Fabrice Hadjadj: “Di fronte all’epidemia, resta la nuda carità. Camus ha osservato: ‘L’improvviso incontro dell'apparato amministrativo, che è un'entità astratta, con la peste, che è la più concreta di tutte le forze, può solo produrre risultati comici e scandalosi’".
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Pubblichiamo sul nostro sito una traduzione curata da Andrea Lonardo di un articolo di Fabrice Hadjadj pubblicato su La vie del 7/4/2020. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Cristianesimo e per altri suoi articoli il tag fabrice_hadjadj.
Il Centro culturale Gli scritti (3/5/2020)
Gli uomini sanno che moriranno, ma non ci credono. Tutti gli uomini sono mortali, certo, ma io non sono un uomo, io sono Fabrice, il figlio di Bernardo e Danielle, con ricordi troppo singolari per entrare in un sillogismo.
Socrate è mortale, certo, ma è Socrate, non sono io, che non potrei certamente mai costatare il mio decesso. Come farò a essere morto ai miei occhi, visto che, per vederlo, i miei occhi debbono essere vivi?
Nel maggio 68, quando la primavera fingeva di non conoscere più l'inverno, la psichiatra Elisabeth Kobler-Ross finì di scrivere il suo famoso libro sugli ultimi momenti della vita. In esso distingueva cinque tappe nel nostro confronto con l'irreparabile: negazione, rabbia, contrattazione, depressione e poi accettazione, che arriva solo alla fine di un lungo cammino e non ha nulla in comune con la precedente remissività.
Una dialettica infallibile
In questo tempo di epidemia, al di là del contenimento, tutti procedono con la loro piccola strategia per eludere il problema. Specialmente gli intellettuali. Perché gli intellettuali non sono colpiti come chi ha un’attività commerciale. Il loro patrimonio non è in pericolo. Sono gli specialisti nel contrattare, o meglio nel monetizzare le loro idee, in modo che possono far finta non sono di non essere mai presi alla sprovvista nel loro argomentare.
Quando parlano del coronavirus e delle sue conseguenze, non si lasciano mettere in crisi, secondo il sottinteso di Tarrou nella Peste di Albert Camus: “Ma cosa! La morte non è niente per uomini come me. È un evento che ha una giustificazione”. Basti dire che non è avvenuto niente di particolare, o che si risolve in una dialettica ben conosciuta, e che presto troveremo i colpevoli.
Così, gli studiosi dei crolli della società affrontano il problema secondo gli studi dei crolli sociali; gli anti-globalisti dicono che è la fine della globalizzazione; i globalisti che questa è la prova della necessità di un governo globale; le persone contrarie all’immigrazione ci ricordano che "State a casa" è sempre stato il loro slogan; i fautori di un governo autoritario celebrano la Cina e le sue drastiche prescrizioni, mentre un professore della Scuola Normale Superiore ci assicura che "il miglior rimedio contro l'epidemia del virus è la democrazia"; gli epidemiologi invece elogiano le misure preventive e amano il dottor Didier Raoult, mentre gli infettivologi cercano rimedi e diffidano di Olivier Véran; gli atei approfittano dell'occasione per confermare che Dio non esiste, i fondamentalisti sono pronti ad attestare che il mondo non è che una valle di lacrime; gli ambientalisti mostrano il cielo divenuto azzurro sopra Pechino, e l'acqua trasparente nei canali di Venezia, gli uccelli che tornano nelle città - quando torneranno gli avvoltoi? -, mentre gli esperti di tecnologia ribattono che è chiaro invece che la natura non è una madre, dal momento che inventa virus distruttivi per i suoi figli...
La verità, tuttavia, è che c'è un momento in cui siamo presi alla gola, in cui i nostri meccanismi di difesa stanno collassando, compresi quelli di coloro che affermano di essere "contro il sistema" e avevano già annunciato il collasso.
Come dice Pascal, "L’ultimo atto è sanguinoso [la morte], non importa quanto sia bella commedia [la vita] e tutto il resto".
Allora, cosa ci rimane? Naturalmente, non disprezzo l'ordine politico, né la ricerca scientifica, né soprattutto lo sforzo medico: sono assolutamente necessari.
Ma non ci restituiscono la misura dell'evento, non ci confrontano con questo male irriducibile che non ci lascia altro ricorso che una supplica senza risposta: "Perché mi hai abbandonato?"
Una carità nuova, ma problematica
Avremmo potuto prendere più precauzioni, senza dubbio. Era noto che una pandemia simile all'influenza spagnola si sarebbe verificata da un giorno all'altro. Non avremmo dovuto avere più mascherine? Non avremmo dovuto organizzarci per avere più respiratori artificiali? Probabilmente.
Non vogliamo che cadano le maschere. Non vogliamo essere liberati dal soffio dello Spirito. Io per primo. La nostra società sognava ancora ieri l'intelligenza artificiale, non il respiratore artificiale. Era particolarmente spaventata da virus informatici. Il coronavirus non poteva che trovarla sprovvista di difese.
Camus osserva nei suoi quaderni: "L’improvviso incontro dell'apparato amministrativo, che è un'entità astratta, con la peste, che è la più concreta di tutte le forze, può solo produrre risultati comici e scandalosi".
Tuttavia, a parte l'astrazione amministrativa, come avremmo potuto non essere stati colti alla sprovvista? Questo virus sta cambiando le cose. Trasmesso da un'ampia maggioranza di portatori sani, cambia i gesti di tenerezza in gesti mortali, e fa dei gesti di chiusura, della distanza, della porta chiusa, i segni di una nuova ma problematica carità.
Qui tutto assomiglia allo stupore di Gesù nel giardino degli Ulivi (Luca 22,48): "Con un bacio tu tradisci il Figlio dell'Uomo?" Anche lui non se lo aspettava. Il segno dell'amore non poteva diventare quello del tradimento.
Eppure è proprio del tradimento operare una tale inversione dei segni.
Mortale, fragile, peccatore
E come potremmo non sentirci sia traditori che traditi? Adesso i nostri baci di pace sono diventati baci di Giuda. Ora è bene non andare a visitare i nostri anziani isolati e minacciati di malattia - e guardare la Messa in televisione ...
Gli Stati europei hanno preso delle decisioni senza precedenti, che non erano state prese nemmeno durante le guerre mondiali; e per la prima volta nella storia della Chiesa, i più ferventi fedeli cattolici saranno privati della Veglia di Pasqua. Per la prima volta, la Chiesa, che ha trasmesso l’obbligo di comunicarsi almeno a Pasqua, emette un decreto che ordina al gregge di non ricevere la comunione... È per un’assenza di baci che voi accogliete il Figlio dell'Uomo?
Potrebbe essere. Questa spogliazione, ben lontano dalla fantasia transumanista, ci ricorda la nostra condizione di figli e figlie dell’uomo e della donna: mortali, fragili, peccatori, capaci di sperare, al di là della salute, una salvezza...
Sì, siamo ritornati ad essere di nuovo umani, reinseriti nella storia umana, al punto che i testi antichi si mostrano più attuali delle nostre statistiche: la peste di Atene narrata da Tucidide, quella di Firenze da Boccaccio, quella di Londra e Milano rispettivamente da Defoe e Manzoni...
Il Progressismo è stato colpito. E invece l'uomo di ieri è ridivenuto di nuovo fratello dell'uomo di oggi. I classici appaiono più profondi e attuale delle innovazione tecnologica. Esprimono le nostre attese eterne.
La speranza di uscire dalle nostre tombe
Ogni prova ha un duplice esito possibile. Non si tratta di un miglioramento automatico. Per definizione, ci mette alla prova, e noi la superiamo diventando migliori o peggiori. Il confinamento può spingerci ancor più nel virtuale, nell'intrattenimento (il sito di video pornografici Pornhub ha offerto gratuitamente i suoi prodotti premium) e verso l'eutanasia (il governo, esitante riguardo alla clorochina, non ha esitato a permettere il Rivotril).
Ma la prova può anche renderci consapevoli dell'inestimabile prezzo della vicinanza e della presenza di cui siamo privati. La prova ci deve riavvicinare all'Incarnazione e, attraverso di essa, alla speranza di risorgere dalle nostre tombe.
La Bibbia si interessa poco dell'immortalità dell'anima. Piuttosto chiede la risurrezione dei corpi. Se non si trattasse che dell'immortalità, non sarebbe stato necessario lasciare l'Egitto antico: il Libro dei Morti ci sarebbe bastato, con la pesatura delle anime e la loro esistenza incorporea, liberate da tutti i pesi carnali.
Se si tratta di resuscitare, all’opposto, si deve accettare di morire. La fede nella risurrezione implica il riconoscimento della nostra mortalità senza scampo, ma non senza speranza, perché il luogo della perdita diviene quello dell'offerta.
La Bibbia si interessa poco della dignità della gente virtuosa. Attende la redenzione dei peccatori.
Se si fosse trattato solo di virtù, avremmo potuto fermarci ad Aristotele o Cicerone. Se si tratta di redenzione, invece, dobbiamo accettare che il nostro orgoglio si infranga. La fede nella misericordia implica il riconoscimento della nostra miseria senza arrossire, ma non senza coraggio, perché il luogo del peccato diventa quello della grazia, e della grazia contagiosa, dove si è perdonati a nostra volta nella grande comunità dei miserabili
Allora, cosa ci rimane? La carità nuda. Quella degli infermieri e dei malati che supplicano. Quella dei moribondi e dei vivi, più vivi che mai, perché a un passo dall'abisso, privati anche della possibilità di rendere il loro ultimo omaggio al defunto, hanno scoperto la tomba vuota, perché hanno capito che tutto era perduto ciò che non era stato ricevuto e dato.