Junipero Serra, il frate che evangelizzò la California. Bergoglio canonizza il francescano che fondò diverse missioni tra cui quella da cui nacque San Francisco. Una figura non priva di contraddizioni, di Paolo Pegoraro
Riprendiamo dal sito della rivista Credere un articolo di Paolo Pegoraro pubblicate il 23/9/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Il settecento.
Il Centro culturale Gli scritti (10/8/2020)
Una delle statue di fra' Junipero Serra stupidamente
abbattute (a lui si deve anche il nome della città
di San Francisco in California)
Prima è toccato a Francesco de Laval e Maria dell’Incarnazione, fondatori della Chiesa nel Canada. Poi a Giuseppe de Anchieta, evangelizzatore del Brasile e fondatore della città di San Paolo. E in seguito a Giuseppe Vaz, che portò il Vangelo nello Sri Lanka. Oggi sono tutti santi. Per papa Francesco sono i modelli di una Chiesa non ripiegata su se stessa, ma “in uscita missionaria”. Modelli di una santità che abbraccia e si lascia abbracciare da tutti i continenti.
Durante il suo viaggio negli Stati Uniti, nel corso della celebrazione eucaristica del 23 settembre a Washington, sarà la volta di fra Junípero Serra, fondatore di numerose missioni da cui si svilupparono le principali città californiane. Potrà sorprendere che proprio la California – famosa per spiagge, cinema e trasgressione – abbia per fondatore un francescano.
Eppure nomi come San Diego, Los Angeles o la stessa San Francisco conservano memoria dell’origine missionaria. Le 21 missioni lungo “El Camino Real”, di cui nove da lui fondate, sono ancora visibili. A lui è intitolata la vetta più alta delle Santa Lucia Mountains. E nella sala del Campidoglio di Washington, dove la statua di una personalità illustre rappresenta ogni Stato dell’Unione, il volto della California è quello di Junípero.
Nato a Majorca il 24 novembre 1713, Miguel Jose entra tra i Frati minori appena sedicenne, per prendere i voti con il nome di “Junípero”, ossia Ginepro, come il frate che Francesco d’Assisi ammirava per la perfetta pazienza. A 33 anni salpa per le Americhe con un compagno. Giunge in Messico dopo otto mesi di navigazione e cento leghe a piedi, nonostante la comparsa di una piaga alla gamba che lo accompagnerà fino alla morte.
Dopo una decina d’anni trascorsi come predicatore itinerante nelle diocesi messicane, Junípero è in prima fila per una nuova sfida. Nel 1767 il re di Spagna espelle i Gesuiti dai propri domini, le loro missioni passano ai Francescani e diventano la “base” per l’evangelizzazione dell’Alta California. Il re benedice l’impresa, preoccupato dalla calata dei russi dall’Alaska.
Junípero si rimette in viaggio, amministra seimila Battesimi, riceve il permesso di impartire le Cresime e ne conferisce oltre cinquemila. Si muove sempre a piedi, meritandosi il titolo di «El Gran Caminante», il grande camminatore: assommando il periodo messicano a quello californiano, pare abbia percorso circa diecimila chilometri, tutti con una gamba ulcerata.
Instaura nove missioni tra le tribù indiane. Insegna a costruire insediamenti stabili, la coltivazione e l’allevamento. Nonostante i missionari dipendano dalla Corona spagnola, si scontra con alcuni comandanti, riuscendo perfino a farne rimuovere uno: non vuole che s’impongano ai suoi “figli” vessazioni a vantaggio dei rappresentanti del re. Gli indiani lo chiamano con affettuoso rispetto «El Viejo», l’anziano. Come un capo-tribù. Il suo atteggiamento verso di loro è sicuramente molto paternalistico, ciò nonostante sono proprio i missionari a difendere la dignità degli indiani, uomini – non bestie – destinatari dell’annuncio del Vangelo.
Oggi alcuni gruppi ne contestano la canonizzazione e chiedono che la statua di Junípero sia rimossa dal Campidoglio, attribuendogli tutti i mali del colonialismo. Ma la pratica di punire chi lasciava le missioni senza permesso, pur deprecabile, non autorizza a formalizzare accuse di genocidio. «Non è legittimo fare di Serra un sostituto per tutti e 65 gli anni dell’esperienza missionaria in California», commenta Robert Senkewicz, professore di storia alla Santa Clara University. «Se si vuole parlare di genocidio contro i nativi della California, accadde durante la corsa all’oro, dopo il 1850. Nonostante i loro errori, nessun missionario in California fece proprio il ritornello “il solo indiano buono è quello morto”. E nelle missioni californiane non vi fu nulla che si possa connettere a stragi come Sand Creek o Wounded Knee».