? Non è possibile perché l’idea delle “magnifiche sorti e progressive”, cioè un procedere verso una situazione migliore, questa è l’idea dominante.
La rivoluzione industriale ha toccato la struttura stessa dell’organizzazione pastorale, pensate a Manchester, a Torino, a Milano, a Lione… sono grandi questioni pastorali… la gente sradicata che andava nelle banlieue. Uno che vive 14 ore al giorno al lavoro, secondo voi va a messa, va al vespro della domenica a fare catechismo? Ma soprattutto si pone la domanda “Che vita sto facendo? Ma non valgo niente?”
*L’analisi marxista ha avuto il merito di essere la prima comprensiva, la prima ipotesi che sembrava spiegare tutto. Marx fa sua la tesi su Eraclito, alla radice di tutto c’è il conflitto. Il cristianesimo ha avuto 18 secoli per cambiare le cose e non ha fatto niente, ora tocca a noi – questo è il pensiero marxista. La filosofia come strumento di emancipazione, questa è la linea marxista. La teologia pastorale era così strutturata che, dinanzi a queste cose, non si è occupata di questo.
*La teologia non come scienza pura, Dio e le sue cose. Invece deve integrarsi a partire da una provocazione di realtà, il rapporto tra l’assoluto e la storia: questa è la domanda che pone la questione operaia. Il papa intervenne in misura indipendente dalla teologia, ma per la parte legata alla pastorale, il papa dette un impulso alla pastorale sociale.
In Italia la questione sociale venne portata avanti soprattutto con i contadini (perché la parte operaia era già conquistata dai socialisti) con la fondazione di Banche cattoliche, Casse rurali, cooperative cattoliche, giornali diocesani.
Nella prassi nasce un modo di coniugare fede e lavoro, nacque il movimento sindacale bianco che entrò in collisione con il rosso. Tutto questo dette vita al Partito Popolare.
*Non si capisce Paolo VI se non si capisce la dimensione lavorativa e politica. A Brescia erano nate la cooperativa delle donne, le banche, la cooperazione nei campi, il papà di Paolo VI era uno del Partito Popolare.
*Per Giovanni Paolo II gli anni in fabbrica a Cracovia valevano quanto una laurea a Cracovia. Con lui la Laborem exercens, prima enciclica sul lavoro scritta da uno che è stato operaio. Ma a quel tempo c’erano i monumenti agli operai (così nella Metro di Mosca). Vennero poi la Caritas in veritate e poi la Laudato si’, come sviluppo su proiezione planetaria e sistemica (legano fra loro temi che prima erano separati).
*Con il Pastoral Counseling inizia il filone praticato da molti vice-parroci che è quello della direzione spirituale, con dialoghi interminabili con animatori e animatrici, ma spesso manca il soggetto che è la comunità. Si pone la questione del rapporto fra teologia pastorale e scienze umane.
*Nacque poi la pastorale d’insieme, con Godin e Daniel, con il volume France Pays de mission, all’origine della Mission de France. Madeleine Delbrel è espressione di questo periodo della Chiesa. Padre Godin si consacrò a questo la sera prima di morire d’infarto: è la pastorale del milieu.
Questo manifestò l’inadeguatezza delle strutture pastorali esistenti. Con quella pastorale criticarono la questione del territorio: non esisteva più il territorio circoscritto. Oggi un adulto vive a Prima Porta, lavora all’EUR, se va all’ospedale va al Campus, la spesa la fa all’ESSELunga, la Scuola Calcio la fanno in un’altra parrocchia: quest’uomo dove vive?
C’è una nuova mobilità territoriale, culturale e sociale – diceva Lanza. Un guadagno di allora: bisogna misurarsi sul milieu. Il “luogo” o “ambiente umano”… dobbiamo considerare dove l’uomo entra in relazione con la realtà. Una realtà che mi dà dei contenuti: il dato storico, culturale, antropologico diviene interno alla teologia pastorale.
*Ad un certo punto diviene evidente che i processi di secolarizzazione avrebbero portato alla scristianizzazione massiva e dunque ad una nuova evangelizzazione. Non è stato il Concilio a determinare il crollo delle vocazioni: tutto era evidente già nel 1943.
*Diviene importante la parola milieu=ambiente umano. Quando oggi si dice “pastorale d’ambiente” si raccoglie una loro idea, come quando oggi si dice ambiente sanitario, sportivo, scolastico. Ma questa è una conseguenza.
*Non si deve parlare di adattamento, si deve invece parlare di progettazione: creare qualcosa che prima non c’era. Prendiamo ad esempio Ryan Air: perché ha funzionato? Ha disarticolato l’aereo, il biglietto, l’aeroporto, i bagagli, i servizi durante il volo. Prima tutto questo era organizzato insieme. Ryan Air ha preso aeroporti minori, biglietto on-line (senza le spese di biglietteria), ha tolto i bagagli. Si reinterpretano i diversi elementi, dopo averli analizzati uno a uno. Non si deve per forza distruggere, a volta basta riorganizzare alcuni elementi.
La questione è la progettazione: come si deve ripensare dinanzi alla gente che non viene in chiesa. Le unità pastorali sono un adattamento e non funzioneranno: è una scelta fallimentare e finirà… il problema non è come garantire la messa al paesino, ma è come ripensare. Anche le parrocchie in attesa del presbitero di fatto sono un adattamento, anche l’ipotesi delle donne prete sarebbe un adattamento: in Austria e in Germania mandano le pastoral assistentin… hanno iniziato a fare vere e proprie omelie, poi le facciamo ministri della comunione! Ma non cambia la sostanza!
*Per la prima volta in maniera riflessa si afferma che si deve fare incontrare il dato di fede con il dato storico-antropologico: esiste una correlazione costitutiva. Viene teorizzato nel ’43, ma è un dato costitutivo fin dai vangeli. Il dato storico-antropologico è interno, costitutivo alla teologia pastorale.
*Don Milani, arrivato a Calenzano, passò la prima settimana in archivio: sapere i nomi, i soprannomi, le parti della parrocchia, andare a messa in cimitero: dovete appropriarvi dell’eredità: si tratta di entrare dentro al dato storico. Cosa era la visita pastorale? Vengo a verificare se tutto è fatto come è stato detto. Vedete le tesi di laurea sbagliate che dicono: Aparecida ha detto, Medellin ha detto, il papa ha detto… ma no! Questa è una teologia pastorale applicativa. La teologia deduttiva prescinde dalla prassi. Dovete invece calarvi nella gente. Dovete fare teologia, invece.
*L’Handbuch der Pastoraltheologie Praktische Theologie der Kirche in der Gegenwartcurato da Franz Xaver Arnold spero che non l’abbiate mai visto… è un’enciclopedia… c’è ancora l’odore della carta, non aperto… tranne Lanza non l’ha letto nessuno. Il principio di incarnazione si trova in Arnold, ma lo ha quasi ignorato e non vi ha tirato fuori quasi niente. Lo elabora, ma lo utilizza poco.
*Il problema è l’etsi Deus non daretur… bisogna lavorare sulla separazione fra Dio e mondo. Per questo Ratzinger dice che il problema è Dio e non la Chiesa… ma dove è stato intercettato? Nella sterilità di una pastorale che non interagiva con il mondo. Così Mazzolari e Milani: a loro avviso non è corretta l’interpretazione che afferma che la chiesa è al centro e qualcuno si è allontanato, invece è un mondo che se n’è andato per conto suo e la chiesa è rimasta lì.
*Il Concilio Vaticano II è stato veramente un evento dello Spirito Santo: ognuno vi era arrivato con le sue prospettive, ma l’evento è stato poi ben altro.
*Dinanzi a Gaudium et spes emerse il rapporto fra la scuola tedesca escatologista e la scuola francese incarnazionista: Cosa ci salva? L’incarnazione o la redenzione? Lanza con più coraggio ha detto: questo dualismo è rovinoso e pernicioso. Incarnazionista: accettazione del Cristo già presente. Escatologista: la morte di Gesù in croce, specifico della redenzione, molto barthiana e tedesca.Denis Biju Duval sostiene che GS è il superamento di questa opposizione, avvenuto per il contributo di Wojtyla.
*Se voi guardate quello che ha fatto da papa Giovanni Paolo II - il consiglio della famiglia, della vita, della cultura - sono gli ambiti della II parte di GS.
*GS è un tutto unitario (contro qualsiasi parzialità): se teniamo la prima teniamo anche la seconda. Le due parti sono innestate l’una nell’altra, radicate l’una nell’altra… alla prima non manca l’intenzione pastorale, questo che dico lo dico pensando già all’azione, né alla seconda quello dottrinale. Il punto debole è che qui si intende dottrinale come magisteriale. Invece dobbiamo distinguere il dogma dalla teologia dogmatica: il dogma è più importante, ma poi le teologie sono diverse.
*Con Gutierrez, Clovis e Leonardo Boff, il problema è quello del rapporto con la sociologia, ma esso non è ben risolto. Ma certo entra la prassi e la storia.
*La TP come scienza empirica, dal ’68 si oppone frontalmente a Barth. Barth condiziona oggi moltissimo, più da morto che da vivo - molta prassi di talune visioni ecclesiali è barthiana con un’idea della Scrittura e della rivelazione che sono barthiane. Lanza si contrappone a Barth sull’efficacia autonoma della Parola – Lanza dice che è su questo che convertì la sua precedente visione di biblista divenendo pastoralista, a partire dall’esperienza catechetica che non bastava la Bibbia per convertire. Lanza aveva studiato a partire da Käsemann e Jeremias: l’annuncio non bastava.
Ma ecco che nel tentativo di affrancarsi da Barth e dalla teologia speculativa si pose un primato della prassi inaccettabile. Nacque un’idea funzionale della religione al bene della società che andava d’accordo con la teoria sistemica di Luhmann. Ciò che non era funzionale poteva tolto. Terribile risultato: valgono le procedure, non la verità.
*Si pose la domanda del rapporto fra redenzione ed emancipazione. Ad esempio in alcuni numeri del Giornale di Teologia si prospettava l’idea che venisse prima l’emancipazione e poi la redenzione, prima l’uomo e poi il cristiano. Ma questa cosa è suicida: non esiste l’uomo senza Cristo. Non esiste l’uomo senza Cristo, in maniera autonoma.
*Finalmente Alfaro mostrò che esiste un rapporto fra fede creduta e fede vissuta. Egli afferma: “La fede si esprime necessariamente nelle opere per il legame fede-corpo”. Il rapporto fede-opere è anche per un’antropologia adeguata.
2/ IL RIFIUTO DEL METODO VEDERE-GIUDICARE-AGIRE COME PASSAGGIO NECESSARIO PER LA COSTITUZIONE DI UNA VERA TEOLOGIA PASTORALE
N.B. Questo secondo punto non deriva da appunti presi, ma è una rielaborazione in proprio, per fissare meglio i concetti appresi.
Ciò che si è già visto a partire dalla storia, e cioè come la vita della Chiesa non dipenda dalla sola Scriptura, ha una sua verifica importantissima nella famosa critica al metodo vedere-giudicare-agire che caratterizza la prospettiva di Lanza e della scuola dei Laterani.
Se tale metodo ha come origine la GIOC (Gioventù Operaia Cristiana), esso è poi passato in tantissime forme di riflessione ecclesiale, dallo scoutismo all’Azione Cattolica, ma, in realtà, lo so ritrova spessissimo, senza tale nome, in metodologie di sinodi diocesani, di progetti diocesani, di progetti parrocchiali, di laboratorio di formazione o di educazione al servizio o alla carità, in tutta Italia e anzi anche in contesti internazionali.
Ogni qual volta si afferma di voler prima ascoltare la realtà e solo poi esprimere un giudizio teologico su di essa si è, in realtà, dentro tale metodo. Esiste una spia per accorgersi che tale procedimento ermeneutico non è corretto, come si vedrà meglio. Ogni volta che nell’ascolto si dà voce a ciò che già si intende ascoltare – perché esiste una pre-comprensione della realtà, anche se lo si vuole negare – ciò appare con evidenza, soprattutto quando le analisi non cambiano nel corso degli anni: pensiamo ad esempio ai giovani che alcuni decenni fa erano in rivolta contro il padre ed oggi sono in ricerca del padre. Una pastorale che non prendesse sul serio la ricerca del padre e, quindi, di parole e proposte “paterne”, di guida, di indirizzo, di contenuto, non sarebbe un vero ascolto.
Ma ancor più la scorrettezza del vedere-giudicare-agire appare quando, non dichiarando che idea si ha della Chiesa e della realtà, si finisce a scegliere prospettive di azione che sono in realtà già decise, ma che si vuole far emergere dalla realtà, anche se essa non risponde ai propri criteri. Questo diviene evidente quando un determinato autore di teologia pastorale, dopo aver ascoltato la realtà, giunge poi sempre alla stessa proposta che aveva già elaborato anni prima in proprio.
Ma, ben al di là di queste spie, si tratta di capire bene perché è sbagliato, teologicamente e pastoralmente, partire da un presunto “vedere” neutrale, come quello della sociologia, come si è fatto per decenni – diverso è un ascolto contemplativo che sa scorgere i segni dei tempi sempre cangianti negli anni e sa cogliere la permanenza del dato teologico.
Sottolineiamo che è proprio dinanzi al cosiddetto metodo “vedere-giudicare-agire” che emerge la differente impostazione data da Sergio Lanza - e al suo seguito da Paolo Asolan - alla teologia pastorale. La critica ad un preteso “vedere” neutrale, dal quale scaturirebbe poi la riflessione teologica, è un punto di non ritorno, anche se molti continuano a trascurare tale evidenza.
Molto importante è che sia stato proprio Bergoglio, allora arcivescovo, a modificare il metodo “vedere-giudicare-agire” nel documento di Aparecida, proprio per evitare che si cadesse nella menzogna che possa esistere un “vedere” neutrale e non quello dei discepoli di Cristo; cfr. su questo 1/ Papa Francesco: vedere, giudicare e agire da discepoli missionari, di Pietro Messa 2/ La liberazione che viene dal Vangelo, di Filippo Santoro (significativo è anche che i sociologi che pretendono di essere neutrali, mostrano al contempo di essere filosofi con un preciso sguardo sulla realtà che condiziona il loro presunto sguardo scientifico, così è di Hervieu-Léger – cfr. Secolarizzazione, "eccezione europea" e caso francese: una recensione di Europe: The Exceptional Case di Grace Davie e Catholicisme, la fin d'un monde di Danièle Hervieu-Léger, di Massimo Introvigne) e di Zygmunt Bauman, solo per fare due esempi (cfr. Società liquida / Donati: la vera libertà ha bisogno di una direzione [Una riflessione critica del sociologo Pierpaolo Donati su Zygmunt Bauman con una breve nota de Gli scritti]).
Il metodo “vedere-giudicare-agire” è, purtroppo, il metodo implicitamente presente in tante ipotesi pastorali, anche se talvolta non se ne ha nemmeno consapevolezza. Basti pensare alla tipica impostazione di tanti convegni pastorali, basati su di una successione così concepita: prima il sociologo che descrive lo stato del rapporto comunità cristiana-realtà (il “vedere”), poi il teologo o il biblista che descrive cosa la comunità cristiana pensa della situazione (“giudicare”), infine il pastoralista o il vescovo che propone un’azione delle parrocchie (“l’agire”).
Lanza e Asolan rifiutano questa metodologia perché giustamente ritengono non esista un vedere che non sia guidato da una pre-comprensione, da un giudicare teologico.
Un sociologo potrà avere un’idea di paternità che è solo quella della tenerezza o un’idea di paternità che comprenda la trasmissione di contenuti e di valori perenni e, nel suo analizzare di cosa hanno bisogno i giovani oggi, utilizzerà la sua pre-comprensione ascoltando o ignorando quei momenti nei quali appare o non appare tale richiesta nel mondo giovanile. Potrà ritenere, ad esempio, che esperienze come il SOG di Assisi, i Dieci comandamenti o i Cinque passi siano fenomeni decisivi per comprendere di cosa ha bisogno un giovane oggi, oppure fenomeni devianti, a partire dalla propria pre-comprensione.
Allo stesso modo, se in apparenza un sociologo si mostrerà neutrale quando afferma che oggi non esiste il desiderio di chiarire la verità su Dio, di approfondire quale sia la differenza fra le religioni o fra il cristianesimo e l’ateismo, la chiesa – e con lui il teologo – sa che questa neutralità è sospetta, perché tale esigenza è radicato nell’uomo: la consapevolezza del desiderio di verità dell’uomo porterà il teologo pastorale ad interrogarsi in che modo, certamente oggi diverso da epoche storiche precedenti, quel desiderio sia presente anche oggi e come il giovane cerchi di orientarsi nei differenti mondi religiosi per cercare qualche criterio di comprensione.
Molto dello sguardo è, insomma, già nella pre-comprensione che si ha della realtà.
Questo non vuol dire per Lanza-Asolan che non sia sensata, anzi necessaria, un’analisi sociologica, un ascolto, un’attenzione ai nuovi contenuti, ai nuovi linguaggi, alle nuove “mode”, ai nuovi fenomeni (il “vedere”); infatti, non si può nemmeno dedurre la propria prospettiva pastorale dal puro dogma.
Proposte come quelle su indicate – il SOG, i Dieci Comandamenti, i Cinque Passi – non discendono semplicemente dalla consapevolezza di un desiderio di verità e di orientamento, bensì sono creative e diverse e non sono state dedotte, bensì sono germinate in determinati contesti. Il teologo pastorale può porsi la domanda se esse nascano da un esigenza comune, cui si deve rispondere in forma creativa, a seconda anche della propria sensibilità.
Allo stesso modo, l’esigenza di un dato culturale, di una riflessione su ciò che un giovane impara a scuola o respira nel clima culturale degli ambienti in cui vive, può entrare in una proposta pastorale in tanti modi, che non possono essere dedotti, ma debbono essere lo stesso indicati ed esplicitati, una volta che si è compreso che è un’esigenza che deve entrare nella riflessione pastorale.
Ancora: non basta sapere che il cuore del giovane avrà sempre un esigenza di verità su Dio, ma bisognerà comprendere come questo desiderio oggi è presente e con quale linguaggio parlarne. Non basta sapere che esiste il peccato originale e dedurre da ciò, allora, che bisogna incrementare il numero delle preghiere di intercessione e delle messe, ma bisogna comprendere come l’annuncio di Gesù che vince il male effettivamente presente nella storia umana può raggiungere questo concreto tempo.
Come è necessaria una precomprensione teologica corretta, così è necessario un corretto sguardo sulla realtà, così come essa è e non come si pensa che sia: solo questo permetterà di cogliere qual è l’azione pastorale da pensare.
Per questo Lanza-Asolan affermano che tra teoria e prassi esiste una reciprocità dialettica. La chiesa – e con lei il teologo pastorale – che intende riflettere su quale linea pastorale seguire, deve assolutamente guardare in maniera reciproca alla fede della chiesa e alla realtà, conoscendo bene l’una e l’altra.
Ogni “ignoranza” della teologia come della realtà sarà pericolosa. IL dato teologico e il dato di realtà debbono essere posti l’uno dinanzi all’altro in tutta la loro tensione.
D’altro canto, per Lanza-Asolan, questa reciprocità è asimmetrica. Affermare tale asimmetricità vuol dire riconoscere che la fede, la tradizione e la teologia hanno un preciso e corretto sguardo sul mondo che non sono mai deducibili da una semplice analisi del reale. L’evento Gesù non può essere semplicemente dedotto dal reale, ma giunge come un dono e una sorpresa. Sono un evento e una rivelazione che debbono avvenire e non sono semplicemente già presenti nel mondo. C’è un primato della fede.
Attraverso questa reciprocità dialettica e asimmetrica la teologia pastorale, per Lanza-Asolan, rifiuta sia l’induttivismo che il deduttivismo pastorale. Rifiuta cioè ogni proposta pastorale che emerga da una semplice analisi del contesto sociale e storico in cui si vive, così come rifiuta ogni proposta pastorale che deduca dalla fede una visione di cosa si debba fare oggi per annunciare il vangelo in questo determinato contesto.
Dietro questa dialettica sta l’accoglienza della visione filosofica dell’ermeneutica, che rende consapevoli che non esiste uno sguardo puro sul mondo, ma che il nostro sguardo è sempre pre-determinato da un punto di vista, da una pre-comprensione (che, invece il metodo vedere-giudicare-agire trascura).
Ecco perché il “vedere-giudicare-agire” si rivela falso. Perché non dichiara la propria pre-comprensione. Non dichiara che in ogni “vedere” c’è già un “giudicare”. Dimentica che il “giudicare” non viene dopo, ma è già presente nel vedere.
Tanto è vero che ogni volta che ci si pone in ascolto spesso si trova ciò che già si pensa di conoscere. Ad esempio, chi ritiene che il principale problema degli italiani sia il razzismo vedrà il rifiuto dell’accoglienza come il principale dei problemi dell’Italia attuale, mentre chi ritiene che il principale problema sia la perdita di identità del paese vedrà come principale questione d’affrontare la riaffermazione di una precisa nozione del paese e della sua storia. Solo chi ha, invece una corretta pre-comprensione della situazione che si misura al contempo con i dati reali, potrà uscire dall’impasse ed accorgersi come il razzismo non sia il principale problema del paese e come non lo sia nemmeno una crisi d’identità, ma si accorgerà che le chiusure reali dipendono da una mancata elaborazione di concrete proposte lavorative di inserimento e dall’allentamento dei nessi comunitari e sociali: dove la cultura “ufficiale” sgretola i nessi comunitari, la persona si trova da sola a dover accogliere ed ha paura, mentre la forza di una nazione sta nella consistenza dei suoi gruppi sociali, dalla famiglia alle comunità sindacali e di lavoro, a quelle di città o di regione, con le tradizioni pubbliche che le sostengono: dove manca una “tradizione” l’individuo è solo e non può più accogliere da solo.
Si vede qui come una precisa visione della fede – sto dichiarando le mie pre-comprensioni – che sia consapevole della rilevanza della famiglia, così come della centralità della questione del lavoro, detterà una lettura precisa di cosa sia accoglienza, in maniera “asimmetrica”, sapendosi forte di un criterio che permette di comprendere dove le proposte sociali falliscano, perché non aderenti alla vita così come essa è.
Una reciprocità “asimmetrica”, dove il dato della fede è determinante, non potrà mai dimenticare che non ci sarà mai accoglienza senza una cultura del lavoro, perché l’uomo è tale solo quando offre un suo contributo alla società e non vive in maniera parassitaria – tale dato proviene dalla visione del lavoro che ha la fede cristiana. Ma, d’altro canto, questa asimmetria dovrà poi essere “dialettica”, non basterà cioè affermarla in astratto, ma bisognerà compiere un’analisi puntuale di quali siano oggi le dinamiche esistenti nelle sviluppo economico per proporre una linea pastorale concreta e possibile.
Non si deve dimenticare che il nesso di reciprocità asimmetrica tra fede e lettura dei dati mostra come le dinamiche culturali siano intrinseche all’azione della chiesa e alla sua riflessione teologica. Se una carenza di teologia e di senso della tradizione porterà talune comunità cristiane a sottovalutare aspetti invece decisivi della fede – dai suoi contenuti, all’efficacia dei sacramenti, all’importanza della liturgia – d’altro canto un’assenza di passione e di competenza culturale porterà l’annuncio a divenire puro kerygma astratto incapace di toccare il cuore e le situazioni vitali dell’uomo nostro contemporaneo.
3/ TEOLOGIA PASTORALE: RIFLESSIONE TEOLOGICA SISTEMATICA
N.B. Qui gli appunti tornano ad essere veri appunti, ma non si deve dimenticare che si è di nuovo dinanzi ad una selezione di essi e che essi sono sempre reinterpretati da chi scrive e non rispecchiano se non indirettamente le lezioni del professore.
*La Teologia pastorale secondo Lanza, Asolan e la scuola dei Laterani deve rifiutare, da un lato, un primo modello, quello della deducibilità della prassi dalla teoria. Asseriamo l’indeducibilità (per Lanza è una legge come lo sono l’irriducibilità e la reciprocità).
L’indeducibilità, cioè non c’è passaggio diretto dalla teoria alla prassi. Il contesto non è un contenitore vuoto sul quale la teologia scrive. Il destinatario non è consecutivo, ma è costitutivo. Il dato struttura l’azione. La teoria più perfetta diventa ideologia, sogno o “buone intenzioni”, senza la realtà. Lo si vede in quelle analisi che si concludono sempre con: “Bisognerebbe fare, bisognerebbe andare, bisognerebbe…”. Non si dà una teoria a prescindere dalla prassi.
*Ma la Teologia pastorale deve rifiutare anche un secondo modello, quello dell’induttivismo.
Esiste, infatti, un’irriducibilità della Teologia pastorale: è teologia, non prassi.
Se si dicesse allora: poiché non si può dedurre, allora usiamo l’induttivismo allora facciamoci istruire dalla prassi. Si dimenticherebbe che già la filosofia della scienza rifiuta l’induttivismo: Popper critica l’induttivismo mostrando che il metodo induttivista non esiste. Si veda qui qui il primo capitolo de Il tacchino induttivista.
Ciò è vero anche per la teologia: per quanto tu studi la prassi umana, essa non fa “succedere” il Cristo. La fede è irriducibile alla pura prassi.
*Ecco allora un terzo modello, che è invece corretto, che è quello di una reciprocità però asimmetrica. Certo nessuna teoria sostituisce il dato della prassi. Nella reciprocità c’è, però, l’asimmetria – dato evidenziato da Lanza. Infatti, è il dato di fede che interpreta il dato della prassi! Fede e prassi sono dialettiche, ma chi determina la comprensione sono le categorie della teologia.
Non si può dire: siccome la gente non si confessa più, allora togliamo la confessione e i confessionali. Oppure: per far partecipare la gente alla liturgia, cantiamo a messa i “Ricchi e poveri” perché “funziona”!
L’unione ipostatica – dice Arnold – è istruttiva: è unione senza confusione… tiene in tensione i dati.
*Si può parlare, pertanto, anche di eresie pastorali. Non bastano solo la natura divina o solo la natura umana in Teologia pastorale, come quando si afferma: “L’importante è pregare” e “Facciamo l’adorazione”, o, all’opposto, facciamo un’analisi sociologica dell’uomo che ci dice questo e questo. Sul dato umano – vedi le scienze umane, psicologia, pedagogia, ecc. - abbiamo bisogno di conoscere e confrontarci con uno sguardi di fede.
*Così è scorretto il metodo “vedere-giudicare-agire”, quasi che esistesse uno sguardo neutro a prescindere dalla fede. Talvolta il “vedere” è stato fatto attingendo ad una sociologia di tipo marxista, con attenzione prioritaria o esclusiva alle relazioni economiche, ai meccanismi economici che determinano la vita sociale (utilizzando, ad esempio, la scuola di Francoforte). Si teorizza che questo quadro sia oggettivo, si afferma che il “vedere” deve dipendere dalla sociologia, per essere obiettivi. Ma anche se non fosse marxista, è il metodo che è sbagliato. Non si parte da un “vedere” neutro.
Solo il paleopositivismo di Comte poteva pensare di ricostruire oggettivamente la realtà. La pre-comprensione, invece, determina la visione. L’osservazione è già orientata. Non va bene un convengo che abbia il sociologo in prima serata, in seconda il teologo e in terza il pastoralista: viene il sociologo, sempre lo stesso in tutta Italia, per dare le percentuali: il 34 crede, il 18 va a messa, il 12%, il 15%, i 29%.
Poi viene in seconda sera il teologo che dice che esiste una pastorale giovanile, una spiritualità giovanile.
Poi viene il pastoralista della diocesi la terza sera che dice: “Teniamo aperte le chiese del centro, facciamo l’Adorazione in spiaggia, facciamo il Punto giovani, facciamo i Dieci comandamenti, cambiamo l’Iniziazione cristiana, facciamo le confessioni, abbracci gratis fuori della stazione”.
Chi è che ha dettato la linea? Il primo!
*È stato Bergoglio ad Aparecida a critica e il metodo “vedere-giudicare-agire”: infatti fin dall’inizio è un vedere da discepolo – dopo 40 anni finalmente si é detto con Aparecida che quel metodo era sbagliato. Questo è stato detto con il contributo di padre Scannone.
*È nello statuto dell’origine del fatto cristiano il rapporto teoria-prassi, come si vede in Gestis verbisque di Dei Verbum (cfr. su questo l’articolo Gestis verbisque, fecondità di una formula in Opus Lateranum, ma cfr. anche Paolo VI e l’Evangelii nuntiandi: nell’annuncio del vangelo talvolta le parole precedono i gesti e talvolta i gesti le parole, di modo che testimonianza di vita ed espressione a parole delle ragioni della fede sono sempre intrecciate. Breve nota di Andrea Lonardo).
*L’azione ecclesiale è incarnata – come precisò Arnold -, risponde al principio del “divino-umano”: la salvezza consiste in questo uomo che è Dio, dunque l’azione ecclesiale è tale tanto quanto porta la salvezza.
Lanza chiama questo “principio di incarnazione”. È principio, è evento, è criterio. Deve essere un’azione veramente umana. Ulteriore precisazione: il fatto umano-concreto non è involucro, non è solo contenitore. No, se lo perdo, perdo l’azione salvifica. Se voi all’eucarestia togliete il pane e il vino cosa rimane?
Insomma il dato umano è rilevante perché è nella realtà che Dio si manifesta. Perché il discernimento è adeguato come categoria? Perché dobbiamo riconoscere ciò che sta accadendo. Non esiste una pastorale ideale, non esiste una liturgia ideale.
*È il Kairos. La mamma che cambia i pannolini sta costruendo il regno di Dio, manifestazione di un amore che ha a che fare con il regno di Dio, in quell’occasione. L’occasione è decisiva, è decisivo capire i tempi e i momenti.
*La pastorale non è solo fare mosaici ed esercizi spirituali! La famiglia e il suo dramma odierno fanno parte della pastorale.
Esiste una deriva monofisita dell’oriente: talvolta l’oriente dimentica il dato umano, mentre l’occidente lo esaspera e pensa che l’uomo possa restare tale senza Dio. L’evento di Gesù Cristo, invece, fissa la forma della salvezza.
*Bisogna avere competenza su tutto il dato di fede, su tutte le branche della teologia, nonché sulle scienze umane! Ma la sintesi che ne viene è sempre dal punto di vista della teologia.
Il fondamento teologico della teologia pastorale poggia su Dio che si manifesta nella storia ed ha come adeguato solo il principio di incarnazione: Dio salva sempre l’uomo attraverso l’uomo. Lo schema corretto non è deduttivo, non è induttivo, ma di reciprocità dialettica asimmetrica.
Solo questa prospettiva è adeguata per un tipo di sapere che è rivelativo: la verità non è frutto di esperienze, esperimenti (lo storicismo come metodo di valutazione della verità appartiene all’idealismo, al marxismo che porta all’emancipazione sociale): questo schema non funziona per la teologia.
Noi dobbiamo andare a cosa succede nell’azione della Chiesa: si rivela Dio. La sua voce e i suoi gesti rendono presenti la Parola di Dio. È realmente un dato umano, ma in quel dato si manifesta l’azione di Dio: bisogna acconsentire ad un’azione che Dio fa tramite la comunità.
Un’azione pastorale ha funzionato se, con essa, c’è ora più carità, fede e speranza. La risposta numerica non può essere il criterio valutativo.
*Lanza passò alla teologia pastorale dalla Bibbia, perché si domandava perché tanta catechesi non producesse la fede. Se nella pastorale entra in gioco che Dio è qui adesso e vuole incontrare l’uomo, ecco che i due termini debbono essere in gioco: Dio e il contesto. Solo il metodo del discernimento è adeguato!
*Ecco perché esiste innanzitutto una dimensione kairologica della teologia pastorale. Kairos è la considerazione del tempo in base a qualcosa che accade e lo può determinare: è arrivato il fatto che cambia le cose. Le azioni di Dio sono di questo tipo, determinano la vita e una visione del tempo diverso. La kairologia assomiglia alla teologia dei “segni dei tempi”: riflettere su cosa è segno dell’azione di Dio che chiede di essere riconosciuto e lasciato agire.
Ma anche il dramma della storia è kairos: nel n. 54 di Centesimus annus: il peccato di origine vale come criterio di interpretazione, ha un grande valore ermeneutico. Se qualcosa non funziona, forse c’è anche il peccato da considerare. Far entrare il peccato originale come criterio ermeneutico nell’analisi dell’economico è una questione decisiva.
*Nella visione marxista, invece, l’uomo è malato e lo stato deve intervenire, perché lo stato rende buoni.
Il che vuol dire che dobbiamo dialogare con giornalisti e sociologi, ma non per avere una spiegazione su cosa dobbiamo fare: è la teologia che pone invece la domanda.
*C’è poi una seconda dimensione, quella operativa. In termine di praticabilità: qualcosa che si può fare… Non che si potrà fare quando ci saranno determinate condizioni. In teologia pastorale c’è una tensione vitale fra fondamento teologico-pratico e operatività. Qualcosa che si può fare, che è realistico fare, che va bene fare proprio adesso.
C’è poi una dimensione criteriologica. Come questa prassi può prendere la forma di Cristo? Come concretamente questo metodo si esprime? Innanzitutto attraverso un’analisi e valutazione che è diversa dal “vedere/giudicare/agire”.
*Ma l’interesse è sempre su cosa la chiesa deve fare. Per questo la teologia pastorale tedesca non ha più molto da dire: meglio quella latino-americana. Quella tedesca non si interessa a cosa si deve fare: lo lascia alla sociologia religiosa e al contributo che la religione potrebbe dare alla società
*Una lettura sapienziale sarà sempre “prudente”, perché sa bene che resta sempre qualcosa che è indeducibile.
*C’è poi la fase della decisione e progettazione. Spesso si patisce molto in tante diocesi l’indecisione dei vescovi. Non decidono cosa si deve fare: non c’è niente di peggio.
Io rispondo della decisione che prendo. So dire e sostenere perché: so spiegare perché, capisco e so coinvolgere: questa deve essere la modalità, saper decidere e saper conquistare alla propria idea.
Per questo il consiglio pastorale “concorre”. Il “progetto pastorale” non può essere l’infinto elenco: servono due o tre obiettivi. Serve la priorità di qualche problema. Se devo ripartire da dove parto?
*La decisione non è sufficiente se non si articola in un “progetto” che si distingue dal “piano”. È meglio rifiutare la parola “piano pastorale”; perché il “piano” è un “piano” di lavoro, nel piano l’obiettivo e il prodotto finale sono previsti all’inizio.
Nelle cose di Dio non funziona così. Es. di chi dice: “Hanno fatto il cammino di comunione e “debbono” fare così e così”. No, nel “progetto” c’è un adventus: alcune cose accadranno senza che io le abbia previste.
C’è poi la tappa dell’attuazione e verifica. Mai una verifica solo numerica!
*Per la dimensione kairologica bisogna acquisire affinità tra noi e Dio in modo da poter comprendere e giudicare. Va bene leggere le ultime cose che escono, bisogna “essere sul pezzo”, ma tutto ciò che sono i padri e i dottori della chiesa, voi li dovete conoscere, perché questi illuminano. Non si comincia con il Vaticano II o con noi o con Ratzinger o con papa Francesco. Dovete sapere dinanzi ad una grande questione pastorale, cosa ne pensa Agostino, Tommaso o Santa Caterina: non dovete sapere tutto, ma almeno avere un’idea, sapere che questo o questo è specialista di quella questione.
*Nella decisione e progettazione è importante il rapporto fra sinodalità e cefalità. La sinodalità presuppone la cefalità. Può esserci un problema di sinodalità, ma attenzione che c’è spesso un problema di cefalità: non è chiaro chi decide poi alla fine, dopo aver ascoltato tutti, e si rimane sempre nel limbo dell’indeterminato e ognuno continua a fare quello che faceva prima
*Nella progettazione bisogna sempre pensare un progetto sempre in linea di praticabilità: chi fa che cosa, quando e con quali strumenti. Ad es. Chi paga? Ci vogliono soldi per fare certe cose… e le persone che lo fanno sono capaci di questo?
L’attuazione, invece, è un labor. Comporta una fatica, un travaglio, un lavoro, un impiego di tempo, risorse, energie che vanno per questo obiettivo
*La forma specifica dei laici non è assumere ministeri, ma essere nella loro esistenza nel mondo, nel lavoro, nella città, nella vita. Congar parlò di una chiesa tutta ministeriale… ma questa è una sciocchezza, se non ben capita. Nella chiesa non è vero che tutti debbono avere un ministero. Il ministero è specifico, ha un mandato ecclesiale, è a tempo, non è di tutti
Papa Francesco ha ripetuto: non bisogna clericalizzare i laici.
*La verifica si fa in base agli obiettivi, presuppone un progetto. Certo la questione numerica è importante: se dopo 10 anni non viene nessuno al gruppo biblico, questo è un dato (cfr. il caso di chi regalava la lampade con l’olio e la gente si confessava e faceva la comunione in numero assurdamente più grande della lectio: questo deve far pensare). Ma ancor più importante è la verifica qualitativa: non si tratta di guadagni da incamerare. Si tratta di un’azione divino-umana: si deve vedere, non “sperare che”, non “auspicare che”, si deve vedere l’azione divina e non solo umana.
*Il primo effetto di un’azione pastorale è la qualità delle relazioni. Altrimenti l’azione pastorale è un’ideologia, un dover essere.
Se ciò che facciamo non produce un aumento di fraternità, di amicizia pima ancora di rispetto, di “riconoscimento” dell’altro, ciò che lui è, prima di quello che fa, se non produce un aumento di fede, di speranza e di carità non viene da Dio. Ma questo si deve vedere!
*Spesso si dice: bisogna che siano i laici ad occuparsi di economia parrocchiale, che siano i laici ad amministrare i beni della chiesa. Ma noi siamo pieni di gente che non utilizza criteri ecclesiali per amministrare i beni.
Ma – bisogna aggiungere – se togliamo la parte amministrativa, siamo certi che vogliamo un pastore o vogliamo solo dei monaci? Certo il peso che è sul parroco è eccessivo, ma non è detto che bisogna sottrarre al prete il carico di queste cose.
Il problema chiave è: il pastore non è un monaco: il pastore non deve essere estraneo al pagare una bolletta. Certi problemi fanno parte dell’essere umano
*Cosa vuol dire che l’azione pastorale deve rispecchiare il Padre creatore? Creazione significa far esistere qualcosa che prima non c’era.
Deve rispecchiare il Figlio: devono essere sempre presenti i caratteri del servizio alla verità e alla carità L’aspetto veritativo della fede non può essere trascurato: Gesù non ci dà delle opinioni. Carità e Logos: dobbiamo valutare anche perché il NT è scritto in greco, perché ha voluto un radicamento in una cultura in cui anche l’elemento razionale era presente e anzi determinante.
Il Concilio insegna che c’è un diritto a poter ascoltare l’annuncio del Vangelo. Paolo VI ha dichiarato in EN che ad un certo punto bisogna arrivare all’annunzio esplicito, non basta la testimonianza. L’uso delle parole, presuppone la necessitò di usare le parole giuste, non utilizzate ideologicamente.
Deve rispecchiare lo Spirito.Ci sono due compiti nella comunità cristiana; l’edificazione della comunità e la missione Se manca uno dei due movimenti, muore. Deve stringere e lasciare, radunare e inviare, unire e mandare. In un movimento di sistole e diastole.