La pazza gioia di Paolo Virzì. Storia di una rinascita, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (24/5/2020)
Donatella[1] si immerge nell’acqua con Elia, in quella stessa acqua nella quale aveva tentato anni prima il suicidio e l’uccisione del figlio, per le troppe lacrime che aveva versato e per la disperazione di non vedere alcun futuro per lui.
Quell’acqua che era stata morte ora è segno di una rinascita. Entrambi si immergono, ma non più per la morte. Bensì per essere lavati dal loro passato, per rinascere.
È questo il simbolo più forte del film La pazza gioia di Paolo Virzì. Ma anche l’evocazione più religiosa dell’intera storia, ben più della messa celebrata all’inizio, ben più del momento nel quale Beatrice compie un falso rito con parole cristiane, solo in apparenza blasfeme, data la situazione di follia.
In effetti, per tornare a vivere, dopo essere morti, bisogna “rinascere”. Non basta andare avanti, evitando di ritornare, per vincerla, a quella “morte” che si è vissuta. Serve una grazia che cambi quel passaggio di lutto e di peccato, benché incolpevole, in un nuovo inizio.
Virzì, riproponendo una discesa nell’acqua, è come se dicesse che il passato non si può cancellare, ma deve essere perdonato. Non solo deve essere rivissuto, ma anche mutato di segno. Come solo la nuova immersione del Battesimo consente.
Donatella si spoglia delle vesti antiche ed entra senza di esse nell’acqua: ormai è nuova, come nel Battesimo si segnala la novità di vita, con la spogliazione e la veste bianca.
Della nascita parla tutta la storia di Donatella ed è lei il personaggio più vivo, nonostante la sua depressione. Il suo attaccamento alla vita di suo figlio Elia fa sì che anche Beatrice, in fondo vuota di veri affetti, anche se carica di cose e di beni – sua è Villa Biondi perché la sua famiglia ricchissima ha creato la comunità di persone con disagio mentale appositamente per poterla internare e all’interno di essa ella è paziente e al contempo padrona – scopre la possibilità di servire la vita e di rinascere.
Per Beatrice l’amicizia con Donatella è l’occasione di un ritorno alla vita, ad un’amicizia vera, ad una cura per la vita, dopo aver vissuto nell’inutilità tutta la sua esistenza. Anche per lei il percorso è quello di una vera e propria nascita, che la porta dal fatuo delle sue illusioni all’incontro con la realtà drammatica di una madre che vuole riabbracciare suo figlio che gli è stato portato via dai servizi sociali.
Incredibile è, qui, come il film non tema di infrangere il tabù di chi ritiene che sia meglio tacere ai figli adottivi dei veri genitori. Elia sa da sempre che l’amare la sua nuova famiglia che lo ha accolga non vuol dire dimenticare la sua vera madre. Quando la sente parlare, sa già che è lei, sa già che a lei può dire che la sua vita è “normale”, come risponderebbe un ragazzo alla domanda di sua madre, quasi schernendosi dal rispondere la verità.
Elia tornerà alla sua famiglia adottiva, ma avrà visto sua madre e non sarà più un tabù poter parlare di lei e con lei, poterla incontrare ancora una volta maggiorenne.
Dinanzi ad una madre con disagio mentale crolla il perbenismo della cultura attuale e si può finalmente parlare del bisogno che un figlio ha di vedere la propria madre naturale, dopo che fiumi di falso pietismo steso dai cultori del gender, hanno preteso che non si potesse parlare in alcun modo dell’esistenza di legami naturali.
Per fortuna, ogni volta che si affronta il dolore, come ne La pazza gioia, la vita ritrova la sua semplicità e ridiviene possibile dire ciò che è evidente a tutti.
Una volta rinati, si può tornare a casa. Per Donatella, la casa ormai è Villa Biondi. Il suo cammino, a piedi, verso la sua casa è descritto proprio come il ritorno di un profugo che finalmente, dopo fatiche inenarrabili ritrova la propria patria. Donatella cammina, sempre più spossata, fino a giungere a quel cancello che è l’ingresso della sua vera casa, del luogo dove sa di essere amara, del luogo dove sa di essere attesa.
Rinascere, vuol dire aver trovato una casa che ti attende, trovare dei fratelli il cui cuore batte per te.
Splendida è la figura della terapeuta e del direttore che si amano proprio perché vivono per quella comunità che è la loro famiglia, per quella comunità della quale sono, in fondo, padri. La terapeuta e il direttore, nel corso del film, inseguono le due donne, non per braccarle o imprigionarle, ma perché consapevoli che esse hanno bisogno di loro, come di loro nuovi genitori, come di nuovi custodi e compagni di vita, senza i quali non potrebbero che perdersi per sempre.
Note al testo
[1] Nel film Micaela Ramazzotti interpreta Donatella Morelli e Valeria Bruni Tedeschi Beatrice Morandini Valdirana.