Cogliere uno sguardo di speranza in un’infermiera in un reparto oncologico, di sr. Chiara Cherubini
Riprendiamo sul nostro sito una testimonianza di sr. Chiara Cherubini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Vita.
Il Centro culturale Gli scritti (1/6/2020)
N.B. di Andrea Lonardo. Sr. Chiara (sulla sua storia, cfr. Suor Chiara: anche il mio tumore è parte del centuplo promesso da Gesù. Un’intervista di Annalisa Teggi su questo stesso sito) mi aveva parlato agli inizi del lockdown dell’amore di tanti infermieri che curavano con estrema attenzione i malati, ma che non trasmettevano speranza, anche quando erano cristiani. Le avevo chiesto di scriverne, provando a dire come sarebbe potuto essere diverso invece l’incontro con un infermiere o con un medico, come avrebbe potuto cambiare i giorni di ricovero - e il cuore - di un malato. Aveva atteso e ora capisco perché. Non voleva parlarne in negativo, quasi a permettersi di entrare nella privacy del dolore di un infermiere, della stanchezza dove l’amore e la cura per il malato non riesce però a divenire speranza. Attendeva un incontro di luce, per parlarne in positivo, con gratitudine piena, senza ombre. Ecco il suo articolo appena giuntomi.
“Ti abbraccio col mio sorriso, che passa dallo sguardo”: mi ha sorpreso così Susanna, in un fresco mattino di aprile, al termine di un’infusione, al Day Hospital Oncologico della mia città.
Era finalmente giunto il momento di arrendermi, di cedere ad un’evidenza così limpida, che nessuna cellula tumorale può avere il potere di adombrare: arrendermi, cioè, all’evidenza dell’Amore, talmente carnale e talmente divino, da aver bisogno di una mascherina chirurgica per sentirne il calore e l’intensità.
Sì, quella mascherina chirurgica, in quel mattino primaverile di potente chemioterapia, non frenava assolutamente nulla, anzi… velava e svelava quella che è una delle tre grandi Virtù, la Speranza; ne possiede anche il colore!
Attraverso gli occhi stanchi, turbati e lucenti di Susanna, in pieno tempo di Covid19, il suo sorriso invisibile che mi abbracciava con lo sguardo era l’evidenza fiorita di tante vite, donate, offerte, regalate. Impavide.
E a me, figlia povera di San Francesco, dalle ossa sgretolate che i farmaci cercano di restaurare, tutte queste vite giungono come una carezza, come un grido, come un canto. Anzi, come una canzone: “O è Natale tutti i giorni, o non è Natale mai”; o scorgo il mio Signore farsi carne ad ogni istante, o la mia Fede - altra grande Virtù - è semplicemente il Nulla.
“Speranza certa e carità perfetta”, afferma il mio padre San Francesco: la Speranza certa è lo sguardo gettato in avanti, su solide basi qui e ora, e la Carità perfetta è l’Amore compiuto, cioè Gesù Cristo riconosciuto sempre ed ovunque, dal primo vagìto di un bimbo a ciò che si può ancora ascoltare da un respiratore…
A ciascuna Susanna che ogni giorno vive perché tanti possano vivere, il mio semplice grazie e la mia povera preghiera. E l’augurio che insieme, tutti, laddove il Padre ci aspetta, abbracci, sorrisi e sguardi possano essere per sempre. In uno splendido sfondo verde speranza.
Sr. Chiara