1/ Schmidt: riportare Duccio a Santa Maria Novella. Per il direttore degli Uffizi con un atto di coraggio i musei statali dovrebbero restituire alcuni dipinti alle chiese. Riaprono le Gallerie e la mostra di Raffaello, di Marilena Pirrelli2/ Perché la domanda di Eike Schmidt è importante. Breve nota di Andrea Lonardo
1/ Schmidt: riportare Duccio a Santa Maria Novella. Per il direttore degli Uffizi con un atto di coraggio i musei statali dovrebbero restituire alcuni dipinti alle chiese. Riaprono le Gallerie e la mostra di Raffaello, di Marilena Pirrelli
Riprendiamo da Il Sole 24 Ore del 28/5/2020 un articolo di Marilena Pirrelli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Arte e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (1/6/2020)
Un ritorno ai luoghi architettonici dove furono creati e dove risiede il loro significato spirituale originario, quello che aveva determinato la loro creazione. È quanto si auspica il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt per le opere concepite per chiese e cappelle e poi finite nei musei statali o nei loro depositi.
“Credo che il momento sia giunto: i musei statali compiano un atto di coraggio e restituiscano dipinti alle chiese per i quali furono originariamente creati”, ha detto Schmidt in occasione della riapertura di Palazzo Pitti a Firenze. L'operazione potrebbe coinvolgere tavole, tele, pale ed altri dipinti.
Tra questi, ha spiegato: “il caso forse più importante si trova proprio agli Uffizi: la Pala Rucellai di Duccio di Buoninsegna, che nel 1948 fu portata via dalla basilica di Santa Maria Novella e dagli anni '50 del Novecento è esposta nella sala di Michelucci e Scarpa, insieme alle Maestà di Giotto e di Cimabue”, ma che “non è mai entrata a far parte delle proprietà del museo”.
La pala d'altare, che raffigura la Madonna con il bambino, fu dipinta per la compagnia dei Laudesi nella prima cappella del transetto destro in fondo alla basilica fiorentina. “Per Firenze, non parlo di opere acquistate nel corso dei secoli dai Medici e dei Lorena, spesso per cifre assai cospicue, e inserite in contesti collezionistici ben precisi, ma di pale d'altare che dalle chiese spesso sono finite nei depositi dei musei, o che nei musei sono state trasportate solo temporaneamente per poi rimanervi senza alcun passaggio di proprietà ufficiale. Mi auguro - ha aggiunto Schmidt - un dibattito ampio, aperto, pubblico e privo di pregiudizi sull'opportunità di restituire l'opera alla basilica di Santa Maria Novella per la quale essa fu ideata e dipinta”.
Museo diffuso
La proposta già avanzata negli anni '90 da Giorgio Bonsanti e “è sacrosanto metterla in pratica” è convinto Schmidt. “Il ritorno a casa della pala di Duccio sarebbe non solo un atto dovuto di giustizia storica, ma anche un bellissimo modo per celebrare, nel 2021, gli 800 anni dell'insediamento dell'ordine domenicano in Santa Maria Novella, all'insegna di un dialogo sempre più fertile, culturale e spirituale, tra Stato e Chiesa”.
L’iniziativa avrebbe anche il merito, viene sottolineato, di dare gambe al progetto del 'museo diffuso', tornato alla ribalta durante l'emergenza Covid per evitare gli assembramenti nei musei più famosi. Il ricollocamento dei dipinti, però, pone il problema della loro sicurezza e conservazione, criticità sulla quale insistono molti commentatori.
2/ Perché la domanda di Eike Schmidt è importante. Breve nota di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Arte e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (1/6/2020)
La domanda di Eike Schmidt è importante e raramente viene posta.
C'è da un lato la questione storica: è grave che nelle scuole non si insegni che la Pinacoteca di Brera o le Gallerie dell'Accademia di Venezia o la Pinacoteca di Bologna sono il frutto dei furti della rivoluzione francese, prima ancora che Napoleone prendesse il potere (cfr. su questo, in particolare:
- Le Gallerie dell’Accademia di Venezia. Guida per la visita, prima parte, di Andrea Lonardo 1/ La vera storia delle Gallerie dell’Accademia di Venezia: per capire la storia d’Italia all’arrivo dei rivoluzionari francesi 2/ I dipinti superstiti della chiesa di Santa Maria della Carità e i teleri depredati alla Sala dell’albergo della Scuola grande di San Marco, presenti nella sala 23 3/ I teleri di Vittore Carpaccio con le storie di Sant’Orsola e delle undicimila vergini depredati alla Scuola di Sant’Orsola 4/ Storia della chiesa di Santa Maria della carità (oggi sala delle Gallerie dell’Accademia di Venezia)
- La vera storia delle Gallerie dell'Accademia di Venezia per capire la vera storia d'Italia all'arrivo dei rivoluzionari francesi (II parte), di Andrea Lonardo 5/ I teleri con le Storie delle reliquie della Croce depredati alla Scuola di San Giovanni Evangelista 6/ I teleri di Jacopo Robusti detto Jacopo Tintoretto depredati alla Scuola Grande di San Marco 7/ L’istituzione laica delle Scuole di Venezia 8/ Un elenco delle opere depredate alle chiese di Venezia all’arrivo dei rivoluzionari francesi
- Introduzione alla Pinacoteca di Brera di Milano. «La Pinacoteca di Brera si distingue dalle raccolte di Firenze, di Roma, di Napoli, di Torino, di Modena, di Parma, per le vicende della sua formazione che non ha radici nel collezionismo aristocratico, principesco o di corte, ma nel collezionismo politico, di Stato, che è invenzione napoleonica. Ai dipinti tolti da chiese e conventi della Lombardia, se ne aggiunsero altre centinaia confiscati dai vari dipartimenti, numerosissimi quelli dal Veneto», di Luisa Arrigoni
- La Pinacoteca di Bologna ha sede nell’antico noviziato dei Gesuiti che fu depredato all’arrivo delle truppe rivoluzionarie francesi inviate dal Direttorio ed è composta in massima parte dalle opere sottratte con la violenza (circa 1000 tele ed opere diverse) alle chiese e ai conventi fra il 1797 e il 1810)
Prima la rivoluzione francese e poi il Risorgimento hanno fatto passare l’idea che, per rendere un’opera “fruibile” dal pubblico, essa andasse sequestrata alle chiese e posta in un Museo. A distanza di secoli si capisce quanto fosse ideologica tale posizione e quanto nascondesse una vera e propria persecuzione della chiesa, quasi che i meriti dell’illuminismo e del risorgimento tenessero al riparo quei due movimenti da ogni errore e da ogni critica.
Oggi si comprende meglio come proprio quando un’opera è nel contesto per la quale è stata progettata, in questo caso una chiesa, essa è al servizio reale dell’intera popolazione – e non quando è musealizzata e quasi resa asettica.
Ne deriva così la seconda questione che è quella della comprensione storico-artistica delle opere: fuori dal loro contesto non solo non si capiscono più le diverse iconografie, ma non si ha nemmeno più coscienza della visione prospettica di esse e si incentiva una falsa visione dell'opera frontale, mentre molte di quelle erano poste a destra o a sinistra o comunque ad una certa altezza e con richiami alle restanti opere di una determinata cappella.